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Paolo Lagazzi, “La casa del poeta. Ventiquattro estati a Casarola con Attilio Bertolucci”

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Paolo Lagazzi, La casa del poeta. Ventiquattro estati a Casarola con Attilio Bertolucci, La nave di Teseo 2025

di Enrico Fraccacreta

L’autunno comincia quando le api smettono di portare via l’acqua dalle piccole pozze, di trafficare nelle fontane dei giardini con l’ultimo ronzìo sulla seconda fioritura del gelsomino. Forse quell’afrore inebriante girava e penetrava l’aria intorno ai colloqui sino alla fine dell’estate, alla fine del mondo, a Casarola tra Attilio Bertolucci e Paolo Lagazzi. In queste atmosfere si dipana il racconto di Paolo Lagazzi, avvolgente, fascinoso, così potente da trasportare il lettore su quel pezzetto di Appennino parmense, probabilmente uguale a tutto il resto del lungo Appennino da sud a nord, eppure diventato attraverso la poesia di Bertolucci (ma anche attraverso le analisi e le descrizioni del suo esegeta) così “luogo” quasi da poter esser fissato su tela per sempre, stampato su carta in una eterna celebrazione a cui anche il lettore vorrebbe partecipare. Tutto questo (e molto altro) accade in La casa del poeta. Ventiquattro estati a Casarola con Attilio Bertolucci (prefazione di Emanuele Trevi, con testi di Bernardo e Giuseppe Bertolucci, La nave di Teseo, pagine 240, euro 20,00) da poco uscito ma che già aveva avuto una prima edizione nel 2008 per i tipi di Garzanti.

C’è buona parte della vita del poeta in questo libro, la vita di Lagazzi, la casa di famiglia e la natura intorno ma anche la casa della poesia, la casa del tempo, quando chi vi dimora cerca di “stare in casa”, di viverlo in qualche modo sfuggendogli per cercare di irretirlo, il tempo, in lunghi e deliziosi discorsi o tranquille passeggiate, piccoli e improvvisi disvelamenti, appunto senza tempo, dove due amici possono frequentarsi, studiare, analizzare la poesia e sé stessi nella poesia. Ci vuole molta pazienza per giungere a questa colta scaltrezza, questa necessità che coglie il cuore sensibilissimo del poeta capace di intercettare minutissime oscillazioni escluse alle menti comuni, ma anche per il cuore che ha imparato a uniformarsi, e per lo sguardo di Lagazzi. E ci vuole coraggio, quello che ebbe l’autore del libro, a salire sino su alla casa del poeta (a lui ancora sconosciuto) per parlargli di una tesi, la sua, che lo riguardava; ma anche il coraggio del poeta stesso (col suo sismografo addosso) nell’accogliere continuamente e serenamente il giovane critico, con tutto il suo bagaglio esistenziale, prima come un figlio poi come un amico.

In questa luminosa e originale narrazione, impasto di vita vissuta – affetti, meditazioni, osservazioni, critica, lavoro, coscienza –, la poesia ci attende e si svela sapiente pagina dopo pagina sino ai suoi vertici. Così l’incredibile composizione lirica sugli artisti imbianchini, la camera azzurra, bellezza autentica, dove l’autore del libro spiega in definitiva che cos’è la poesia; la sua interpretazione è talmente nitida e precisa che veramente la parola poetica si schiarisce assumendo lo stesso colore celestiale steso sulle pareti di questa camera della casa del poeta, in cui si intravede un “osservatorio segreto del mondo” e, forse soprattutto, un tentativo di salvezza. Ma alla fine della vita di Attilio Bertolucci, alla fine delle ventiquattro estati a Casarola, Lagazzi decide di continuare le sue ricognizioni, una forza interiore, un sorriso insopprimibile del poeta lo spinge. Non c’è più nessuno, è l’ultimo rimasto ma per essere ultimi, in certi casi, bisogna possedere un dono particolare. Toccherà a lui misurare i crepuscoli, le luci “scoccate dai castagni”, chiudere le imposte lo sguardo intorno, percorrere il sentiero con lo stesso passo, la stessa aritmia di Attilio, cogliere nel silenzio il sogno e il paesaggio, le voci dentro e fuori la casa del poeta, dentro e fuori la realtà tra la valle del Bratica e il mondo.

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