Vite e tralci

Vite e Tralci. Antologia di poeti georgiani contemporanei, Giuliano Ladolfi Editore, Novara 2014, pp. 222.

di

Anita Piscazzi

 

Esiste un posto dove la poesia diventa vino, pasto,banchetto. Diventa vita. Modo di ragionare e anima di un popolo che si esprime in kaphioba, in “poetare a braccio”. Questo luogo si trova in Pshavi a nord-ovest della Georgia lungo la linea montuosa, un tempo regione del vello d’oro e di una copiosa letteratura popolare, con miti, leggende, canzoni e canti rituali. Terra di mezzo tra l’Occidente e l’Oriente dove si sono incrociate lingue e culture antichissime come quella persiana, greca e cristiana. Una lingua appartenente al ceppo caucasico derivata dall’antica scrittura aramaica. Si è cantato d’affetto alla maniera della kafia di Pashavi in un reading poetico voluto dalla cattedra di Lingua e Letteratura russa dell’Università di Bari e dalla casa editrice Stilo per Vite e tralci, antologia dei poeti georgiani contemporanei tradotti da Nunu Geladze per i tipi Giuliano Ladolfi Editore di Novara. La rima come arma, come rifugio e conservazione della narrazione della terra di appartenenza. Ivane Amirkhanashvili scrive nella presentazione: “Nella kafia c’è qualcosa di primordiale, costante, archetipico e, al tempo stesso, qualcosa che esprime la coscienza collettiva […] dell’essere sociale nazionale”. Sedici sono i poeti georgiani antologizzati in ricordo della studiosa slavista Nino Kauchtschischwili che dedicò uno dei suoi contributi maggiori a Nino, una figura di santa poco conosciuta in Occidente che evangelizzò il popolo georgiano dicendo in punto di morte: “Mi farò notte per il giorno” tracciando così per sempre le sorti della vis poetica georgiana che nasconde la sua radice proprio nella letteratura sacra. Così il poeta diventa una figura carismatica, un sacerdote, un capo del popolo. Le voci poetiche raccolte nell’antologia comprendono diverse generazioni che guardano ciascuno con occhi differenti la vita, uniti dal tempo e dallo spazio creativo, come Ana Kalandadze, autrice della nuova poesia georgiana: “Se avessi obbedito al mio cuore,/e non avessi vigilato la ragione,/con te solamente sarei invecchiata,/nel tuo cuore gioito…”. Otar Chiladze è, invece,  uno dei poeti più letti in Georgia con la sua forza nelle parole ha dato una svolta alla letteratura della sua terra segnando uno stile originale: “Non fa niente se non ci vedremo,/soltanto quello diventa eterno/che per caso nella vita avviene/e così ha sempre la stessa fine/[…] Ma tu rammenta/che mai avrai un sollievo/che la croce e il patibolo sono io/ed ogni corteccia dell’anima mia/si accumula ora per quel rogo/su cui salirai con la tua voglia”. Voce poetica delicata, contaminata dal vissuto infantile e dall’originale e colorito linguaggio dei nonni è quella di Isa Orjonikidze che in ricordo di quella koinè rurale scrive: “Da un bel po’/stare con te/non è mio potere/(è sfortunata una donna/dal cuore ardente)./Mi hanno tediato/ le mie guerre bizzarre,/che non valgono/di questo melograno/ un fiore…/[…]Che rimesti/ nel veleno ingente/una goccia/di miele greggio-/inebriante fragranza/dei campi”. Si dice che si è poeti quando non si somiglia a nessuno e questo è il caso di Besik Kharanauli che è considerato il padre del verso libero georgiano moderno: “il tuo respiro è rimasto sul mio palmo/mentre invelenito cercavo di tapparti la bocca,/ perché pronunciavi le parole atroci,/le parole/che mi turbavano la vita”. Lia Sturua è fra tutte le voci poetiche della raccolta quella più surrealista a tal punto che leggendola sembra di abitare un sogno: “E vivo così-/la testa, reclinata sul tavolo,/invasa dai dolori,/dove annegano gli occhi-/eccola-/la vista interiore;/la vertebra diviene una colonna di sale,/[…] e sulla punta delle mie dita/dall’uso costante dell’inchiostro/crescono le viole”. Il dolore prende posto nei versi di Givi Alkhazishvili come una metafora mai risolta: “il mio tempo spunta come l’erba,/mi guarda la terra coi fiori di campo;/soffiando su di loro il vento/spazza le sue orme;/invece tu credevi/non mutevole il tempo…”. Anche Borena Jachvliani è poetessa del dolore e del mistero dell’esistenza e spesso la poesia è per lei casa e luogo di conforto e di solitudine: “Concedo a me stessa il dolore/che mi basterà per tutto l’anno/e contemplo il mondo/come se fosse unico rimedio/-convivere con esso”. Ela Gochiashvili, maestra delle visioni metafisiche è una poetessa che vive nella parola poetica che fa della sua poesia una ragione di vita: “Quando non riesco a catturarti da nessuna parte,/quando ci separiamo dannatamente,/quando tu fuggi da me,/quando in nessun posto si trova un tetto/che ci metta al riparo,/mi afferra desiderio immane/di stare fianco a fianco/e di avere qualcosa in comune…”. La voce di Mariam Tsiklauri riesce, invece, a carpire le profondità degli oggetti con stile immediato e leggero: “Lascio la casa e scappo/a vagare in me stessa./Sono una donna incantata/di novità del vetusto!/di antichità del nuovo!…/Ora abbandono anche me stessa,/a guisa di conchiglia mi butta fuori l’onda;”. Zviad Ratiani è il poeta della generazione degli anni Novanta che più di tutti è riuscito a leggere la coscienza dell’uomo moderno in chiave letteraria: “Scrivi, di ciò che nessuno crederà./Come se niente fosse, scrivi/dei fantasmi l’esistenza dei quali/neanche tu crederesti, ma, comunque…/Scrivi di ciò che nessuno ti perdonerà”. L’antologia si conclude con la domanda che risuona e attraversa a basso ostinato l’intera raccolta di poeti: dov’è finita la poesia georgiana? Nei famosi banchetti o simposi dove ancora oggi poeti nazionali e stranieri ragionano sulla sua sorte? A Pshavi? A Tbilisi? Ovunque sia, ci piace pensare che continui a vivere nella memoria dei georgiani, nelle sue narrazioni, che resti in un popolo abituato a comunicare in rima, che sia nell’erba, ma che più di tutto sia nella vita.

 

A. P.

 

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