Ilaria Palomba, Purgatorio, Alter Ego Edizioni, 2025
di Flaminia Colella
Di libri “confessione”, cosiddetti “memoir” nel gergo degli addetti ai lavori, per indicare opere letterarie che si trovano a metà strada tra autobiografia e narrativa, se ne leggono tanti, nel nostro paese è una tendenza editoriale in voga e ampiamente sdoganata, in certi casi comoda trovata per scrittori che per imbastire le righe di un romanzo usurano fino allo stremo fatti e fattarelli più o meno strazianti del proprio vissuto, o di una parte di esso, senza alcuna maestria, né mordente, ma accreditandosi subito, per via dell’engagement emotivo facilmente innescabile, il plauso dei lettori; accade anche, sovente, che ottimi veterani della lingua adoperino l’autofiction in maniera preziosa, riuscendo nella difficile impresa di trasfigurare in chiave romanzesca esperienze personali che divengono efficaci e convincenti storie o racconti, non lucrando sul “placet” emotivo di cui sopra, ma facendo letteratura, belle opere, in prosa o in versi. Ogni storia umana è antica, ma è anche sempre nuova, e scriverla ancora è sempre lecito, presentarla in maniera differente è sempre possibile, con gli strumenti di cui si dispone, accordàti al meglio che sia possibile, a patto che si “serva”, attraverso la scrittura, qualcosa d’altro da noi e dalla sola nostra intimità, qualcosa cui ci si vota, di assoluto, che ci precede e ci supera, che sta più in alto e al di là del compiaciuto pascimento dentro il gorgo dei nostri più o meno ostentati patimenti.
Nel caso di Ilaria Palomba e del suo “Purgatorio”, romanzo edito da Alter Ego edizioni nel 2025, ci troviamo di fronte ad un’opera narrativa che racconta, attraverso una lingua affilata, volutamente colta, lirica e piacevolmente acrobatica, la testimonianza di una donna che sopravvive al proprio tentativo di suicidio, un testo che restituisce al lettore, senza sconti, il maturare silenzioso di un percorso di dolore che conduce la protagonista, omonima dell’autrice, sino a mettere in pratica il gesto ultimativo. Questo macabro proposito, epilogo straziante di una serie di disturbi psichici di cui il lettore viene messo a parte, matura durante gli anni della “vita di prima”, una vita che va miseramente in pezzi nello schianto e dalla quale la protagonista deve trovare il modo di rinascere, rimettendo insieme i pezzi di un corpo devastato e squassato dai dolori, e di una psiche altrettanto tumefatta. La storia si apre con l’immagine pietrificante della caduta della protagonista dal quarto piano di un palazzo, che si getta nel vuoto dopo aver assunto psicofarmaci. Quel corpo che avrebbe dovuto frantumarsi e perire, sorprendentemente, resiste all’impatto, forse perché ad attutire la violenza di quel volo è un motorino parcheggiato pochi metri più distante da dove viene di solito posizionato, forse per un’imponderabile cinematica che miracolosamente riesce a vincere la legge di gravità; quale che sia il motivo oscuro e incredibile, Ilaria sopravvive e inizia il suo personale calvario, la vera lotta per la vita, per tornare a camminare, a stare in piedi, a essere nel mondo, attraverso lunghi mesi di ricovero dentro l’unità spinale di un ospedale romano. Si susseguono, da quel momento in avanti, nell’avvicendarsi di voci di vari personaggi, reali e immaginari, che accompagnano Ilaria nel proprio percorso di resurrezione, racconti e memorie di amori struggenti, chimerici, passioni allucinate e droganti nate nel segno dell’arte, che conducono alla deflagrazione più e più volte la vita della protagonista, conversazioni che emergono dal passato e disperazioni abbandoniche che avevano assistito e corroborato il desiderio mortifero di quel gesto fatale. Ilaria è una donna che ora sente il corpo dilaniato come un imperativo a rimanere, un “obbligo di esserci”, il dispositivo che la scherma dal mondo ma che pure è costretta a ricucire, dopo le menomazioni che volutamente gli ha inflitto, per tornare a stare dalla parte dei vivi, e fare una vita il più possibile “normale”.
La lotta contro il corpo e contro il dolore va di pari passo con il lavorio di recupero cui è costretta, per riacquisire le capacità motorie ma anche per provare a risanare una psiche bombardata, distrutta dai ricordi laceranti di un passato fatto di esaltazione e struggimento, di martirio scelto e masochisticamente perseguito per donarsi in sacrificio sull’altare della letteratura, un passato trascorso nel desiderio di essere riconosciuta, applaudita, che finisce per divenire il veicolo perfetto per un desiderio sempre più viscerale di annientamento del proprio sé. La musica, la lirica e la trascendenza aiutano Ilaria a trascorrere giorni e giorni costretta nell’immobilismo, nella vergogna che suscita l’essere obbligata, per strano scherzo del fato, a espiare il proprio peccato verso sé stessa, chiusa nell’unità spinale dell’ospedale di Garbatella che realmente è un luogo di purgatorio, di limbo tra la vita e la morte in cui suicidi e vittime di altre sciagure provano a ricomporre corpi sciancati e sbrindellati. I fantasmi di amori violenti, ammalati, intossicanti, si affacciano tutti al suo letto di malata, e la protagonista tenta di farci i conti, respingendoli dall’inferno da cui provengono, quello in cui era discesa nel disperato anelito di sentirsi “avuta”, e di appartenere. La letteratura, lentamente, torna a essere compagna di quei mesi immobili e sospesi nel limbo, opera quotidiana di una vita che cerca di riappropriarsi di sé. Ilaria intuisce che deve essere questo, la letteratura, e non altro, una parte del tutto e non il tutto, un’opera che si fa con la vita, che deve seguire la vita e non disintegrarla o precederla, non più una chimera, o una idolatria, né lotta per una idea astratta di perfezione personale. Quando Ilaria riesce a rimettersi in piedi e viene dimessa dall’ospedale, ad aspettarla ci sarà la vita del “dopo”, una vita dentro un corpo estraneo, che pure dovrà imparare ad accudire, a sentire proprio e a non punire più, una vita in cui dismettere le ossessioni e le brame che la avevano condotta alla follia, da abitare con una nuova fede. È un libro intrigante, un racconto coraggioso di sofferenza e di volontà composto attraverso una scrittura elegante e aerea, accattivante e labirintica, cui si perdona talvolta l’eccessivo citazionismo e una certa compiaciuta ostentazione della propria erudizione letteraria, così come il pascimento, alcune volte, nel “dolorismo”, tendenza che porta a ritenere meritorio unicamente il proprio dramma personale, e a farne un feticcio. È un testo che restituisce il volto di una resurrezione autentica, fatta attraverso un voto e una fede sinceri nei confronti della vita. Per questo e molto altro è possibile cogliere e apprezzare il senso di un’opera che si consiglia di leggere, perché vi si potrà trovare il dramma e la passione, la gioia e l’adrenalina, la disperazione e la “Kenosis”, l’offerta di sé, totale, sino all’annientamento. E poi, la rinascita.
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