di Federica Ziarelli
Mi accosto con delicatezza alla silloge poetica “Vuoto frontale” di Sabrina Amadori (Capire edizioni, 2020) con il rispetto che si deve ad una cantrice così giovane e dal così puro sguardo.
La parola che mi accoglie e che si affaccia umile nella sua grandezza ma forte come un giglio, e anch'essa evocatrice del solitario spazio stellare, nelle prime quattro poesie, è silenzio.
La sento sfiorarmi piano ma è subito un boato, un bianco che abbacina, un vuoto che si espande ampio a toccare tutto: l'ombra, gli alberi, le labbra, gli oggetti.
Sono buone sempre le azioni che il silenzio compie perché “insegna a invecchiare”, porta la sera a “ricomporsi”, “ritaglia spazi”.
Nel silenzio avviene la vita, ci si guarda negli occhi; Sabrina, nel silenzio, canta l'amore.
Vuoto e silenzio camminano vicini, si somigliano, forse sono tanto simili da esser presi per fratelli gemelli.
Entrambi abitano il buio di una stanza ma, al contempo, attendono un inizio, un movimento, un fiorire di luci, una tempesta che distrugga gli alberi vecchi per creare piante nuove e più resistenti.
Sabrina ci invita con parole controllate ma mai rigide, semplici in modo disarmante e dunque assolutamente potenti ed efficaci, a non temere l'attimo presente, piuttosto a sedersi in braccio all'oggi dolente con pazienza, addirittura con la fervida certezza, che si verificherà – non potrà non verificarsi – un passaggio dall'ombra opprimente alla luce piena, libera: “io non mi so più/ non mi conto che in un cuore/ fermo all'equatore// In questo eterno inverno/ respirarti è un atto di fede/ un'attesa infinita di neve”.
Ma la Amadori non si limita solo a questo anche se già di per sé è un’enorme lode al sapere sicuro della speranza e, appunto, della fede: con la sua poesia intesse braccia di consolazione per ciò che si perde perché fino a che ci sarà il sacro poetico a dipingere dettagliatamente il mondo e la bellezza, è concepibile amare la vita in maniera totale, da non poterne più fare a meno.
Questo dipinto che Sabrina esegue con pennellate leggere ed evanescenti, si materializza mutevole ma mai effimero come un dipinto di Turner. E parlando con la voce di Goethe, le cui parole ispirarono profondamente il pittore inglese: “La nascita di un colore richiede luce e oscurità, chiaro e scuro, oppure con un'altra formula più generale, luce e non-luce.”
Goethe parlava in riferimento all'arte pittorica, Sabrina Amadori crea versi aggraziati, accuratissimi sull'esistere, sugli opposti che regolano la vita umana e spirituale: male e bene, gioia e dolore. E noi, commossi ne cogliamo la sapienza, la stupefacente armonia.
Tutto occupa una posizione
anche la sera che si ricompone
nel silenzio degli oggetti.
Torniamo in tutte quelle cose
obbligate a prendere un posto,
l'ombra della casa
come misura del passo
che lascia aperta la strada
confine del corpo
che si abitua a perdere.
Gli occhi sono pareti
vetri, fiumi spezzati
si resta appesi a un urlo
il cuore luce e tempesta
dall'altra parte tutto è foresta.
Quando scenderemo
in silenzio
la nostra corsa
resteremo negli occhi
il corpo è una stanza vuota.
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