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L’Isola tra le selve di Umberto Piersanti

Umberto Piersanti, L’Isola tra le selve, Marcos y Marcos 2025

di Federica Ziarelli

Sono al telefono con Umberto Piersanti, questo è uno dei doni che la vita, che la poesia mi hanno fatto. Ascoltare la sua voce è come addentrarsi nella sua poetica: è immergersi in un luogo aulico, sospeso nel tempo e nello spazio, in una arcana realtà naturale, di cui per qualche misteriosa ragione, si ha quasi l'impressione di aver trovato un punto fermo dove abbandonarsi ai ricordi di una vita passata nella quale siamo stati Adamo ed Eva, felici nell'innocente lucore di un mondo ancora promettente, incontaminato, fanciullesco; “in un'isola tra le selve” ricolma di delizie: “in due scappavamo dalla storia e volevamo tornare ad essere soli l'uomo-donna nel verde giardino”.

Ed è proprio questo il bellissimo titolo della raccolta poetica di Piersanti, edita da Marcos y Marcos nel 2025 e che raccoglie liriche che vanno dal 1967 al 2024. L'isola piersantiana sono i suoi mondi infantili, unici, vissuti in pienezza assoluta di sguardo, di ascolto; evocati con cura struggente, tramite l'ausilio di una memoria vivissima, ancora affamata di ciò che è stato, ancora presente in ciò che si è esperito con tutti i sensi, tanto da dire “era caldo il fiato delle cose”.

Inscindibili sono gli amori e gli spazi dove si sono consumati; insieme appaiono agli occhi del poeta vicendevolmente illuminati e ugualmente aureolati da un erotismo che opera e agisce come una divinità azzurra poiché azzurro è il colore che domina, che attraversa, che aleggia sulla cicoria, squadra i palazzi, imperversa sui corpi delle donne amate. Oltre alla natura selvaggia e quasi primordiale cantata da Umberto, è il senso del tempo a calcare le sue impronte sulla pagina scritta, un tempo edenico, un tempo indimenticabile ma anche un tempo fugace, effimero, caduco: “la vita è un pomo rosso e mi dispiace che ad ogni morso un poco s'assottiglia”.

Dalla consapevolezza della caducità temporale nasce e sgorga il dolore per il ritorno, la nostalgia dunque la necessità di evocare le grandi figure familiari, di nominare le piante, i fiori, gli animali di quella terra originale e perduta: “...tu eri viva e camminavi svelta per le macchie/madre com'eri viva”. “E dell'infanzia mi ricordo un nido, tra frasche basse d'olmo o magari nel ceppo di vitalba”. “Tornano le vicende e le figure / così chiare e perfette / disegnate / quando s'arresta il tempo / istante fatto eterno e luminoso”.

Il bisogno di rammentare entra nel cuore e nella penna di Umberto Piersanti con la volontà di eternizzare, di porre il trascorso in una dimensione non solo incantata ma soprattutto perpetua: “una casa l'ho avuta / in un tempo remoto / sperso più d'ogni altra vicenda o sogno / colma di stanze / e i campi di figure / e lì c'era una fonte / d'acqua chiara come l'aria / dove il giorno s'arresta / e si fa eterno”.

Colui che ricorda non può non sperimentare una solitudine speciale, gremita di presenze incorporee quindi non una reale solitudine ma un particolarissimo star soli pur se profondamente in mezzo agli altri. In questo modo ha poetato Umberto Piersanti, sprofondato nella sua epoca eppure residente presso un altrove così “sentito” da risultare immanente. In questo modo Umberto Piersanti ha vissuto gli anni della creazione letteraria, rivelandomi di “esser da sempre stato un poeta che ha avuto il coraggio di attraversare sessanta anni di poesia da solo”.

E di questa rarissima e impavida autenticità, di questa marcia incontrastata e fedele a se stessa, gli siamo davvero immensamente grati.

L'Isola
Ricordi il mirto, fitto tra le boscaglie,
bianchissimo e odoroso, scendere per i dirupi
sopra quel mare? E le capre
tenaci brucare il timo, l'enigma
dello sguardo che si posa
dovunque e sempre assente?

Più non so il luogo dell'imbarco
come salimmo nel battello
quali erano le carte per il viaggio.

Scendevi alta per lo stradino polveroso
antica come le ragazze
che portarono i panni alle fontane
la tua carne era bruna come la loro.

Fermati nella radura dove il vento
ha disseccato e sparso i rosmarini
qui potremmo vederle se aspettiamo
immobili alle euforbie quando imbruna
vanno alla bella fonte degli aneti
giocano lì nell'acqua e tra le erbe
e mai s'è udito un pianto
sono felici.

Tu eri come loro, solo una volta
quando uscivi dal mare, ti sei seduta
nei gradini del tempio, un'ombra appena
trascorse di dolore nella faccia.

Seppi che il tempo era finito
che tra gli dei si vive
un giorno solo.

E riprendemmo il mare
normali rotte.

Qualcun altro s'imbarca, attende il turno
né isola sprofonda
come vorrei.

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