di Paola @troppaseta
Sono sempre stata affascinata dal suolo. Quel suolo calpestato, gravato, segnato e poi mitigato e arricchito dal passaggio di chi in letteratura amo, di chi era, non è più e continua ad essere.
Quello di Casamassella, Lucugnano, Maglie, Tricase… Quella superficie privilegiata che ha conosciuto i passi di Girolamo Comi, sulla quale inciampo con i pensieri rivolti ai suoi versi.
Poeta meraviglioso, misantropo e spirituale, umile, incurante del prestigio e della fama.
Il Salento, lingua di terra rossa in mezzo al mare, ha conosciuto e catturato l’armonia di quella camminata e la Bellezza struggente dei suoi versi, traboccanti di quell’immedesimarsi nel Creato, di quel sentirsi “vivo di sobri equilibri nell’ossame della natura”.
Lui che alla Natura rubò il nome per la sua rivista culturale: l’Albero.
Un “albero” dalla ricca chioma: figure meravigliose come/Comi lui collaborarono alle pubblicazioni. Si pensi a Maria Corti, Giuseppe Ungaretti, Mario Luzi, Giorgio Caproni, Vittorio Bodini (solo per citarne alcuni).
Il suolo oggi è lo stesso di allora, ma io sono nata in un tempo sbagliato: ah, se fossi stata granello di polvere depositato su una scrivania di Palazzo Comi, in quel tempo così perfetto (intorno al 1950)!
Chi legge Girolamo (Girolamo, sì: è così famigliare per me) non può che sentirsi seme, radice, fiore, sasso, albero insieme a lui.
E, forse, anche granello di polvere in un tempo ingiusto.
Photo credit: musicaos.org
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