Claudio Di Consoli è un giovane poeta esordiente che già mostra una forza e una capacità di fondere una suprema tensione conoscitiva e stilistica con l’occhiata feriale sul mondo. Un mondo di quotidianità personali e comuni che cerca uno sguardo di compassione e di inquieta irriducibile domanda di senso. Come la riva da cui vivere, da cui viaggiare sempre.
Davide Rondoni
VERSI IN ADDENDA
Ho visto in sogno il Golgota,
in qualche modo ho guardato
di Lui il pietoso sguardo
smarrito dell’anatra al macello.
Ci fosse consentito nell’aldilà dare un indizio del nostro poi,
cospargere le strade di silenziosi «io son qui»
sotto forma di acanto nei giardini del comune
o tra le nuvole, quando è consentito disegnarsi nel profilo
di chi si era in vita (certo si dovrà credere in qualcosa)
noi saremmo in grado di andarcene come le ombre
al finire del giorno, nell’attesa di un nuovo sole.
Troppe volte invece cerchiamo i morti
nelle piazze tra la gente.
I segni del reggicalze sulla pelle
e tutto ciò che ne consegue, la carne che si muove
tra la carne bagnata e lei, contorsionista esausta
che mi scruta in silenzio, si domanda cosa abiti in me
se le mani secche vogliano dire fame o notti bianche
passate ad appoggiarsi sui davanzali
quando di amare in certe ore proprio non si ha voglia.
anche tu
cercherai nell’orologio stanco le risposte del cosmo
quando il mantra sarà finalmente superato
studierai il modo migliore per salutare la terra
cercando di ricordare ogni momento trascorso,
nella immediata paura di non essere mai stata
nient’altro che la schiuma che rigetta il mare
o il sale che bagna i piedi
il tentativo sarà dire: ho conosciuto la marea
non già a riva ma dal fondo, dove non uno
è mai stato, guardandoti attorno nello stupore
generale.
Mondo mi fuggi, e ti riveli distratto
nell’incerto pomeridiano, quando
è troppa l’ombra che genera il sole
e troppo è forte questa nascita per
non amare il tempo, e te, nel vostro
ordine provvisorio.
Ma al venire della sera anche la morte
ha il colore tenue di ore già vissute
se sei circondato dal silenzio perpetuo
dei notiziari, desolato (ma senza saperlo)
dall’assenza di un mare dove non bagnasti
il triste corpo del cittadino astuto
ma la punta di un dito sui capelli secchi
dopo l’ultimo tramonto.
Anche lui si girò temendo non fosse
il momento giusto per un’ ora pro nobis
e ci guardammo, ché domandare a Lei
così, tra una sigaretta e l’altra di farci
vivere per sempre sembrava uno scacco
alla santità, non contando che all’epoca
si era innamorati per gioco, per dovere.
Così passammo il tempo a staccare petali
nel buio parco di malta montata la sera prima
coperti dal misterioso canto del grillo stanco;
era soldoni un pomeriggio come ne avevamo
passati troppi nella nostra vita.
Anche lui si girò temendo non fosse
il momento giusto per un’ ora pro nobis
e ci guardammo, ché domandare a Lei
così, tra una sigaretta e l’altra di farci
vivere per sempre sembrava uno scacco
alla santità, non contando che all’epoca
si era innamorati per gioco, per dovere.
Così passammo il tempo a staccare petali
nel buio parco di malta montata la sera prima
coperti dal misterioso canto del grillo stanco;
era soldoni un pomeriggio come ne avevamo
passati troppi nella nostra vita.
Le bottiglie di vetro infrante, la notte
con i suoi abitanti inattesi e l’amore
fuori dagli orologi,
nonostante la lotta lei è fiera col volto
in avanti donna senza armatura l’ombra
è felina ma di creatura ormai stanca di
lottare. Entrambi cercando ancora di parlare
smarriti nelle punteggiature del vecchio mondo
si cercano in convenzioni come formule
di scienza senza capire bene dove andare
se basterà il sussurro di un per sempre o vedere
nelle lacrime il sincero rammarico, la desolazione.
Lei non ha finito la scuola e se la prende col vento
che resta mentre l’alba digrigna i denti e le nuvole
lasciano un cielo senza quinte.
Canterà presto l’uccello senza nome la musica del
giorno e torneremo tutti a casa con la coda tra le gambe.
Non oltre si pone all’uomo la vita
ma di un passo cede se in ginocchio
preghi e sommi i secoli che precedono:
ti si mostrerà il turbinio del gorgo
abitato in te, un piccolo perimetro
che non è cuore è carne che si lacera
senza voglia, non è anima è l’uomo
nel suo abituale dominio: ma se preghi
per un momento soltanto ti accorgerai
che non di molto ha sfiorato la vita l’uomo.
L’obbligo di scovare nomignoli
forse si compie nei kanji dove
tremano voci a noi sconosciute
mentre qui hanno preso tutto il bestiario
per non parlare dei vegetali,
arbusti, nomi di città e perfino campi
di battaglia, ti hanno chiamata in tutti i modi
dal pepe alla salvia non si sono risparmiati
di chiamarti nemmeno puttana in certi vicoli
la notte, ti hanno chiamata amazzone
e valchiria e mia Saffo, non una parola resta
che non sia termine duro. Cercherò
nei cassetti allora un non so che di originale
se chiamarti per nome è peccato mortale.
ma lui ti paga per non restare
per non amare,
se devi tu sarai quel che di sbiadito
ha la notte se fuori casa prometterai
con voce appena, quanto basta:
tu sai come fragile è il corpo
come l’uomo un fiore colto
ma senza garbo messo lì, a marcire
nel suo membro:
egli è padre senza tempo.
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