di Gianfranco Lauretano
Eleonora Mazzoni, Il cuore è un guazzabuglio, Einaudi 2023
Alessandro Manzoni, chi era costui? Tutti potremmo benissimo paragrafare Manzoni stesso, anzi Don Abbondio, quando all’inizio del capitolo ottavo dei Promessi Sposi alza gli occhi dal libro in cui legge di un certo Carneade, chiedendosi chi fosse, espressione tanto efficace e saporita da essere, da allora, sinonimo di persona ignota e sconosciuta. Tutto sommato anche Manzoni è così, per la stragrande maggioranza di coloro che parlano la lingua italiana in cui ha scritto, e un po’ rilanciato in mezzo all’Ottocento. Non si vuole scordare che tutti gli studenti che siano passati dalla scuola superiore in gioventù l’abbiamo prima o poi incontrato: ma per i più è stato quasi uno scontro, più che un incontro, da lasciare prima possibile sul luogo e il tempo dell’incidente di percorso.
Il che è un peccato. Perché Manzoni è un genio e il suo romanzo un capolavoro di lingua, di storia, di sapienza umana, di ironia, di poesia. Lo sa bene chi in età maturata rispetto all’adolescenza, osa riprenderlo in mano, rimanendone generalmente fulminato di bellezza. Ma costoro sono ancora pochi: per tutti gli altri è necessario un libro come Il cuore è un guazzabuglio, di Eleonora Mazzoni, che ha per sottotitolo “Vita e capolavoro del rivoluzionario Manzoni”. Appena pubblicato da Einaudi, il libro sta già circolando bene. E se lo merita, perché è un testo affascinante che affascina, riconcilia col gran lombardo, scritto in modo schietto e assolutamente contemporaneo, senza un fronzolo che sia uno, eppure in pieno rispetto dei Promessi sposi e di chi l’ha scritto.
Eleonora Mazzoni ha avuto la gustosa idea di raccontare la vita di Manzoni in forma di romanzo. Sa bene che oggi la narrazione è ciò che ci avvince, che per spiegare qualcosa a qualcuno si deve ricorrere a quella forma: anche uno scienziato che voglia divulgare una nuova scoperta fisica, che so, una formula, ricorre al metodo di “raccontarla”. Ma l’autrice è qui documentatissima: si è letta le migliaia di lettere scritte dall’autore, ad esempio, il che le ha consentito, come afferma lei stessa, di seguirlo passo passo; ha saputo rimanere connessa con il periodo, il clima culturale, la Milano ottocentesca tra piccolo cabotaggio romantico-illuminista (gustosa la rievocazione della stagione del “Conciliatore” di Silvio Pellico e Giovanni Berchet) e convulsioni politiche e patriottiche; ha saputo aprire finestre, come quella parigina, care all’autore e importanti per certi avvenimenti fondamentali della sua vita.
Un altro dei pregi de Il cuore è un guazzabuglio è il parallelo, tenuto sempre vivo, tra la vita dello scrittore e il formarsi della sua creazione. Eleonora Mazzoni scorge più di una simmetria tra biografia e opera: ci fa notare che il personaggio di Lucia Mondella ha un cognome che consuona con Enrichetta Blondel, la moglie, portandoci attraverso questa coincidenza a scoprire le somiglianze di carattere, fino a quelle che riguardano la sensibilità morale e religiosa; ci ricorda che la rivolta popolare contro i fornai a cui Renzo assiste nella storia è stata probabilmente osservata in diretta da Manzoni nella Milano dei suoi tempi; fa emergere che lo sguardo di simpatia umana che rivolge persino ai personaggi più tragici del romanzo, come la monaca di Monza, apparteneva allo scrittore stesso.
Manzoni, la cui figura ci è rimasta probabilmente impigliata nella memoria come quella d’un bigotto un po’ austero, viene corretto da questo libro e restituito a un’umanità certamente più vera: d’altronde il suo romanzo è pieno di ironia, di situazioni grottesche, di avventure e persino aspetti comici, che mal si accordano col pregiudizio che abbiamo su di lui. Ci viene ricordato, ad esempio, quanto fosse laborioso e innovatore nel condurre le sue tenute, capace com’era di conciliare le nuove conoscenze nel campo dell’agricoltura all’accordo coi ritmi creaturali delle stagioni e persino la possibile precarietà di quel tipo di lavoro; e che fu capace di indebitarsi pur di aiutare i suoi contadini nelle annate di penuria.
Dice Eleonora Mazzoni: “Un Manzoni agricoltore per sé e per gli altri s’intravede una simbiosi perfetta tra spirito illuminista e afflato evangelico. La fiducia in Dio si associa alla simpatia dell’ingegnosità umana e nella sua capacità di manipolare, modificare, migliorare il naturale andamento degli eventi. E si salda al sentimento di percepirsi tutti fratelli”. Un Manzoni che ci viene semplicemente e precisamente restituito insomma, anche nelle parti della sua biografia in cui, mancando fonti storiche, la ricostruzione è data dalla narratrice, ancorché in modo sempre verosimile. E non solo lui, anche certi personaggi, talora ostici, come Don Abbondio, ci sono illuminati di nuovo. Compreso il più ostico di tutti: Lucia. Nella sua fisionomia il tratto principale che la contraddistingue, la mancanza di paura persino di fronte all’Innominato, ci viene raccontato in questo libro allo splendido capitolo 26, togliendo a lei quella patina un po’ suoresca, da contadinotta ottusa, che le avevamo appiccicato addosso, per restituircela intatta come uno dei personaggi più grandi della letteratura dell’Ottocento, forse l’unico che possiamo annoverare tra quelli misteriosamente e inspiegabilmente comparsi, come Jean Valejan o Lev Myškin, ad ampliare una possibilità di senso che solo i capolavori come quello di Manzoni hanno saputo far vivere.