di Federica Ziarelli
Ho una sorella nella nostra casa
Ho una sorella nella nostra casa
e l'altra alla distanza d'una siepe.
Ce n'è una sola nei registri
ma l'una e l'altra sono mie sorelle.
Una arrivò per la mia stessa strada
e indossò i miei abiti smessi,
l'altra costruiva
il suo nido tra i nostri cuori.
Non cantò come noi
era una melodia diversa
lei rivolta a se stessa
come un bombo di giugno.
Oggi l'infanzia è lontana
ma su e giù per le colline
ho tenuto forte la sua mano,
questo abbreviò il cammino.
Ancora il suo ronzare
attraverso gli anni
inganna la farfalla.
Ancora nei suoi occhi
riposano le viole
con la polvere di così tanti maggi.
Ho sparso la rugiada
ma colto il mattino,
questa stella soltanto ho scelto
tra le innumerevoli della notte immensa,
Sue, ancora e per sempre!
È anzitutto per quella “siepe” che compare in questa lirica, che rileggendo la Dickinson, la mente è andata a Giacomo Leopardi – ma non solo: il Leopardi nel romanticismo italiano e la Dickinson nell'Inghilterra della seconda metà dell'Ottocento, risultano essere in assoluto i più grandi cantori della natura e nel contempo i più miti e forse persino sereni contemplatori della morte.
Sorprendentemente simile è il loro respiro, che ampio si fonde con il senso più viscerale dell'esistere, e in entrambi l'ispirazione, il soffio che tutto smuove e da cui ogni cosa inizia, è la casa paterna, il luogo di cui riconoscono gli echi ripetitivi delle stagioni, i più immensi segreti, i miracoli.
Per Emily dietro la siepe non si aprono infiniti spazi, ma semplicemente vi ha fatto il suo nido l'uccello che cinguetta una melodia diversa, l'amica e la cognata, la cara persona che è, lei stessa promessa d'infinito: “Sue ancora e per sempre!”
E se Leopardi dopo lo slancio lirico torna al meditare filosofico, la Dickinson assaggia la parte di felicità che le è riservata.
L'infinito di Emily, la sua eternità, sono gli affetti. In una lettera alla cognata Susie (Sue) infatti scrive: “Ho cercato in tutti i modi di farmi venire in mente che cosa ti avrebbe dato piacere, poi alla fine ho visto le mie piccole viole [...] ti parleranno degli affetti di casa, di quel qualcosa fedele che ‘mai si assopisce né dorme’.”
Senza cercare di stabilirne limiti e confini, le lettere di Emily a Sue traboccano di tutta l'impossibilità di de-finire l'amore, perché l'amore per la Dickinson è appunto, senza fine:
That Love is all there is,
Is all we know of love
(Che l'amore è tutto / è tutto ciò che
sappiamo dell'Amore).