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Le Viandanze di Raffaele Niro

di Davide Rondoni

Raffaele Niro, Viandanze, Raffaelli editore 2022

Cosa salva "Viandanze" di Raffaele Niro, poeta e anima culturale delle terre daunie tra San Severo e Monte sant'Angelo, dall'essere un capitolo soltanto della poetica oggi parecchio in voga dei "consiglieri morali" (alla Gualtieri, per intenderci, non a caso citata in esergo, o alla Arminio e altri), poesie che fa del "morale" la propria chiave giustificazione, la propria ragione, il proprio adempimento? E anche del proprio piccolo successo, in un'epoca di moralismi laicisti ben più soffocanti di quelli religiosi… Si badi, nel dire "morale" non intendo un difetto, ma una caratteristica, e semmai una distanza da chi essendo poeta religioso (alla Baudelaire o alla Ungaretti o Thomas per intenderci, fa della poesia scavo e viaggio e delirio esistenziale). Eppure tale caratteristica, dicevo, non racchiude il libro non recentissimo ma ultimo di Niro nel suo solo perimetro. Lo salva, per così dire, da un lato un dialogo di natura biblica coi temi del desiderio (il suo "poema umano" si conclude con una citazione da quel Cantico visionario e enigmatico) e dall'altro un dialogo leopardiano dell'io con le stelle (figura ricorrente in queste pagine).
La voce femminile che parla lungo tutto il libro - la lingua? l'anima? una figurazione magica? - e che scrive "col fermaglio dei capelli/ su una pietra" procede con un lessico semplice, come raccomanda l'esergo dal grande Milosz all'inizio del libro. Dà voce a momenti di sperdimento tra senso del tempo e stelle, momenti di speranza dinanzi a un cielo che sembra un "campo seminato a futuro da dio", momenti di scoramento del restare, e assenze e morti, e poi il succedersi di nascite. Insomma la vita individuale, ma appunto nell'offrire nulla di eccezionale se non lo sguardo e il rifarsi viva della lingua, si offre tale poesia alla vita della comunità. Lo fa senza presunzione, senza ditini alzati. Il vero punto morale di Niro la sua tensione morale non è in una idea - come oggi accade spesso anche con insopportabili retoriche poetiche - ma in una appartenenza. E questo lo salva dalle ideologie e dai moralismi. Perché la vita di un posto, di una comunità, non si costruisce intorno a una morale o a una ideologia, bensì intorno a miracoli e ad abissi, e a sguardi alle stelle. E nella poesia piana di "Viandanze" l'io che si stupisce prevale sul poeta che moraleggia. E in questi tempi di servi e di servetti spesso incoscienti quindi peggiori, non è scontato, non è per niente scontato. Il "poema umano" o "vita di un uomo" - come avrebbe detto appunto con un filo meno di retorica ma con scommessa simile Ungaretti - si inserisce tra le voci della comunità senza altezzosità, senza disprezzo di nulla. Libera e gratuita. Come l'aria, come è l'autentica poesia.

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