di Veronica Colombo
Ero in Siberia da poco più di un mese, fuori era grigio come al solito. I piccioni sfilavano al freddo davanti ai vetri della finestra, camminando sul davanzale.
Incontrai Brodskij per la prima volta nelle ultime note a piè pagina di un articolo sulla ricezione di Dante nella poesia russa, imboscato fra le righe di una lingua straniera. Nitidi e netti, senza niente di più e niente di meno, stavano gli ultimi versi di Funerale di Bobo (Pochorony Bobo), a dire di quel grigio fuori e del silenzio tutto intorno, con le uniche parole che non trovavo e cercavo da quando ero arrivata in quel posto.
Funerale di Bobo fu scritta da Brodskij nel 1972, l’anno dell’emigrazione del poeta dalla Russia. Di lì a pochi mesi, sarebbe partito per non fare più ritorno in patria. L’esilio, come un’inevitabile metastasi della condanna per parassitismo di qualche anno prima, recava ancora in sé la risposta che Brodskij diede al giudice quando fu processato la prima volta; alla domanda: “qual è la sua professione?”, disse: “il poeta”.
Laconica, Funerale di Bobo è una poesia in cui il dolore permea attraverso il distacco, abita nella quotidianità quasi irrisoria nascosta dietro a due sillabe vuote: “bo-bo”. Secondo Losev, amico e biografo dello scrittore, il nome della protagonista delle esequie verrebbe forse da “bo-bo”: il modo in cui i bambini dicono “bol’no”, “fa male”. Il modo del nudo e semplice dolore.
E così, come in una litania, lapidaria, ognuna delle quattro parti della poesia ripete: “Bobo è morta”, affrettandosi subito ad aggiungere: “ma non toglierti il cappello”. Eppure, anche se “non c’è niente per cui consolarsi”, (“non ce ne è bisogno”), per il poeta, Bobo, “mia Bobo”, era tutto (“tu eri tutto”).
Ma chi è Bobo? Sempre Losev ha suggerito di associarla alla farfalla, in russo “babočka”, del componimento omonimo di Brodskij che inizia così: “Dirlo, che sei morta? / ma hai vissuto solo un giorno”. La conclusione è: “tu sei meglio del nulla / nel tuo volo / il nulla acquista carne / e per questo / nel tramestio di ogni giorno / sei degna di uno sguardo: / sei la barriera lieve / fra lui e me”.
La barriera con il nulla sembra, in Pochorony Bobo, abbattuta: anche qui c’è una farfalla, ma appuntata al muro con lo spillo. Ora il nulla è lì, di fronte. Il nulla è Bobo, come disse il poeta in un’intervista: «Bobo — eto absoljutnoe ničto», «Bobo è il nulla assoluto».
Lo suggerisce il nome stesso, un suono o balbettio senza senso, la ripetizione delle ‘o’ che riecheggia per tutta la poesia, le continue negazioni che insistono fino alla fine, svuotando. “Tu eri tutto. Ma dal momento che ora / sei morta, mia Bobo, tu sei diventata / un nulla – per l’esattezza, un grumo di vuoto”.
Il vuoto è il vuoto della morte, dell’assenza che sottrae la vita a se stessa, quando ogni cosa diventa solida, le parole sembrano scolpite “e l’aria entra quadrata nella stanza”. È come se tutto faticasse a sopravvivere, anche il dolore: “La sensazione, da spartire, / è semplice, ma scivola come il sapone”. Di fronte alla perdita, Brodskij agisce per sottrazione, in una lingua scarna e cruda che si priva in modo definitivo di ciò che le è stato tolto, con un gesto violento. Il vuoto è ciò che rimane: “Io credo nel vuoto”.
C’è però qualcosa che risponde a quel vuoto, come l’eco fa nei luoghi cavi.
La poesia è, di quel vuoto, la forma, il bozzolo, ciò che davvero resta, e per questo è forse “qualcosa” di più, come lo è Bobo: “un grumo di vuoto. / Che è già, capisci, qualcosa” (letteralmente: “nemalo”, “non poco”). Il vuoto non è né l’abisso né l’inferno, qui. È peggio: “fa solo più schifo”. Ma è anche uno spazio fisico, un “luogo vuoto” (“pustoe mesto”) concreto ed esistente. Non è solo il “bianco-bianco” delle strade. È anche lo spazio di una pagina bianca, dove Brodskij mette la parola (“slovo”), che in questa poesia è letteralmente l’ultima parola su quel “qualcosa” che è tutto e niente, che è Bobo: “I na pustoe mesto stavit slovo” (“E mette la parola in uno spazio vuoto”).
Похороны Бобо
И. Бродский
1.
Бобо мертва, но шапки не долой.
Чем объяснить, что утешаться нечем?
Мы не проколем бабочку иглой
Адмиралтейства – только изувечим.
Квадраты окон, сколько ни смотри
по сторонам. И в качестве ответа
на «Что стряслось» пустую изнутри
открой жестянку: «Видимо, вот это».
Бобо мертва. Кончается среда.
На улицах, где не найдёшь ночлега,
белым-бело. Лишь чёрная вода
ночной реки не принимает снега.
2.
Бобо мертва, и в этой строчке грусть.
Квадраты окон, арок полукружья.
Такой мороз, что коль убьют, то пусть
из огнестрельного оружья.
Прощай, Бобо, прекрасная Бобо.
Слеза к лицу разрезанному сыру.
Нам за тобой последовать слабо,
но и стоять на месте не под силу.
Твой образ будет, знаю наперёд,
в жару и при морозе-ломоносе
не уменьшаться, но наоборот –
в неповторимой перспективе Росси.
3.
Бобо мертва. Вот чувство, дележу
доступное, но скользкое, как мыло.
Сегодня мне приснилось, что лежу
в своей кровати. Так оно и было.
Сорви листок, но дату переправь:
нуль открывает перечень утратам.
Сны без Бобо напоминают явь,
и воздух входит в комнату квадратом.
Бобо мертва. И хочется, уста
слегка разжав, произнести «не надо».
Наверно, после смерти – пустота.
И, вероятно, это хуже ада.
4.
Ты всем была. Но, потому что ты
теперь мертва, Бобо моя, ты стала
ничем – точнее, сгустком пустоты.
Что тоже, как подумаешь, немало.
Бобо мертва. На круглые глаза
вид горизонта действует как нож, но
тебя, Бобо, Кики или Заза
им не заменят. Это невозможно.
Идёт четверг. Я верю в пустоту.
В ней как в аду, но более херово.
И новый Дант склоняется к листу
и на пустое место ставит слово.
Funerale di Bobo
I. Brodskij
1
Bobo è morta, ma non toglierti il cappello.
Come spiegare? Non c’è niente per cui consolarsi.
Non appuntiamo la farfalla con lo spillo
dell’Ammiragliato, la mutiliamo soltanto.
Le finestre sono quadrate, per quanto
ne squadri i lati. E in risposta a:
“cosa è successo” apri una scatola di sardine
vuota dentro: “ecco, questo”.
Bobo è morta. Sta finendo il mercoledì.
Sulle strade, dove non trovi da pernottare
è bianco bianco. Solo l’acqua nera
del fiume notturno non trattiene la neve.
2
Bobo è morta e in questa strofa c’è malinconia.
I quadrati delle finestre, i semicerchi delle arcate.
Un freddo tale che, se ti uccidono, sia almeno
con armi da fuoco.
Addio Bobo, meravigliosa Bobo.
Una lacrima dona al formaggio tagliato.
Noi, per seguirti, siamo troppo deboli,
ma anche stare fermi supera le nostre forze.
La tua immagine, lo so in anticipo,
al caldo, e al freddo-clematide
non diminuirà, anzi, tutto l’opposto,
nell’irripetibile prospettiva di Rossi.
3
Bobo è morta. La sensazione, da spartire,
è semplice, ma scivola come il sapone.
Oggi ho sognato di essere sdraiato
nel mio letto. Così è stato.
Strappa il foglio, ma cambia la data.
Lo zero apre l’elenco delle perdite.
I sogni senza Bobo ricordano la realtà
e l’aria entra quadrata nella stanza.
Bobo è morta. Viene voglia, con le labbra
schiuse appena, di pronunciare: “non ce n’è bisogno”.
Probabile, che dopo la morte ci sia il vuoto.
Ed è più probabile, ed è peggio dell’Inferno.
4
Tu eri tutto. Ma dal momento che ora
sei morta, mia Bobo, tu sei diventata
un nulla – per l’esattezza, un grumo di vuoto.
Che è già, capisci, qualcosa.
Bobo è morta: nel cerchio degli occhi
si muove la linea dell’orizzonte, come un coltello.
Ma con lei, Bobo, Kiki o Zaza
non ti scambieranno. Non si può.
È mercoledì. Io credo nel vuoto.
Nel vuoto si sta come all’Inferno, fa solo più schifo.
E il nuovo Dante si china sul foglio
e mette la parola in uno spazio vuoto.
Traduzione di Veronica Colombo
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