di Annamaria Ferramosca
Antonella Caggiano, La vena delle viole, CartaCanta editore, 2023 - pp.84 Euro 11
Questa nuova raccolta di Antonella Caggiano, di cui ho apprezzato il precedente libro di poesie Dolce di sale, offre fin dall'inizio un elemento insolito, intrigante: una doppia epigrafe, la prima quella dell'autrice, che precede - ma come si osa tanto? - la successiva, del grandissimo Rainer Maria Rilke. Ma non si tratta di un peccato di superbia, perché le due intense strofe rilkiane, poste immediatamente prima dei testi, rivelano essere la risposta del Maestro alla sommessa richiesta dell'autrice di poter entrare nel cerchio della dimensione poetica per dire tutto il proprio pianto. E nella luminosa risposta di Rilke vi è già l'indicazione del fuoco tematico di questa poesia: l'addio all'amore e come poter continuare a vivere, dopo l'addio. E l'addio annunciato in prima epigrafe dalla poetessa, nella sua personalissima modalità visionaria, è detto in una dimensione di grande sacralità, come in un sacrificio su un altare di sangue offerto dalla sua tormentata interiorità a un dio-destino che non perdona.
Antonella Caggiano percorre il suo cammino dolente cercando pacificazione e lo fa chiedendo aiuto alla natura, richiamando sulle parole immagini di neve, farfalle, fiori e distese di luce ad asciugare il pianto, a rimarginare le ferite. E lo fa con sapienza già nella forma, con una versificazione asciutta e nitida. Dove i versi hanno il passo franto e cadenzato di un antico canto rituale, come a generare una specie di ipnosi, un volo pietoso verso un'altra realtà inconsciamente evocata:
...
Il sonno uncina
e il fiume oleoso
celebra il rituale abbraccio
Assaggia lento
quel cielo cucito
intorno alla mietitura
dei seni
Ogni frutto cadrà.
Inevitabili, i ricordi di un amore totalizzante affollano la scrittura di note nostalgiche e il pensiero continua a fissarsi sulla dimensione che nel ricordo appare unica, assoluta, di un amore verticale/ vertigine di fumo, che riempie il ricordo del tempo trascorso di visioni nebulose, ma sempre ancora palpitanti. Ed è, questa litania o cantilena - come preferisce chiamarla l'autrice - sequel di scene trascorse e pure vivissime, disseminate di consolanti fiori-simbolo papavero, fiore-porpora, vena di viole, fiori d'arancio, fresie, girasoli, a costruire la cifra poetica di Caggiano, capace di rendere viva e reale la simbiosi tra il suo sentire più profondo e le sottili vibrazioni delle essenze naturali:
Non so dove mi porterà
quel fiore porpora
che mi ha restituito il cuore
Nuvole e parole
danzano intorno al mirto
delle mie fantasie
Solo i poeti riescono infatti, attraverso misteriosi circuiti neuronali, a comprendere i segreti della natura e perfino presagire esiti della scienza, se è vero che in biologia sono confermate le relazioni strettissime tra vita animale e vegetale e forme di empatia reciproca comunicativa.
L'amore, quando vissuto in pienezza, è destinato a restare indelebile ricordo, un'energia smisurata, capace di sollevare i muri/ mettere fiato alle statue, e come si legge, capace di forgiare immagini che sedimentano memorabili nell'interiorità di chi legge, come, tra le tante, la visione di quella bambina che va incontro a nuovi uragani, nuda e/ senza scarpe. È il miracolo, ancora, dell'amore che travolge e rinnova il cammino umano.
E questo sentimento principe che pervade l'intero libro, sa però anche attraversare il proprio cerchio ipnotico per aprire a chi scrive altre suggestioni di ricostruzione e liberazione, come il lasciarsi fondere con l'amatissima dimensione del mare, o l'apprezzare nella vita la bellezza della sobrietà e della modestia, e pure il perdersi nell'incanto misterioso dell'universo.
Lungo gli ultimi testi, Caggiano avverte la necessità di aprirsi a un mondo altro, lungo altre traiettorie, e passa a descrivere scene dalla realtà quotidiana mescolate a figure mitiche, come in Polla e in Sibylla, o nuove geografie e altri linguaggi. Anche se, ineluttabile, persiste quel vuoto d'amore, in cui non possiamo, nell'oscurità dell'oggi, che riconoscere il nostro eterno vagare nella ricerca di senso.