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Addio a Roberto De Simone: un ricordo

Si è spento Roberto De Simone esponente di punta della cultura napoletana e internazionale. Filomena De Simone, una dei suoi collaboratori, lo ricorda così per clanDestino.

Per te, Maestro

Come farò oggi a parlarti senza chiamarti, senza interrompere la tua voce con la mia litania di “ma Maestro!” e l’unico scopo d’inseguire le tue frasi visionarie fino alla resa? I tuoi progetti, le tue domande sempre estreme, depistanti, taglienti, miste ai contrappunti di silenzi. Il tuo modo di accogliere ogni non detto con poi la mia unica possibilità d’inseguirti solo in una scia luminosa e sognante. Come farò oggi?
L’incontro con te ha segnato il mio tempo. Una caduta dal foglio al segno, dal segno al suono, dal suono alla voce fino alla radice di ogni sentire. Un limbo lucente dove molteplicità e saperi impastati di terra e polvere, hanno azzerato ogni frammento di accademismo nella smania di raggiungere un reale che sfugge alla misura. Le feste dei poveri, i riti, le processioni, i culti, l’imponderabile in ogni dove nell’accadimento nel frammento di una terra che vive il proprio ciclo nell’altalena incessante tra Sole e Luna. I discorsi improbabili sulla radice della Possessione per scoprire che al centro ci sono l’uomo e la monotonia dell’essere sempre e costantemente sulla soglia di un “mistero” che non smette di accadere e che diventa arte per sublimare la propria essenza.

 

 

Ognuno ha un suo “Montevergine” a cui ritornare e dove intrecciare ginestre ed è stato proprio sul mio Monte che un giorno di vent’anni fa mi hai dato appuntamento e ci siamo riconosciuti. Il culto di Mamma Schiavona, l’incontro con i pellegrini, il ritorno tra i gruppi di pentecostali sulla Tomba di Guglielmo è stato l’inizio di un viaggio che non finisce.
Ho vissuto la gratuità della ricerca fatta tra la gente, fuori da ogni accademia e lontano dalle cattedre di antropologia. La devozione all’umano, il rispetto sacro del sentimento religioso nelle persone incontrate per strada senza mai tradire la fiducia del deposito sacro di ogni racconto.
In un rito, mai uguale a se stesso, ho conosciuto un tempo sollevato tra mondi luminosi e alterni.

La tradizione è un fiume sotterraneo imprevedibile - dici -, volubile, feroce come lo è l’umano, struggente nel nascere misterioso nel morire per poi affiorare e cambiare corso.
Le nostre ricerche: Madonna dell’Arco, le ninna nanne, i canti funebri, le processioni, i canti medievali nella settimana Santa, le Congreghe del Cilento... il Carnevale, Zeza, la ricerca confusa in una quotidianità scandita da viaggi improvvisi, da incontri con i Capo Paranza della Duchesca fi no poi alle prime letture con le compagnie quando si avvia una messa in scena nel salotto di Via Foria.

Non ho lavorato, non ho mai suonato in tua presenza, non ho neanche mai scritto qualcosa per te, neanche un biglietto d’auguri, ma ho vissuto tutto, ogni frammento, anche quello più doloroso e te ne sarò per sempre grata. Ho cercato in alcuni momenti d’essere come una carta assorbente, volevo che la tua presenza fosse inchiostro indelebile e il mio tratto sicuro, ma ho fallito perché la nostra lingua non è solo parola, è sguardo e ascolto paziente. In te ho riconosciuto la scintilla bambina che reinventa il mondo, l’entusiasmo dell’incrocio tra l’oralità e scrittura, l’alchimia del gesto che si fa arte.
Mi hai chiesto un giorno di aiutarti nella catalogazione delle stampe sacre e da lì abbiamo avviato un lavoro durato anni, dove ci siamo accorti che tutto ciò che sei è in ogni rivolo di questa sterminata collezione (documenti, fotografi e, incisioni, stampe, libri, musiche, pupi, presepi pastori quadri, ex voto di ogni fattura e materiale quadreria e tanto altro tantissimo... e l’abbiamo fatto e ogni ora si dilatava e diventava memoria.

Cosa succederà ora?
Giorno dopo giorno in base al colore delle cartelline e al loro ordine, ho visto la tua Sanfilippo come una nave con al timone un capitano. Non ne ha mai lasciato il comando, mai un abbandono, mai un compromesso o un cedimento... in tutti i testi che mi hai dettato c’era sempre un modo tuo di essere insieme maestro e compagno di viaggio e così facendo abbiamo attraversato villanelle, poesie, moresche, pentagrammi, con lo stupore di chi sente il profumo di rose nel confessionale di Padre Pio. Abbiamo parlato con Giovanna d’Arco e chiamato per nome i Santi con i vestiti di terra e sole per poi inginocchiarci davanti al Principe degli Angeli, abbagliati dalla sua spada di fuoco e fiamme.

Ora, mio Maestro, quale sarà la mia casa e dove ritornerò sapendo di non essere mai andata via? Tu non muori perché sei canto ma di me che sarà senza il tuo sguardo?

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