Scrivo di te quando il vento
sarà alle tue spalle e ti girerai
per guardare il passo lento
di una danza che intona
la linea dei sufi
Scrivo di te quando il cuore
risuonerà il basso continuo del mondo
Non conosco la strada ma so della luce
che sbatte quando mi guardi.
La misura del tempo è andare e restare
La polvere ti ha lapidata
qualche cosa si è persa
la felicità
la lezione del mare
la voce di chi ho amato
il “chiamami quando finisci”
ma tutto ci dà l’universo
sa ritrovarci dopo mille anni
là dove ci siamo persi e amati
sapere che da qualche parte
i fiori hanno petali nel vento
per questo non so fermarmi
sotto l’ombra ottagonale del monte
amore che mi magnifica respiro
amore che non so dire ti peso
consegnami nelle tue mani
e ti porterò dove tutto è poco.
Ho ascoltato la luce
che tardi mi affatica nell’ora in cui
la voce confonde il caso
Ho camminato davanti a te
seguendo un segno
la fatica annulla
estrema è la gioia
Non sarà il freddo a fermarmi
neanche la nebbia
la vanità è la morte del ricordo
Ogni cammino ha un suo abisso
e una porta da varcare
ma io ascolto solo te
che non esisti e che solchi
la mia strada
Che cosa possiamo darti
figlio di sua figlia incarnato
e per sempre assente
come possiamo cucire il taglio
nel grembo la storia è tua
e noi camminiamo nell’arsura
lacerati dalle tue passioni
partoriti deformi in cerca come bestie
a mangiare il tuo sangue.
E tu giglio te ne stai solo
Non ci consumi il tempo nell’umido della pietra
il fresco del pavimento attraversa il corpo fino
ai pensieri allargati.
Il legno sulla croce dice ciò che sappiamo già
e ciò che i nostri passi non devono sapere.
Se questo tremore di essere sarà sollevato dal silenzio,
dall’altrove di un canto, diventerò fiume in piena
senza argini.
Com’è potente questo luogo
tutto è già stato predisposto nulla ci basterà
Se tutto, presso di te rimarrà nell’oblìo della riva
(Complesso di Santo Stefano, Bologna)
Infiamma l’oracolo che ha il sale sul viso
non svegliarti un dio si è fermato tra noi
non ha età, non ha luce né casa
dimora nella distanza si guarda intorno,
si arrende, sfugge il siero dell’infelicità,
mi palpa i fianchi consola i ritardi
e io non so più nulla di me
Anita Piscazzi nasce nel 1973 ad Acquaviva delle Fonti (BA). Pianista, poetessa, dottore di ricerca si occupa di studi etnomusicologici e didattico-musicali. Pubblica In lumen splendor (Oceano Ed. Sanremo, 1999), Amal (Palomar, 2007), Maremàje (Campanotto, 2012). È presente in “Ossigeno Nascente” (Atlante dei poeti contemporanei italiani - Università di Bologna), nelle antologie Umana, troppo umana (Aragno, 2016) e blog letterari. Autrice di due monografie musicali e numerosi saggi è stata recensita da Maurizio Cucchi su «Specchio». Sue poesie sono state interpretate su SanMarinoRTV e su RaiRadio3. Ha collaborato al progetto poetico-musicale: “Alda e il soldato rock” con Eugenio Finardi e al progetto teatrale “Miss Kilimangiaro” per “Avis for Childrens” in Kenya. Tradotta in spagnolo da Emilio Coco. Collabora con le riviste «La Vallisa», «Incroci», «CittàdiVita» e «ClanDestino». È caporedattrice della rivista di poesia «Marsia. Variazioni poetiche». Nel 2017 ha conseguito il Premio Letterario "Isabella Morra". Nel maggio dello stesso anno vince il primo premio della sezione Poesia del Premio InediTO – Colline di Torino con la raccolta Alba che non sopubblicata a maggio del 2018 grazie al contributo del concorso con l’editore CartaCanta.
Photocredit: pixabay.com
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