Ho incontrato Mario Benedetti (le sue poesie, ma – a differenza di tanti poeti – è come incontrarlo di persona) per caso, in una cartolibreria di Corso De Gasperi, a Torino.
Vendevano solo libri per bambini e per quello ero lì, per il mio Alberto, che allora aveva due tre anni. Tra le copertine colorate e seminascosto e più piccolo degli altri
– ma soprattutto in totale fuori luogo apparente – il suo rettangolo bianco, la copertina di “Inventario” (poesie 1948-2000). La cartolaia mi spiegò che stava lì perché – anche se non c’entrava niente – a lei piaceva, e che aspettava qualcuno a cui venderlo per poterne parlare.
La cartolibreria di Corso De Gasperi oggi è una stireria di cinesi. La cartolaia giovane e entusiasta non l’ho mai più vista. Mario invece mi accompagna spesso- diversamente da altri poeti, lo ridico – più come uno di famiglia da tenere in tasca che come averci un vate, sotto il cappotto. Lui, apri dove vuoi l’inventario e ti dice, come ti direbbe uno zio invecchiato bene, uno zio che stava lontano a Montevideo e che ha vissuto gli anni brutti della dittatura (lasciando l’Uruguay nel 1973 e potendo tornare a casa solo nell’85). Uno zio che dice sempre la verità.Perché sa che – in ogni caso- è giusto. Che conosce Amore, Amicizia, Solitudine. Uno che ha vissuto un pezzo di vita da travet (come chi scrive) e ha saputo scrivere i “Poemas de la oficina”(“Poesie dell’ufficio”1956 – meravigliosa “Elnuevo”)e “Nocion de patria” (“Nozione di patria” 1962-1963 – da leggere “A la izquierda del roble”) mentre in “Poemas de otros” (“Poesie degli altri” 1973-1974) ci ha regalato questa “Hombre preso che mira a su hijo”. Ogni volta che la leggo – mentre piango – penso che questo è essere padre.
L’ho tradotta, col massimo dell’umiltà, a mio modo, per farne una versione che porti un po’ dei miei suoni, e così dire grazie a lui, e magari iniziare (continuare, per chi già lo conosce e lo ama) a farne parlare nel nostro Paese.
Questo mi è stato possibile anche a partire all’esperta e riuscitissima traduzione di Martha L. Canfield (che conosceva per vita vissuta la sua Montevideo e Benedetti stesso).
Riccardo Olivieri
UOMO IN CARCERE CHE GUARDA IL FIGLIO
al “vecchio” acca
Quando ero come te i miei m’insegnarono
– e così le buone maestre miopi –
che libertà o morte era esagerato
– a chi veniva in mente in un paese
dove i presidenti andavano senza scorta?-
che patria o tombaera un altro pleonasmo
perché la patria funzionava bene
alla partita e nella pastorizia
Davvero piccolo mio non capivano proprio,
poveretti credevano che libertà
fosse così tanto
solo una parola tronca
e morte solo una parola piana
e carceri una sdrucciola
che avevano dimenticato di mettere l’accento su hòmbre
la colpa non era esattamente loro
ma di altri, più rigidi e sinistri
e quelli sì
ci hanno incastrato bene
nella limpida Repubblica Delle Parole
oh come ci hanno venduto bene
il Bengòdi di terre e bestiame
e un esercito tranquillo nelle caserme
che prendeva il suo mate
uno non sempre fa quello che vuole
non sempre si può,
per questo sono qui
guardandoti, sentendo la tua mancanza
è per questo che ora non posso scompigliarti più i capelli
né aiutarti con le tabelline
né batterti a pallone
tu sai bene che ho dovuto scegliere altri giochi
e così li ho giocati sul serio
e ho giocato per esempio a guardie e ladri
e i ladri era lapolizia,
e a nascondino
chi era scoperto moriva,
e ho giocato per esempio a ce l’hai
e una mano di sangue m’inseguiva
Anche se sei piccolo, figlio mio,
credo di doverti dire la verità
affinché tu non dimentichi
per questo non ti nascondo che mi hanno dato l’elettricità
che quasi mi scoppiavano i reni
e tutte queste piaghe ferite ematomi
che i tuoi occhi rotondi guardano ipnotizzati
sono colpi durissimi sono stivali in faccia
troppo dolore perché io riesca a nascondere
troppo supplizio perché si cancelli
però è anche giusto che tu sappia
che tuo padre non ha parlato
oppure ha bestemmiato come un pazzo
ch’è un altro bel modo di tacere
che papà dimenticò tutti i numeri
(per questo non potrei aiutarti con le tabelline)
e così tutti i telefoni
e le vie e il colore degli occhi
e i capelli e le cicatrici
e a quale angolo
quale bar
quale fermata
quale casa
e pensare te
-il tuo faccino-
mi aiutava a tacere
una cosa è morire di dolore
altra cosa è morire di vergogna
per questo ora mi puoi domandare
e – soprattutto – io posso rispondere
uno non sempre fa quello che vuole
ma ha il diritto di non fare
quello che non vuole
piangi pure figliolo
sono stronzate
che gli uomini non devono piangere
qui piangiamo tutti
urliamo frigniamo smoccichiamo
malediciamo
perché è meglio piangere che tradire
perché è meglio piangere che tradirsi
piangi
ma non dimenticare.
HOMBRE PRESO QUE MIRA A SU HIJO
al “viejo” hache
Cuando era como vos me enseñaron los viejos
y también las maestras bondadosas y miopes
que libertad o muerte era una redundancia
a quién se le ocurría en un país
donde los presidentes andaban sin capangas
que la Patria o la tumba era otro pleonasmo
ya que la Patria funcionaba bien
en las canchas y en los pastoreos
realmente, botija, no sabían un corno
pobrecitos creían que libertad
era tan sólo una palabra aguda
que muerte eran sólo grave o llana
y cárceles por suerte una palabra esdrújula
olvidaban poner el acento en el hombre.
La culpa no era exactamente de ellos
sino de otros más duros y siniestros
y estos sí
como nos ensartaron
en la limpia república verbal
cómo idealizaron
la vidurria de vaca y estancieros
y cómo nos vendieron un ejército
que tomaba su mate en los cuarteles
uno no siempre hace lo que quiere
uno no siempre puede
por eso estoy aquí
mirándote y echándote
de menos
por eso es que no puedo despeinarte el jopo
ni ayudarte con la tabla del nueve
ni acribillarte a pelotazos
vos ya sabés que tuve que elegirotros juegos
y que los jugué en serio
y jugué por ejemplo a los ladrones
y los ladrones eran policìas
y jugué por ejemplo a la escondida
y si te descubrían te mataban
y jugué a la mancha
y era de sangre
botija, aunque tengas pocos años
creo que hay que decirte la verdad
para que no la olvides
por esono te oculto que me dieron picana
que casi me revientan los riñones
todas estas llagas hinchazones y heridas
que tus ojos redondos
miran hipnotizados
son durísimos golpes
son botas en la cara
demasiado dolor para que te lo oculte
demasiado suplicio para que se me borre
pero también es bueno que conozcas
que tu viejo calló
o puteó como un loco
que es una linda forma de callar
que tu viejo olvidó todos los números
(por eso no podría ayudarte en las tablas)
y por lo tanto todos los teléfonos
y las calles y el color de los ojos
y los cabellos y las cicatrices
y en qué esquina
en qué bar
qué parada
qué casa
y acordarse de vos
de tu carita
me ayudaba a callar
una cosa es morirse de dolor
y otra cosa morirse de verguenza
por eso ahora
me podés preguntar
y sobre todo
puedo yo responder
uno no siempre hace lo que quiere
pero tiene el derechode no hacer
lo que no quiere
llora nomàs botija
son macanas
que los hombres no lloran
aquí lloramos todos
gritamos berreamos moqueamos chillamos
maldecimos
porque es mejor llorar que traicionar
porque es mejor llorar que traicionarse
llora
pero no olvides.

