Melania Panìco su Pompei,
Luigi D’Alessio, CartaCanta, 2015
Dalla biografia di Luigi D’Alessio leggo: è nato sotto il vulcano più famoso del mondo. Il napoletano è la sua lingua madre e l’ha portata altrove. “Pompei” è il racconto di una vita. Ma qual è questa vita? La sua? La nostra? Il titolo di questa bella raccolta è evidentemente un omaggio a uno dei luoghi più suggestivi del mondo.Sullo stesso piano della forza e della sacralità del posto c’è la potenza della lingua. D’Alessio è uno studioso della “napoletanità” e utilizza la sua potenza in un modo particolarissimo e cioè come tramite tra il mondo pietrificato e stratificato di Pompei e il mondo dei vivi. Ѐ un libro strutturato su più livelli di comprensione e di manifestazione della poesia.
All’inizio sembra che l’autore voglia indirizzarci verso un percorso concettuale prestabilito, facendo del libro una guida: la volontà di creare una sorta di itinerario in versi. Itinerario è un concetto che viene in mente quasi subito pensando alla raccolta.
Che tipo di itinerario? Innanzitutto un itinerario della resistenza. “Permanenza” è un parola che compare nelle prime pagine a indicare qualcosa che resti nei secoli come sacro: com’è potuto accadere/di assistere all’assenza/loro/che non hanno vissuto/amore mio/la permanenza.
Il primo sguardo è lo sguardo del fruitore, del turista, che in ogni caso non può essere uno sguardo distaccato. Poi gli sguardi sembrano confondersi. Avviene un’osmosi che solo in un luogo pieno di una certa magia può accadere.
Rondoni nell’introduzione dice: “vite che sfuggono sempre alla pietrificazione anche grazie alla poesia” ma non è proprio la pietrificazione in un certo senso a segnare il filo del “sempre”, a “calcificare” il concetto d’amore? In fondo è un libro d’amore e l’amore è sempre un rischio. Questo si comprende da subito. L’itinerario della resistenza è anche un itinerario dell’amore. C’è una poesia che dice: resteremo per sempre/ dove hanno catalogato il bianco/della nostra esistenza/qui in uno spazio/tra il Vesuvio e la poesia/lo scappare e la corsa/immobile dei nostri gesti. Qui comprendiamo che c’è sia mobilità che immobilità, il bianco dei calchi di gesso è un bianco su cui si può scrivere la storia, su cui si può scrivere quello che c’è stato e quello che non c’è stato. Il gesso trasforma le vite vissute in un’immagine in cui possiamo riconoscerci. Rappresenta un riscatto dalla morte.
E poi ritorno alla lingua per parlare di itinerario della lingua. L’io narrante che è nel momento presente, vive attraverso il rapporto con il posto e i suoi abitanti che ormai sono sepolti. La lingua napoletana è questo tramite. Tutto subisce il fascino della stratificazione: l’io narrante si confonde con le altre voci in un gioco di riconoscimenti.Le poesie hanno una “traduzione” in italiano, anche se in effetti ci troviamo di fronte a una riproposizione che per forza di cose non può essere fedele. Il napoletano ha un sistema fonosintattico proprio e tradurre letteralmente sarebbe un’operazione impossibile e forse inutile ma soprattutto non necessaria ai fini del senso. Il ruolo della lingua nella poesia di Luigi D’Alessio è fondamentale: è dislocazione che afferma ancora di più l’appartenenza. Il napoletano è lingua di nostalgia che si fa canto di sirena. E noi ci lasciamo ammaliare.
‘o ll’urdomosarrà pur’ isso
talmenteluntano
’a nunsapécchiù
ched’è ‘o lluntano
nun rimarrà nisciuno
enisciuna parola
venarràcchiù guardata
sulamente ’a ruvina
e ’o scarrupo d’ ’e pprete
rummanarràcca
primmaca nu’ vvenequaccuno
s’acala
piglia ‘napreta
e ‘a vottacchiù ’nlla d’ ’o lla
p’ accummincia a cchiammà ’e ccose
cu ’o nommeovero d’ ’e ccose
l’ultimo
già non puoi vederlo
non resterà nessuno
non verrà guardata
più nessuna parola
solo la disfatta
resterà qui
prima che non giunga qualcuno
si chinerà
prenderà la prima pietra
e incomincerà a lanciarla
per iniziare a chiamare
col proprio nome ogni cosa
***
mme tiene mente
e ’mmocca a tte
parle d’ ’e ccosecanun ce stanno
mmeguarde tiene mente
comme a ssi cu nazenniata
tummevulissemoammezzià
pemme ne fàjí ’a cca e vvenícchiùvvicino
vicinovicino a ccoccheppart’ ’e te
nziem’ a ttutt’ ’e ricordeca i’ tenco ’e me
eddó tu movulissetrasí
pegghí a vvedécomme so’
’e scurdanze tra ’sti mmurecca
oramajecchiùvvacante d’ ’e vvoceca tu
stajecercanno pe ssenterechelloca i’
ncepienzeprop’ i’
nunppozzocchiùssentí
mi osservi
e nel tuo silenzio
parli di ciò che non c’è
lanci messaggi da uno sguardo
o con un gesto che dia redenzione
a questo infinito gerundio
tra la mia memoria
che vorresti possedere
e la disfatta dei suoi ricordi
che ti ostini a cercare
nonostante essi
non potranno avverarsi
Luigi D’Alessio è nato sotto il vulcano più famoso del mondo.
Il napoletano è la sua lingua madre e l’ha portata altrove.
Ha lavorato nella moda e ha raccolto messaggi sulla nostalgia di ciò che non accadde.
“Pompei” è il racconto di una vita.