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Conversazioni in Sicilia, un’analisi

di Davide Fiorentini

Era il 1922, quando il regime fascista instaurò una dittatura. Mussolini dovette plasmare la coscienza degli italiani, per farlo applicò la cosiddetta censura di tutti i libri che fossero di nazionalità estera o che fossero sospetti di critiche anti regime. Venne censurato ogni contenuto considerato disfattista dell'immagine nazionale. Il duce aggiunse tra i “temi prediletti”: la morale, la magistratura, la casa reale e le forze armate, una quantità di argomenti che  variarono a seconda dell'evolversi dell'ideologia: basta una piccola fiamma per poter accendere un’idea “pericolosa” nella mente delle persone, capace di far scoprire idee che nemmeno si sospettava di possedere.
Tuttavia numerosi scritti riuscirono a circolare inosservati dalla dogana: uno dei romanzi che riuscì in questo intento fu Conversazioni in Sicilia di Elio Vittorini.

La trama del romanzo potrebbe far pensare che si tratti di un racconto autobiografico, tuttavia in una nota successiva all’epilogo, Vittorini  specifica che la Sicilia rappresentata sarebbe un luogo come un altro. Però risulta difficile credere alle sue parole poiché il padre del protagonista fu un ex ferroviere, come lo fu anche il padre dello scrittore; tra l’altro il personaggio principale è affetto da "astratti furori", gli stessi che magari furono  rappresentati dall’autore nel periodo della stesura del testo. Negli anni precedenti Vittorini criticò il sostegno italiano nei confronti delle forze clericali e reazionarie nella guerra civile spagnola, assieme a Bilenchi e Pratolini. Questa presa di posizione, sommata alla precedente vicenda del romanzo Garofano  rosso, gli costò l’espulsione dal partito nel 1936. Da lì a poco avrebbe cominciato a scrivere il libro Conversazioni in Sicilia che venne pubblicato a puntate sulla rivista “Letteratura” tra il 38 e il 39, prima della pubblicazione avvenuta nel 1941.

Come accennato prima, il protagonista Silvestro è in preda da astratti furori: la sua vita gli appare come insensata. Un giorno riceve una lettera dal padre  Costantino, il quale gli comunica di aver lasciato la madre e di essere andato a vivere con un’altra donna a Venezia e conclude consigliandogli di farle visita  per l’onomastico, invece di mandarle la solita cartolina. Silvestro per sfuggire dall’inerzia della sua vita, decide di partire subito per ritornare, dopo quindici anni, in Sicilia.

La prima parte del romanzo è dominata dal viaggio verso la terra natia. Egli incontra una serie di personaggi con cui tiene, appunto, delle conversazioni che apparentemente non hanno dei reali fini a livello della trama: ognuno dei dialoghi che avverranno Silvestro saranno portatori di un concetto chiave; per esempio nel traghetto incontra l’uomo delle arance: un povero uomo siciliano che lo scambia per un americano; questi rappresenta quella parte della  popolazione sincera, con scene toccanti in cui quest’uomo cerca di offrire un’arancia alla moglie che rifiuta sempre.

Sul treno che lo porta a Siracusa incontra l’uomo con i baffi e senza baffi e che vengono disprezzati da tutto lo scompartimento perché burocrati al servizio del regime: questi simboleggiano  coloro che sono diventati borghesi e hanno abbandonato il resto del popolo. Il “Gran Lombardo” un personaggio, la cui citazione è dantesca, in cui gli si assegna uno dei messaggi chiave dell’opera, ovvero: “ognuno dovrebbe cercare altri e nuovi doveri che riscatterebbero l’umanità sofferente”. Si tratta di un elemento che ritornerà più volte, come per rimarcare quei valori eterni che al giorno d’oggi sono chiamati ad agire. Lo scrittore siciliano nel 1936 iniziò la stesura di un romanzo che poi rimarrà incompiuto Erika e i suoi fratelli il cui tema principale riguardò del mondo offeso: l’idea mai portata a termine consistette nella storia di una ragazza abbandonata dai genitori e che deve prostituirsi per sopravvivere. Giunto nel paese natale egli rincontra la madre ormai anziana con la quale chiacchiera della loro giovinezza. Insieme a lei compie un giro d'iniezioni di quelli che sono malati di tisi o di malaria e qui ci si concentra su una descrizione di tutti i personaggi che soffrono in ambienti tetri e colmi di miseria ma allo stesso tempo entra in contatto con la voglia di  reagire, (in particolare la madre che asseconda tutto il contrario di quello che dicono i malati pur di dare un bagliore di speranza alle loro famiglie).

Il libro è scritto in modo limpido e chiaro ma allo stesso tempo le parole disegnano uno scenario davvero complesso e di difficile interpretazione. Sin dalle prime pagine l’atmosfera è nebulosa e orfica, non a caso si potrebbe interpretare quest’opera come un unico grande sogno fatto dal protagonista. Questo spiegherebbe come mai l’accadere di certi avvenimenti all’interno del romanzo, ma a rendere palese questa caratteristica è lo stile utilizzato: la narrazione è  lirica e ricca di sfumature e rimandi segreti; possedendo un tono, a tratti profetico, ad analogie di difficile comprensione.

Il tutto viene celato da un tono secco, asciutto, in cui si ritrovano tracce del realismo degli anni precedenti e dai dialoghi serrati, rapidi, ricchi di ripetizioni e anafore. Si intuisce l’influenza di autori stranieri come Lawrence e Hemingway ed Elio Vittorini ne uscì rafforzato dalle critiche per aver calato l’espediente dei dialoghi di Hemingway nella realtà italiana.

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