ho un’età scientifica
ho un’età scientifica
che siede a tavola
assaggia i sogni
lasciando briciole sparse
ho un’età imponderabile
diffusa ovunque
quella di un polpo alieno
dai grandi occhi spaventati
età inafferrabile
nella traiettoria fratturata
dell’elettromagnetismo
di Einstein passando per Keplero
ho un’età disarmata
per qualcosa che non torna
pur avendo studiato teorie relative
e clamorosi errori
nel finale
mi ostino a scrivere
il trionfo dei granelli di sabbia
salendo e scendendo
nell’universo
sembra essere un vento
sembra essere un vento
estremamente pericoloso
quello che si apre alle tre di notte
il bordo del sonno diventa
una trappola del tempo
invecchiato sulle molecole
dei nostri umori
respiro rabdomante
ferraglia cosmica
del viaggio dantesco
al centro del nostro
disimparare
è il modo inconsistente e dolce
del reale di cui non facciamo parte
scampati all’eccidio suicida
nello specchio melanconico
del suggeritore universale
non muoio per consunzione
non muoio per consunzione
né per approssimazione
muoio per completare un fascicolo
aperto a mio carico
per esplorare i confini di una vita
senza poter andare oltre
anche il viso più affine si dissolve nel tempo
non voglio dimenticare di aver vissuto
per questo io muoio
scuotere l’infinito
scuotere l’infinito
lasciar cadere qualche atomo storto
una formula matematica liquefatta
per comprendere
il calor bianco
di un apparire giovane
del secolo in rivolta
codici senza materia cercano casa
una stella cadente
troverà la strada per arrivare ai miei piedi?
percuotere l’universo
hic et nunc
Einstein aveva ragione
l’inverno celeste
ha il colore della paura
i battiti i giorni sono
incapaci di vedere
fino alla fine dei molti delitti
alleva il vento grave
alleva il vento grave
se vuoi doppiare il ritorno
in quel giorno d’estate
un passaggio d’effetto
quando urtasti qualcosa a bordo
versato sul pavimento celeste
e l’equazione fu capovolta
in un cieco mondo
un inferno dantesco
è un’idea mirabolante
convinti che il viaggio possa continuare
nel tenue reale
la porta d’ingresso
di cui facciamo parte
per il mutamento transgenico
che cos’ha il nulla
che cos’ha il nulla
per essere così vivo e umido
da attrarre ogni infinito?
eppure il nulla si modifica
ed è crudele nella inviolabile connessione
mi prende per le braccia
mi scuote nel profondo dilatato
tutti escono dal mondo possibile
cadono nel silenzio
l’unica gloria concessa
senza nome senza storia
la notte il corpo
la notte il corpo
le piccole allergie per giustificare il giorno
si pensa in fretta per mascherare il silenzio
la notte
il corpo
non ha pudore
tutto diventa bianco preistorico
il mio amore per il mondo è così perduto
da ammutolire ogni morire
la notte
è popolata di passi senza voce
lasciano un vuoto di promesse
dammi la mano
perché tutto esiste di ciò che è stato
dovevamo vederla insieme
dovevamo vederla insieme
la città celeste dei monaci angeli
ricordi Maria Luisa?
oggi sono qui
sul pavimento tridimensionale della Certosa
risuonano i passi leggeri della tua ombra
mi volto
sorridi
nella penombra allungata dei tuoi occhi di gatto
quanto li amavo
pensavamo di sostare insieme nelle celle
tanto spazio tanta meraviglia per pochi eletti
ti divertiva
la rima tra certosino e petrosino
la bizzarra scala elicoidale
avvolta su se stessa nell’aria
dicevi
deve essere un rebus enigmistico
e la soluzione te la rivelerò dal cielo
questa notte di tigli e gelsomino
questa notte di tigli e gelsomino
insieme così violenti
aiutano a scendere
nell’insostenibile bisogno di chiamare
tutto per nome?
cerco un’identità nel caos
i colori i sapori i suoni le lingue gli odori
sono solo un altro millimetro di materia
e la vastità aumenta
la bellezza del mondo
è un lungo addio
un toccare la vita
prima che nasca
nasceranno sempre meno stelle
nasceranno sempre meno stelle
in questa parte infantile d’universo
e gli indizi dell’esplorazione
saranno noiosi residui improduttivi?
anche la nebulosa di Orione
occhio di dio
gemma d’universo
sarà pulviscolo antenato
di nuovi sbarchi?
e la luna si stancherà di esistere
quando smetteremo di guardarla?
in tutto c’è azione a distanza
nel tessuto del cosmo
e l’enigma quantistico di Einstein
è inquietante schema complesso di correnti
piano piano la postura dell’anima sfiderà
la gravità del dettaglio
e le catene muscolari umane
prenderanno forza
dai resti di supernova
una dose di emergenza
ci spingerà oltre il cataclisma
è praticamente magia
se le particelle si affacciano
nel medesimo istante
come accogliere il profumo della pioggia?
come accogliere il profumo della pioggia?
l’odore pungente dolciastro
dalla terra
assetata
inondata di gocce copiose
geosmina
oli resine effluvi dissolti nell’aria
petricore linfa degli dei
per noi stupiti ancora
da millenni
benedicenti al miracolo del vapore dell’acqua
anche i cammelli
fiutano il temporale raro nel deserto
nell’oasi distante
annusiamo l’aria
respiriamo l’anima
tratteniamo il vento che ogni tanto
a bassa quota
ci vortica radiosi
al culmine dell’estate
ti prego fai piovere
a terra le nostre inettitudini
da troppo tempo a mezz’aria
forse qualcuno ascolterà il fragore
ho raccolto rami di rosmarino
ho raccolto rami di rosmarino
per riempire le stanze dell’addio
il lutto va colmato di memoria
lo sapeva Ofelia che nel distacco dice
ecco del rosmarino per la rimembranza
il profumo accende i ricordi
di chi ha abitato l’orrore
perché non siano morti davvero e inutilmente
per combattere l’odio la negazione
profumiamo le stanze di rosmarino
pianta gentile tenace
dai piccoli fiori di cielo
dove sbocciano i sogni di chi è eternamente
respiriamo il rosmarino a pieni polmoni
in orti giardini terrazzi
per non dimenticare
per ricordare di essere vivi
dove siedono gli angeli di Kiev
dove siedono gli angeli di Kiev
il tempo rallenta
su in alto
le lacrime si asciugano
prima di toccare terra
e così nessuno ascolta
quella mietitura di dolore
che proprio dalle ali
cade nel cielo
il match
non terminerà
zero a zero
tremano gli angeli di Kiev
sulle alte colonne
frugo nelle assonanze
frugo nelle assonanze
delle lingue rilevanti
per indagare il rito tramandato
dal nero all’oro
ho trattato le parole da nascondiglio
l’uragano ha infranto
la traduzione del cosmo
nei nomi
indagati
per pregare
l’ultima agonia
compaiono nell’ordine
compaiono nell’ordine
mentre ci avviciniamo
al rifugio polare
alla sequenza impassibile
la pioggia il vento le chiavi
i tetti rannicchiati
i gatti veloci
il sole che sussiste oltre
quando la interroghiamo
la parola
farfuglia resta muta
ci sfugge dalle mani
uno stormo in volo
che di colpo cambia rotta
i gesti le parti del corpo
hanno una sovranità nuda
rappresa su una storia vandalica
scelta per ammirare
il nostro irresistibile sgomento
ci svegliamo solo per
il brusco scrollone della neve sugli alberi
la massima difesa dello stare al mondo
quando Edison
quando Edison
inventò la luce
non fu un giorno buono per le falene
l’esplosione in piena notte
le stordì
morirono a migliaia
andando incontro
al tradimento
di quello che credettero
troppo ardore
tanti di là
tanti di là
dispersa Atlantide
irriconoscibili le nostre vite
per delicati che siano i veleni
di giorno in giorno tornano a galla
in questa storia di demone malnato
tutto è diventato confine minore
ammanco da qui al nulla del precipitare
come confesso
una bestemmia che non so abitare?
l’ho sempre ascoltata la pioggia
l’ho sempre ascoltata la pioggia
le sue variazioni orchestrali
prestate alle cose cadenti
tetti grondaie strade
o meglio alberi e cespugli
fiori di mandorlo a primavera
con quel suono bianco
che solo la pioggia delle altezze
fa scorrere sulla pelle delicata
ma ora ora
la pioggia ha una pena grave dilatata
nel silenzio vuoto d’impronte
una bellezza esiliata dal troppo desiderare
la pioggia questa sera
è un coro di angeli sterminatori
la vita è vita
anche fuori da noi
fuori dalla nostra
presuntuosa mancanza
di speranza
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