Asia Vaudo, L’Arpa Nera, CartaCanta, 2025
di Alessia Iuliano
L’Arpa Nera di Asia Vaudo (CartaCanta, 2025) è una raccolta che si muove in equilibrio fra due forze: da una parte la narrazione - il respiro largo del racconto, dell'evocazione - e dall’altra l’accensione lirica, il lampo che condensa un’esperienza in pochi versi. Non ci sono sezioni a suddividere il libro: sono i testi stessi, nel loro susseguirsi, a intessere un ritmo, un’alternanza naturale tra aperture e concentrazioni emotive.
Giuseppe Conte, che firma l’invito alla lettura, riconosce la portata di questa voce che ha della poesia una concezione drammatica, esigente, severa[1]. Anche Davide Rondoni (curatore di collana), in quarta di copertina, valorizza una peculiarità di Asia: una voce figlia della tensione e della inquietudine, legata alle più arcaiche forme di poesia, quelle della lode, dell’inno[2].
Vaudo attraversa la materia viva della vita con immagini potenti e insieme delicate. Le sue poesie rivelano la condizione umana per quel che è, nuda:
“in fondo non siamo che mari aperti/sotto il volo[3]”
oppure:
“Apro le braccia al mondo / - sono rami - / Ora anch’io contengo / tutta la volta / di questo cielo rotondo[4]”.
La scrittura che percorre la Vaudo, naturale e necessaria, sembra a tratti inevitabile: un movimento che scavalca le ragioni e si radica nel sentire più profondo. Asia ha saputo trovare, come avrebbe detto Mario Luzi, le condizioni per poter usare degnamente quelle parole, tutte intrise come sono di sensi e di patimento umani[5].
Molte poesie sembrano attraversate da una consapevolezza antica della sofferenza: quella, dolorosa e sacra, del sangue che bisogna pagare per ogni buon verso[6], secondo l'espressione della Cvetaeva.
In L’Arpa Nera il dolore non si spettacolarizza, ma si scava nella parola, fino a farsi canto:
“bene e male / sono uguali […] per la mia disperazione mortale, per la mia / bocca rossa ingorda che desidera / in egual modo / tutta la vita e tutta la morte[7]”.
Anche il tema religioso, mai dogmatico, emerge come una domanda bruciante, una invocazione alla vita attraverso la morte:
“Francesco, sono morta / nello spirito / io che so che il mondo / non esiste, esiste solo / l’amore[8]”.
L’arpa che Vaudo suona è dunque “nera” non per disperazione sterile, ma per la coscienza che canto e fame sono intrecciati. Cantando la vita così, si resta esposti, spolpati[9]. Asia Vaudo accetta questo rischio con voce piena, a volte spezzata, sempre autentica.
I volti che popolano la raccolta - la donna del bosco, gli occhi dei detenuti, la farmacista dagli occhi buoni, ne cito solo alcuni - non sono figure allegoriche: sono presenze concrete e fragili, attraversate da una luce interiore che la poesia tenta, senza mai forzare, di custodire.
Chi si avvicina a L’Arpa Nera deve essere pronto a un’esperienza che chiede disponibilità dei sensi, molta apertura. Perché mi sembra evidente che valga anche per Asia quel che annotava Cristina Campo:
“Se qualche volta scrivo è perché certe cose non vogliono separarsi da me come io non voglio separarmi da loro[10]”.
Allo stesso modo, in queste pagine, la parola non si separa mai dalla vita. Per Asia Vaudo, per chi la legge, “non c’è altro modo, per fermare il tempo” [se non] “dentro l’amore[11]”.
Alcuni testi selezionati dal libro:
*
La parola è un chiodo nero
sul foglio. Qualcuno deve averla lasciata
lì - il resto è tutto spoglio.
Solo una parola
carovana nel deserto
nera nel bianco
senz'arti, senza semi
a farla germogliare
ha solo la sua piccola forma
di barca senza remi
Una voce mi dice
la devi prendere.
Ma non la colgo e aspetto
da un lato
che cominci a splendere.
*
Donna del bosco
Sei cresciuta in campagna, con le trecce
sfatte, le zampe di gallina
al posto dei piedi.
Avevi paura e ti aprivi brecce
tra il camino e il tavolo di legno.
Non avevi la mamma e il papà
avevi il gatto, l'anatra e il coniglio
e i tuoi occhi erano gli occhi
di una capra. Non chiedevi a nessuno
un consiglio
parlavi con gli alberi e coi giganti
non sapevi cos'è un uomo
- non ti interessava -
Un giorno però - lontano
forse nei miei sogni, nella campagna
ti ho vista alzare la gonna - eri bella
hai iniziato a ballare - nuda e trepida - a scodinzolare
come una cagna.
*
A Regina Coeli
Brulicano tra i corridoi
con le sigarette che ballano - e non hanno
la voce o ce l'hanno
rauca
Gli occhi dei detenuti
sono gli occhi dei bambini
le loro gole profonde
non hanno un canto
o ce l'hanno
sospeso
l'anima senza muri
un poco
sulla cupola di San Pietro
canta.
*
Un cielo buono
Gli occhi della farmacista
erano grandi buoni
azzurri
avrei voluto che mi dicesse
non c'è niente, dentro di te
non ci sono altri nasi altre mani
non batte altro cuore accanto al tuo
mi sono tuffata in quegli occhi
giovani e avrei voluto
rannicchiarmi lì per sempre
in quegli occhi cantuccio di cielo
come faceva Antonia Pozzi quando guardava
dalla finestra
il suo cielo[12]
quello che smussa il dolore
dove non ci sono mamme non ci sono bambini
ma soltanto il sollievo
di essere ancora vivi e nel moto
eterno delle cose
di poter correre nel mondo
col ventre tutto vuoto.
Note
[1] Vaudo A., L’Arpa nera, Forlì-Firenze: CartaCanta, 2025, p. 7.
[2] Cfr. Vaudo A., L’Arpa nera, Forlì-Firenze: CartaCanta, 2025, quarta di copertina.
[3] Vaudo A., L’Arpa nera, Forlì-Firenze: CartaCanta, 2025, p. 16.
[4] Vaudo A., L’Arpa nera, Forlì-Firenze: CartaCanta, 2025, p. 50.
[5] Luzi M., L’inferno e il limbo, Milano: Il Saggiatore, 1964, p. 44.
[6] Cvetaeva M., Il poeta e il tempo, Milano: Adelphi Edizioni, 1984, p. 197.
[7] Vaudo A., L’Arpa nera, Forlì-Firenze: CartaCanta, 2025, p. 12.
[8] Vaudo A., L’Arpa nera, Forlì-Firenze: CartaCanta, 2025, p. 49.
[9] Cfr.Vaudo A., L’Arpa nera, Forlì-Firenze: CartaCanta, 2025, p. 12.
[10] Campo C., Gli imperdonabili,Milano: Adelphi Edizioni, 1987, p. 143.
[11] Vaudo A., L’Arpa nera, Forlì-Firenze: CartaCanta, 2025, p. 53.
[12] Antonia Pozzi (1912 -1938)
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