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Voglio una lingua differenziata, frocia, italiana, attuale

di Davide Rondoni

Voglio una lingua "frocia", capace di differenze, inversioni, scambi. Non neutralizzata.

Io credo che un poeta non possa tacere dinanzi al gioco funesto che poteri neo capitalisti e veteromarxisti, non a caso congiunti, stanno facendo sulla nostra lingua. E non si tratta di amore alla lingua, come se fosse questa un monumento da difendere, ma di amore alla lingua perché essa è la conoscenza plastica e affettiva del vivente. Se si amputano, violentano, impongono le parole, si amputa, violenta, impone la conoscenza. La realtà no, e infatti reclama i suoi diritti, e se non li reclamano politici e intellettuali, per mancanza di argomenti, di attenzione, per mancanza di libertà, e di dignità, lo faccio io, inutile poeta.
Quando vedo ideologicamente e banalmente - ma mai casualmente - applicata una lingua straniera sulla nostra, quando vedo amputate desinenze femminili e maschili per restare nel neutro, quando sento canzoni che strascicano l'italiano verso un finto maghreb, quando vedo diventare plurali nomi di fenomeni storici precisi in modo da estenderne il senso contundente (mafie, fascismi...) a seconda dell'avversario da colpire, ecco quando vedo questo largo uso apparentemente educato e in realtà brutale della lingua, so che occorre alzare la mano, disturbare.

L'Italiano non ha bisogno di trasformarsi in maggiordomo dell'inglese per essere ricevuto a corte. E quando concetti ideologici espressi in un'altra lingua diventano pane comune tra accademici e giornalisti non si è compiuta solo una annessione linguistica, ma anche politica e culturale. L'attuale primo ministro italiano è in tutte le librerie (italiane) con un titolo che è un suo slogan in inglese. Chi rappresenta questo gentile signore, che si dice goda di massima stima ma non si dice perché, peraltro non votato dagli italiani, ma per così dire acclamato dai palazzi? Non è certo il mesto e gentile banchiere causa di questo male, ma effetto, e dei più grotteschi.

Trovo terribile quando ideologie che inneggiavano alla "differenza" e al necessario tragico - ma anche divertente - scambio di desinenze, che indicavano appunto il festevole e bizzarro, gaio anche, drammatico pure, ballo delle diversità, diventano paladine del neutro, dell'indifferenziato, o fluido come lo chiamano. Non si accorgono che neutro è solo il consumatore, neutro il numero, il cittadino come lo vede lo Stato Totalitario, neutro il dato per gli algoritmi? Mai hanno letto costoro arcipelago Gulag, o le femministe russe come Tatiana Goriceva? Mai hanno letto Etty Hillesum? Lucilio Santoni in un suo articolo recente su interferenza.it ripercorre la storia della lettera, segno che si scrive ma non si pronuncia, un tempo usato per indicare Yahwé. È la schwa, ora segno internazionale una "e" rovesciata. Oggi l'attenzione massima, nota Santoni, la suprema esperienza linguistica non sta nel rivolgersi a Dio o all'Assoluto ma nell'evitare piccoli presunti traumi psicologici a non si sa chi, e a uniformarsi rigidamente al dettato politico dominante.
Si gonfiano di orgoglio pseudorivoluzionario mentre marciano a nutrire il Leviatano. Un orgoglio tanto idiota quanto sostenuto dai media più proni al potere tecnologico e finanziario. I medesimi che accettano che si nasconda il cazzo per quanto piccolo del David di Michelangelo per non disturbare la fiera dei potenti a Dubai. L'elisione delle differenze, secondo gli elisori, porterebbe al rispetto, alla purezza delle relazioni. Ma è sempre la purezza della lingua la nemica della lingua. E la purezza della razza il nemico delle persone.
A una lingua Gaia preferisco una lingua frocia, puttana, un dire troiesco di ogni sesso maschile femminile ammezzato, invertito, drizzato, aperto, esperimentato in ogni direzione. Ma non neutralizzato. Non a caso nella lingua Gaia risuona il nome della presunta madre natura pura cui aspirano i più ricchi del pianeta. Quel paradiso a loro immagine e somiglianza, mondo purificato a immagine della loro purezza, inversione della divina somiglianza stabilita invece con l'impurissimo umano.

E quando vedo nomi che indicano fenomeni storici ampliati all'infinito usando plurali (maschili e femminili, pur dagli stessi fautori dell'elisione neutrale - come mai MafiE come mai FascismI?) allora intendo che vi è, da un lato, una comoda vittoria della retorica, incapace di dare nomi nuovi e meno stabiliti a fenomeni nuovi e incerti. Già negli anni '70 Pasolini invitava a non usare più categorie comode e antistoriche come fascismo e antifascismo, ma Pasolini ha perso, e ha perso a sinistra. Da un lato retorica dunque facile, da comunicazione senza pensiero, ma dall'altro un apprestarsi di armi. Elevare a ripetibili categorie storiche alcuni fenomeni storici, serve a chi impugna una teologia storicista per avere idoli e sacerdoti. Se la storia deve portare la maiuscola come un Dio, occorrono idoli e templi. E dunque alcuni fatti o fenomeni complessi escono dalla storia minuscola e vera e ottengono la maiuscola di categorie/idoli nella teologia della storia. Per perpetuare quella falsa e ottusa teologia e per armare il discorso teologico di categorie di peccato ripetibili, imputabili. In nome della Storia come e peggio che in nome di Dio. Dilettanti, verrebbe da dire. Ma i dilettanti si sa sono più pericolosi quando maneggiano cose pericolose, come la colpa, come la gioia e come la lingua.
Infine lo strascicamento della nostra lingua verso aree dominanti nella politica, nel gusto e nel consumo (ieri l'inglese con Mal oggi l'arabesco con Mahmood) diverte e fa pena come accade con molte cose nella vita. In un’epoca dove il divertimento di massa è penoso, dove la vanità socializzata è imperante e diviene arma di distrazione di massa, questa è la ferita meno grave apparentemente. Ma la più sintomatica e la più feroce verso le nuove generazioni che alle altre mutilazioni del mandorlo dell'italiano sono insensibili e proni con innocenza storica e esistenziale. Mescidazione inevitabile con ogni immigrazione, ma forzosa, come forzosa l'immigrazione. Un progetto politico, che però può generare e genera incontri creativi. Perché la vita si lascia sempre indietro la politica.

Si può reagire?

Sì ma andando ben oltre quei che tali amputazioni ottengono. Ovvero torcendo e facendo risuonare la nostra lingua di un amore e di un rispetto impensabile. Facendola piangere come un bambino e cantare come una stronza. Non vi è altra lotta contro il Leviatano dell'Astrazione se non la vita, il parlar vivo. La dialettica non serve, articoli come questo servono come post-it del pensiero. E come strette di mano. Poi vivere, gridare, sfanculare, amare perdutamente. E fare nuova la lingua che vogliono invecchiare privandola di carne e sangue, come quelle rose che vendono, morte, liofilizzate.
La rosa della lingua italiana non rifiorisce nelle accademie o nei media: ma nel sangue, nel lavoro, nel coito, nella preghiera, nella lotta, nel parto, nella contemplazione. E nei poeti che danno voce a tutto questo, senza paura.

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