di Antonella Murabito
Il rapporto tra Arte e Scienza è un'interazione affascinante e complessa che ha attratto pensatori, creatori e studiosi nel corso della storia. Sebbene sembrino discipline distinte, l'arte e la scienza sono più interconnesse di quanto si possa inizialmente percepire. L'arte, spesso associata alla creatività, all'immaginazione e all'espressione estetica, e la scienza, caratterizzata da logica, osservazione e prove empiriche, condividono un legame profondo che trascende le loro apparenti differenze. Insieme formano una relazione simbiotica, influenzandosi e arricchendosi a vicenda in modi che spingono i confini della comprensione e della creatività umana.
La storia tra arte e scienza
Nel corso della storia, il rapporto tra arte e scienza si è evoluto e manifestato in vari modi. Dalla preistoria al Rinascimento, fino ai tempi moderni, l'interazione tra questi ambiti ha plasmato la cultura, la conoscenza e la creatività umana. Le pitture rupestri che rappresentano animali, scene di caccia e oggetti celesti, riflettono le prime osservazioni scientifiche e il fascino del mondo naturale. Queste opere servivano come mezzo di comunicazione, narrazione ed espressione culturale, oltre a rivelare una comprensione precoce dell'ambiente e dei suoi abitanti.
L'antica Grecia è riconosciuta come un periodo cruciale per lo sviluppo dell'arte e della scienza. La Grecia ha esplorato temi che vanno dalla metafisica alla biologia, gettando le basi per l'indagine scientifica. L'arte greca, con la sua enfasi sulle forme umane idealizzate e sui principi matematici, ha mostrato l'interazione tra estetica e proporzioni matematiche.
Il Rinascimento, che va dal XIV al XVII secolo, è stato testimone di una straordinaria convergenza tra arte e scienza. Artisti come Leonardo da Vinci hanno incarnato questa unione che trova la sua massima espressione nel concetto di "uomo del Rinascimento". Le ricerche scientifiche di Da Vinci, tra cui studi anatomici e indagini sui principi dell'ingegneria, hanno influenzato le sue opere artistiche. I suoi dipinti, come l'enigmatica "Monna Lisa", mostrano una meticolosa attenzione ai dettagli e una profonda comprensione dell'anatomia e dell'espressione umana. Tanto che uno scienziato di nome Livingstone fece numerosi studi per spiegare il mistero del sorriso enigmatico della Gioconda trovandone una plausibile spiegazione scientifica consistente nel fatto che nel dipingerla, Leonardo, avendo conoscenze relative alla percezione visiva, giocò sui due tipi di percezione che caratterizzano la visione: quella centrale e quella periferica. Il mistero del sorriso che ogni fruente l’opera prova, deriverebbe dall’alternanza dei due tipi di visione che destabilizzando, altera la percezione visiva.
L’epoca dell'Illuminismo, che ha avuto luogo nel XVIII secolo, ha enfatizzato la ragione, l'osservazione empirica e il pensiero critico. La rivoluzione scientifica portò a scoperte nel campo della fisica, della chimica e della biologia, ampliando la nostra comprensione del mondo naturale. Questo periodo vide anche l'ascesa dell'arte neoclassica, che traeva ispirazione dall'arte antica greca e romana, riflettendo il desiderio di razionalità, ordine ed equilibrio.
In epoca moderna, il rapporto tra arte e scienza ha continuato a evolversi. L'avvento della fotografia, del cinema e dei media digitali ha ampliato le possibilità artistiche, fondendo l'espressione artistica con i progressi tecnologici. Gli artisti hanno tratto sempre più spesso ispirazione da concetti, teorie e scoperte scientifiche, incorporandoli nelle loro opere. Dall'esplorazione di concetti astratti come la fisica quantistica all'esame di questioni ecologiche e progressi tecnologici, l'arte è diventata un mezzo per affrontare e riflettere sugli sviluppi scientifici e sociali.
L'epoca contemporanea, dal XX secolo a oggi, ha visto un ulteriore intreccio tra arte e scienza. L'avvento di nuove tecnologie, come la fotografia, il video e i media digitali, hanno rivoluzionato le pratiche artistiche. Gli artisti di oggi esplorano concetti scientifici, si impegnano in ricerche all'avanguardia e affrontano con le loro opere questioni sociali e ambientali urgenti. Quest'epoca ha visto l'emergere di campi come la bioarte, in cui gli artisti collaborano con gli scienziati per esplorare i processi biologici e l'etica.
Interazioni Arte e Scienza
L’Opera d’Arte come nasce? Quali sono gli elementi che incidono maggiormente nel processo creativo e lo rendono ARTE?
Ad affrontare questi temi, interessante è l’ultimo saggio di Alberto Casadei: Biologia della Letteratura Corpo, stile, storia, spinto dalla necessità di far dialogare le ultime scoperte scientifiche nel campo della creazione del processo artistico con il patrimonio artistico letterario e quindi di non scorporare l’orizzonte naturale dalla dimensione culturale/letteraria. L’obiettivo del libro è dunque collocare i fenomeni letterari (artistici) in un continuum storico culturale che deriva essenzialmente dalle potenzialità biologico-cognitive comuni agli esseri umani, ma l’autore si spinge oltre, sostenendo che le propensioni artistico-letterarie, che identifica nelle abilità attentive e mimetiche derivanti dall’unione di corpo e mente (come anche dimostrato scientificamente) generano Arte ossia “una concrezione formale riconoscibile nel tempo e una loro traducibilità” esclusivamente attraverso i mezzi dello stile (stile cognitivo). Casadei individua (da buon critico) nello stile il punto in cui avviene la mediazione decisiva tra natura e cultura, tra biologia e letteratura: è grazie all’elaborazione stilistica delle informazioni e degli stimoli esterni (ragione) che le propensioni biologiche elementari, legate alla percezione del ritmo, dell’analogia e della metafora vengono utilizzate per dar vita ai mondi possibili dell’arte e della letteratura.
Ovviamente lo stile che intende Casadei è la parte variabile da persona a persona perché fatto di cultura, di conoscenza, di rigore e di studio e certamente mira ad essere sempre più complesso con l’avvento di nuove scoperte e tecnologie.
Nel tempo l’essere umano è stato indotto a costruzioni simboliche sempre più complesse per rispondere ad esigenze di sopravvivenza, ritualità magica e religiosa o per imporre un ordine al cosmo, ritagliando dei nuclei di senso dal caos molteplice. Non è difficile dunque trovare analogie con la poetica cognitiva ossia con quell’articolato universo di ricerche condotte per spiegare il fenomeno dell'esperienza umana di elaborazione e comprensione di testi poetico-letterari. Si tratta di un approccio di ricerca composito, che non vede l'opera d'arte letteraria come entità con un suo significato – o 'messaggio' – precostituito da scoprire e recepire bensì come oggetto estetico che esercita la propria forza nell'interazione con le conoscenza di chi la crea e con un lettore reale e che proprio attraverso lo studio di questa interazione può essere meglio compreso.
La rielaborazione di secondo grado (hight level come la chiama Casadei) delle capacità attentive, mimetiche finalizzata alla cristalizzazione di determinati nuclei di senso, coincide col momento distintivo nel quale nasce l’Arte.
L’ipotesi dimostra come l’Arte si sia evoluta nel tempo da semplice rappresentazione rupestre a processo artistico via via più complesso che esprime necessità attuali ad es. le problematiche ambientali nella eco poesia o le scoperte scientifiche nella bio poesia.
Il fatto che il processo creativo che dà origine a un'opera d’Arte sia quindi consapevole (poiché legato alla elaborazione di secondo livello quindi allo stile) ovviamente mette in secondo piano due pietre miliari, concetti, su cui si basava la teoria sull’origine della creazione artistica: il concetto di derivazione scientifica e il pensiero antico. In dettaglio:
Scienza: origine del processo creativo
La ricerca scientifica tuttora attribuisce al sistema nervoso involontario l’origine dei processi creativi di natura artistica, basti pensare ai recenti studi condotti con la tecnica delle neuroimaging (risonanza magnetica funzionale) che dimostrano che quando un artista crea si attivano, in maniera automatica e inconscia, aree cerebrali appartenenti al sistema dei neuroni a specchio.
Questa capacità insita negli artisti si chiama SINESTESIA ed è del tutto involontaria.
Le basi neurali della sinestesia sono ancora oggetto di ricerca, ma gli studi indicano che i sinesteti hanno una connettività neurale più ricca e variegata tra le aree cerebrali coinvolte nella percezione sensoriale. Ciò potrebbe essere dovuto a una maggiore plasticità sinaptica o a un minore numero di inibizioni neurali, che permette un’interazione più intensa tra le aree sensoriali del cervello. La risonanza magnetica funzionale (fmri) e altre tecniche di imaging cerebrale hanno mostrato che, nei sinesteti, durante l’esperienza sinestetica sono attive contemporaneamente diverse aree cerebrali che normalmente non interagiscono in modo così diretto.
Lo scienziato Pausuleo negli anni '90 tramite la metodologia della neuroimagine (tomografia ad emissione di positroni) dimostrò nei soggetti sinestetici l’attivazione di aree visive particolari che quantificò.
Il mondo della sinestesia è sorprendentemente variegato, con numerosi tipi che interconnettono i sensi in modi unici e talvolta sorprendenti. Oltre ai tipi già menzionati, esistono forme di sinestesia come la sinestesia persona-colore, dove vengono associati colori specifici agli individui o alle loro personalità, e la sinestesia spazio-temporale, in cui il tempo e i numeri occupano uno spazio fisico nella mente del sinesteta.
Un altro esempio affascinante è la sinestesia sequenza-spaziale, dove le sequenze numeriche o temporali sono percepite come disposizioni spaziali. Questo può significare che un sinesteta “vede” i mesi dell’anno disposti in un cerchio intorno a sé o i numeri disposti in uno schema particolare nello spazio. Queste percezioni possono a volte fornire un metodo mnemonico naturale, aiutando i sinesteti a ricordare date e numeri con maggiore facilità.
La sinestesia può estendersi anche a combinazioni più insolite, come associare sensazioni tattili a suoni o percepire sapori in risposta a stimoli visivi: ad esempio, il suono di un certo strumento musicale potrebbe evocare una sensazione specifica sulla pelle o il vedere un particolare oggetto potrebbe scatenare un sapore distinto in bocca.
Tutti abbiamo fenomeni simili alla sinestesia ma i soggetti sinestetici sono persone che con COSTANTE comportamento presentano una o più manifestazioni suddette.
Gli artisti sinesteti spesso sfruttano le loro percezioni uniche per creare opere che cercano di catturare l’essenza delle loro esperienze sensoriali intrecciate. Tra gli artisti riconosciuti per avere avuto esperienze sinestetiche ci sono figure storiche come Wassily Kandinsky, un pittore che si ritiene avesse la capacità di “vedere” i colori quando ascoltava la musica, influenzando profondamente il suo approccio all’astrattismo. Anche il compositore Alexander Scriabin è noto per le sue aspirazioni sinestetiche, perché cercava di unire colore e suono nella sua opera. Vincent Van Gogh, un altro artista spesso associato alla sinestesia, tradusse le sue intense esperienze emotive e sensoriali in opere che vibrano di colore e movimento. Questi artisti, e molti altri come loro, dimostrano come la sinestesia non sia solo un fenomeno neurologico, ma anche una fonte di ispirazione creativa, che permette di esplorare le connessioni profonde tra i sensi e di esprimere le complessità dell’esperienza umana in modi nuovi e rivoluzionari. La sinestesia, in questo contesto, non è soltanto un modo di percepire il mondo: è anche un modo di reinterpretarlo, offrendo al pubblico nuove prospettive e modi di esperire l’arte.
La metafora è una sinestesia linguistica e può essere definita come un'espressione in cui elementi percepiti attraverso una modalità sensoriale vengono qualificati nelle loro proprietà impiegando lessico che pertiene a modalità diverse. Un esempio sia suono dolce: la dolcezza è concetto che appartiene alla sfera sensoriale del gusto, ma è qui applicato ad una percezione uditiva.
I neuroni specchio furono scoperti nel 1992 da un gruppo di ricercatori guidato da Giacomo Rizzolatti, che stava studiando il cervello dei macachi. Essi si attivano non solo quando un individuo compie un'azione, ma anche quando osserva qualcun altro eseguire la stessa azione. Questa capacità di simulazione interna delle azioni altrui suggerisce che i neuroni specchio possano svolgere un ruolo importante nella comprensione delle intenzioni, dell’empatia e dell'apprendimento per imitazione. Negli esseri umani, i neuroni specchio sono localizzati principalmente nelle aree premotorie e parietali inferiori, ma anche in regioni coinvolte nel controllo emotivo e nella percezione dell’intenzione, come l’insula e la corteccia cingolata.
I neuroni specchio, che si attivano nei soggetti sinestetici (artisti) oltre a essere coinvolti nei processi di simulazione empatica e nell'imitazione di atti violenti o sessuali, potrebbero aver giocato un ruolo cruciale nello sviluppo del linguaggio umano. Alcuni ricercatori ipotizzano che la capacità di imitare e comprendere le azioni altrui abbia facilitato l'evoluzione della comunicazione attraverso i gesti che, in un secondo momento, si è trasformata in linguaggio verbale (Rizzolatti et al., 1996)
Perché si attivano queste aree quando si crea o si ammira un’opera d'Arte?
Emozione è guardare un'opera d'arte come se ci si trovasse al suo interno. Provare le stesse sensazioni dei suoi personaggi. Rievocare i movimenti compiuti dalle mani dell'artista. "L'abilità di un pittore coincide con la sua capacità, spesso inconscia, di rievocare un'emozione nel cervello dell'osservatore" spiega Vittorio Gallese, (una ricerca dell’Università di Parma rivela come l’uomo tende ad immedesimarsi nel quadro che osserva - 15 maggio 2007) professore del dipartimento di neuroscienze dell'università di Parma ed esperto di neuroestetica, la scienza che cerca di spiegare il rapporto fra cervello e opere d'arte.
Così ad es. se si guarda il quadro di Goya: Il cane insabbiato. L’emozione che suscita è uno stato di depressione e isolamento. Queste sensazioni le proviamo davvero guardando il quadro come se fossimo noi quel cane insabbiato. L’arte quindi è EMPATIA.
Gallese ipotizza che le emozioni trasmesse da un'opera d'arte attraverso la tensione muscolare e le espressioni facciali dei suoi protagonisti si riflettano nella corteccia cerebrale degli osservatori. Le aree motorie che corrispondono ai muscoli tesi dei Prigioni di Michelangelo si attivano guardando i giganti che cercano di divincolarsi dalla pietra. I circuiti del dolore si "accendono" (a volte anche con un brivido) guardando le vittime dei Disastri della guerra di Goya.
I neuroni specchio costituiscono quei particolari circuiti cerebrali (scoperti proprio a Parma una quindicina di anni fa) che ci fanno intuire le intenzioni o le emozioni altrui dai gesti del loro corpo o dagli atteggiamenti del loro viso.
Lo stesso meccanismo di empatia che ci permette di vivere in sintonia con gli altri sta alla base del nostro emozionarci di fronte a un'opera d'arte, ipotizzano Vittorio Gallese e David Freedberg, direttore dell'Accademia italiana di studi avanzati della Columbia University. Il neuroscienziato e lo storico dell'arte hanno appena pubblicato insieme uno studio su "Movimento, emozione ed empatia nell'esperienza estetica" sulla rivista Trends in Cognitive Sciences. "Per verificare fino in fondo le nostre ipotesi, stiamo svolgendo i test su un gruppo di volontari, osservando le loro reazioni cerebrali con la risonanza magnetica transcranica", spiega Gallese.
La teoria dell'immedesimazione per spiegare l'emozione di fronte alle opere d'arte non è certo una novità, se già Platone usava il termine "mimesi" anche per riferirsi alla creazione artistica. "Ma l'osservazione di questo fenomeno alla luce delle conoscenze scientifiche moderne - spiega Gallese - rappresenta una novità.
Rievocare" la sensazione di San Tommaso che infila il dito nel costato del Cristo, "simulare" lo sforzo dei Prigioni, "imitare" il gesto di Fontana che squarcia la tela non vuol dire compiere effettivamente gli stessi gesti. "I neuroni si attivano come se dovessero squarciare la tela - spiega Gallese - ma senza impartire l'ordine ai muscoli". Un'emozione di intensità eccezionale può forse spiegare la sindrome di Stendhal. "Forse - prova a ipotizzare Gallese - in questi casi i meccanismi che abbiamo descritto diventano ipereccitati, e l'attivazione del cervello raggiunge livelli ingestibili".
Quanto spiegato scientificamente si sposa con il pensiero antico sull’origine del processo creativo portato avanti già in epoche passate , ad es da Vivo o da Platone, della passività dell’intelletto.
Oltre la scienza e il pensiero antico
Esisteva però una corrente di pensiero che già con Sofocle in maniera inconscia e poi con Nietzsche consciamente, affermava che la passività dell’intelletto negava al processo creativo la conoscenza, e che solo “la coscienza, l’obbedienza a sé erano un bene”.
Anche Valery riprese il concetto, sue le seguenti parole: “avrei preferito aver scritto un’opera mediocre in tutta lucidità, a un capolavoro per folgorazione”.
Questo pensiero turbava ampiamente i poeti. Illuminante fu il pensiero di Baudelaire che, a tal proposito, scriveva: “il fondo del nostro carattere sta nel tenersi lontano da ogni estremo, di rifuggire dall’eccessivo, dall’assoluto e dal profondo”.
Baudelaire ci invita a far uso consapevole dell’eccesso, della irrazionalità (introducendo il concetto di intelligenza creativa) con sguardo lucido. Così come Rimbaud affermava che “il poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non serbarne che la quintessenza”.
Questi poeti hanno dimostrato che virtù quali eccessivo, assoluto e profondo non sono inconciliabili con ordine, chiarezza, rigore, pensiero astratto.
Dalla conciliabilità, la poesia (o qualsiasi forma d’arte) diviene libertà, pretende il diritto di essere dissennata e frivola, seria e profonda, profetica e visionaria, di essere libera di esprimersi e dire quello che VUOLE dire.
A questo proposito, c’è un bellissimo articolo di Pasolini intitolato: L’ispirazione dei contemporanei” nel quale la visione Baudeleriana (intelligenza creativa) viene ripresa per dare corpo alla cosiddetta coscienza poetica (che richiama la rielaborazione che intende Casadei) ma ovviamente Pasolini si spinge oltre.
In questo articolo, affronta il concetto di ispirazione affermando che quando un poeta si mette a scrivere preso dall’ispirazione la prima stesura è di pancia (legata alla emozione/irrazionale). L’illuminazione, quindi, è quella comune da sempre, quella spiegata scientificamente e dal pensiero antico (Vico, Platone), Valery diceva che il primo verso è quello donato da Dio, dal Cielo. In questa prima stesura entrano in gioco le abilità attentive, mimetiche e metaforiche ed è quindi inconscia, quella che nasce dall’urgere di un sentimento.
Successivamente interviene l’aspetto cognitivo, la ragione (stile, critica) che deve suggerire lo stile giusto, la sintassi, le immagini che non devono distruggere l’illuminazione.
Questa fase è cruciale per la direzione che prenderà il processo creativo, poichè dipende dalla cultura che colui che crea (l’artista) ha, dalle sue esperienze di vita, dall’apprendimento che è differente da persona a persona. È la rielaborazione di secondo livello che intende Casadei e che veicola il significato. Ma attenzione! Casadei si ferma qui, dicendo che a seguito di questa rielaborazione nasce l’Arte. Pasolini (e Baudelaire) si spinge oltre.
Raggiunta questa coscienza poetica il passaggio successivo è diventare VEGGENTE, liberare diligentemente l’irrazionale (come dicevano Rimbaud e Baudelaire) che rimane irrazionale anche se è cosciente (perchè è un meccanismo irreversibile della fantasia). Non vuol dire nulla se tale irrazionalità è, ora, cosciente poichè l'irrazionale dei poeti puri rimane sempre più vicino di qualsiasi altro a quello della poesia delle origini.
Pasolini, a dimostrazione di questi passaggi, analizza la poesia “Infinito” di Leopardi:
Dapprima l'onda dei sentimenti, l'emozione, (prima stesura) cerca una forma falsamente filosofica (irrazionale), e "L'infinito" si intitola "Sopra l'infinito" (O quanto a me gioconda quanto cara fummi quest'erma sponda...), successivamente diventa moraleggiante (quindi razionale), intitolandosi "Della natura", ed è veramente la stesura ragionata:
Sempre adorata mia solinga sponda
Deh perché agli occhi miei furi la vista
Dell'incantevole e magico effetto
Che natura concede alle creature...
Infine, dopo un breve appunto in prosa, già molto puro, abbiamo l'ultimo "Infinito", che è semplicemente lirico, senza nessun altro pretesto. Così, mentre nelle prime stesure, che nel senso consumato della parola, sono ispirate, abbiamo dei versi spinti dall’emozione iniziale, poi moraleggianti (cioè razionali) nell'ultima stesura, che rivela una calma immensa, quasi una fatale impassibilità, si scatena tutto l'irrazionale (musica, ritmo, ineffabile) della poesia (quella veggenza affermata da Baudelaire).
“È questa seconda ispirazione, non sentimentale, ma propriamente ‘poetica’ che non ha cessato di essere valida e che aspetta di salire alla coscienza di coloro che usano ancora relegarla, nel suo senso minore, fra gl'idoli sconsacrati”. (Pier Paolo Pasolini, “L'ispirazione nei contemporanei”, in “La fiera letteraria”, 06.03.1947)
In conclusione, se è pur vero che il processo di creazione diventa Arte quando a seguito di una “illuminazione” inconsapevole, si esegue una rielaborazione ad alto livello del processo per ritagliare nuclei di significato dalle varie e moltepilici stimolazioni esterne in accordo alla concezione di Casadei, rimane comunque prioritario e, a mio parere, molto più significativo per definire ciò che è davvero Arte da ciò che non lo è, la considerazione secondo cui tale processo debba essere un atto creativo lucidamente inconsapevole tale cioè da liberare diligentemente l’irrazionale, quell’Assoluto che fa si che l’Infinito di Leopardi continui ancora a commuoverci e rimanere Eterno.
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Il testo di Antonella Murabito, Arte e Scienza: un dialogo “Infinito”, rappresenta un saggio articolato, profondo e ambizioso, che intende esplorare e dimostrare l’interrelazione costante e dinamica tra due ambiti apparentemente distanti: l’arte e la scienza. L’autrice ci guida in un lungo viaggio che attraversa la storia, la filosofia, la letteratura, la neuroestetica e la biologia, restituendo un quadro ampio e stimolante sul processo creativo e sulla sua duplice natura, tanto razionale quanto inconscia.
Il valore del testo risiede soprattutto nella sua capacità di tenere insieme due prospettive: da un lato quella scientifica, con riferimenti puntuali a studi neuroscientifici e alle teorie sui neuroni specchio e sulla sinestesia; dall’altro quella poetico-letteraria, attraverso il pensiero di filosofi e poeti come Platone, Nietzsche, Baudelaire, Rimbaud e Pasolini. Questa integrazione rende evidente come la creazione artistica non sia riconducibile a una sola dimensione – biologica o culturale – ma sia frutto di una costante oscillazione tra conscio e inconscio, stile e impulso, ordine e caos.
Molto interessante è il confronto tra la posizione di Casadei, che pone l’elaborazione cognitiva e stilistica come momento culminante della creazione artistica, e quella di Pasolini (che l’autrice sembra condividere pienamente), per il quale l’arte autentica nasce solo quando si riesce a “liberare diligentemente l’irrazionale”, restituendo così alla creazione la sua componente visionaria e profetica. In questo confronto si coglie il cuore argomentativo del saggio: l’Arte, per essere tale, non può esaurirsi nella consapevolezza razionale, ma deve attingere a quella forza primigenia, incontenibile e “lucidamente inconsapevole” che dà vita all’eterno.
Il testo si distingue anche per la sua densità concettuale e per l’ampiezza dei riferimenti, ma proprio questa ricchezza può rappresentare un limite per alcuni lettori: la struttura è a tratti fitta, con passaggi che richiedono una conoscenza pregressa sia in ambito letterario sia in quello scientifico. Tuttavia, la profondità della riflessione compensa ampiamente questa complessità, offrendo spunti stimolanti su come oggi possiamo (e forse dobbiamo) ripensare il ruolo dell’arte in relazione alla conoscenza.
In conclusione, Arte e Scienza: un dialogo “Infinito” è un testo colto e coinvolgente, capace di fondere ambiti disciplinari diversi in un discorso coerente e appassionato. Il saggio invita a riflettere non solo sul rapporto tra due mondi, ma anche sulla natura stessa della creazione, restituendo all’Arte quella dimensione “infinita” che le consente di toccare, oggi come ieri, le corde più profonde dell’esperienza umana.