di Barbara Herzog
È bello sentire altre lingue, specialmente in poesia.
Di recente ho avuto l’occasione di sentire una poeta maltese, poi la sua traduzione in francese. È stata per me la prima volta, ed ero incantata dalla melodiosità di una specie di arabo, ma più morbido. La mia madrelingua è tutt’altro che morbida. Un poeta nostrano, in una poesia dedicata proprio a lei, la descrive come tempesta di grandine. Però trasmette anche la nostalgia quando ci si trova lontani dai suoi suoni, che riportano all’infanzia e ad alcune certezze primordiali. La lingua più incantevole non sarà mai come la madrelingua.
Sono in Italia da oltre vent’anni e parlo e penso e sogno praticamente solo in italiano.
Per qualche strano motivo soltanto i calcoli non riesco che a farli nella mia lingua, cosa che qualche tempo fa ha tranquillizzato un mio caro amico, straniero pure lui, perché pensava fosse un suo difetto. Se non altro siamo già in due ad avere questo difetto.
Quando passa troppo tempo tra una telefonata e l’altra con mia sorella, mi fa notare che solo perché anche lei ha ampie conoscenze linguistiche riesce a comprendermi.
Mi mancano letteralmente le parole e quindi farcisco il discorso con quelle di altre lingue che uso più spesso. In effetti sto trascurando la mia da parecchio tempo. Scrivo prevalentemente in italiano, qualche volta in inglese o in francese. Ma da quando ero bambina non ho mai più scritto nella mia lingua. Certo, lavoro anche come traduttrice dal e in tedesco. Ma quella non è la mia madrelingua; quella vera è lo svizzerotedesco, che ufficialmente non è una lingua, ma un dialetto. Eppure è quella nella quale ho imparato le mie prime parole, sentito le canzoncine dalla mia mamma, litigato con i miei fratelli. È la lingua che condivido con cugini e zii e nonni, amici e amori dell’infanzia e dell’adolescenza. Appunto, quella unica che evoca nostalgia.
In onore del festeggiamento della giornata mondiale della madrelingua mi è stato chiesto di proporre, e quindi tradurre, una poeta delle mie parti, la qual cosa per me ha rappresentato una bellissima occasione di un ritorno alle radici.
Mi ha dato il motivo per mettermi a fare delle ricerche sui poeti del mio paese, leggerne le parole, i suoni, e sentirmeli rimbalzare nel cuore. È stata una gioia. Mi ha addirittura dato l’ispirazione per ricominciare a scrivere nella mia lingua.
Anni fa ho preso la brutta decisione di accantonarla, perché tanto non la capisce nessuno. Beh, io la capisco. E me la sento dentro. Per cui ha il diritto di esistere in me, e di fluire dalla mia penna. E se avrò voglia di condividere, farò come ho fatto per questa occasione; tradurrò in tutte le lingue che voglio, ma partendo dalla mia.
La poeta che vi presento l’ho scelta per una serie di affinità per cui non poteva che essere lei. Innanzitutto sono stata folgorata dalla sua scrittura. In tutti gli anni in cui mi sono dedicata alla poesia, non ho mai trovato chi scrivesse come me.
Supponevo fosse una peculiarità personale, e non avendo mai dedicato interesse alla poesia svizzera pretendevo di non affondare le radici là. Ed eccola qua invece, Ursula Hohler, che mi ha messo uno specchio davanti. Versi brevi, stacchi come i miei, poesie corte con spesso la stilettata nell’ultimo verso. È stata davvero una rivelazione per me.
Un amico poeta al quale ne ho parlato, mi ha chiesto se è brava, e gli ho dovuto rispondere che non posso essere io a giudicare l’eventuale valore per quanto me la senta simile, per cui lascio questo compito ad altri.
Andando poi a leggere chi è, ho scoperto alcune cose che mi hanno convinta di trovarmi davanti ad un segno del destino. Ursula Hohler è tra i fondatori di Amnesty International in Svizzera, quindi fautrice per i diritti umani come me. E ha svolto questa attività niente meno che nel paesino dove sono nata e cresciuta! Quindi è probabile che l’abbia anche incrociata, ma ero troppo piccola per ricordarmelo. Attualmente dà assistenza post-traumatica in quanto psicologa, cosa che facevo in veste meno titolata, ma non per questo poco articolata, nel mio lavoro con i rifugiati.
La chicca ultima è che Ursula Hohler è da cinquant’anni sposata con l’autore del mio primo libro in assoluto; la storia di un bambino che ad ogni risveglio si porta appresso un pezzo del sogno appena fatto. Un libro che ha accompagnato la mia infanzia.
Per tutti questi motivi la voglio conoscere meglio, e voglio farla conoscere anche a voi.
Ursula Hohler, Öpper het mini Chnöche vertuuschet (Qualcuno ha scambiato le mie ossa), pubbl. 2004, ed. Books on Demand
Ändi Juni
Am Obe
bliibt’s länger hell
d’Gärte si grüen
und d’Mönsche veruss
mängisch schiffet’s au
tagelang
der Summer chunnt no
aber der längscht Tag
isch scho verbii
Ändi Juni (Fine giugno)
Di sera
rimane chiaro più a lungo
i giardini sono verdi
e le persone all’aperto
talvolta piove anche
per giorni
l’estate deve ancora arrivare
ma il giorno più lungo
è già passato
Gross und blond
Im Hauptbahnhof
bini enere grosse Frau
mit lange blonde Hoor
so lang nogloffe
bis i ihres Gsicht
gseh ha
Si het nid dini Auge gha
nid dini Lippe
nid glachet wie du
du bisches nid gsi
du bisch
scho fascht föif Jahr tot
und i sueche di
immer no
Gross und blond (Alta e bionda)
Nella stazione centrale
ho seguito tanto
una donna alta
coi capelli biondi lunghi
fino a quando non ho visto
il suo viso
Non aveva i tuoi occhi
né le tue labbra
né rideva come te
non eri tu
tu sei
morta da quasi cinque anni
e io ti cerco
ancora
Die drü Prinzässine
I ha se
im Vierzähner gseh:
die erschti chunnt
us Arabie
die zwöiti chunnt
us Asie
die dritti chunnt
us Afrika
die Chliinschti treit e Brülle
und het es Prinzässine-Chinzgi-Täschli
die Mittleri treit es Jeans-Jäggli
und het e glänzigi Gürtel-Schnalle
die Ältischti het langi schwarzi Hoor
und neui Turnschue
zäme rede si Schwiizerdütsch
und si heis nid eifach bi üs
me merkt
si passe ufenand uuf
Die drü Prinzässine (Le tre principesse)
Le ho viste
sul tram quattordici
la prima viene
dall’Arabia
la seconda viene
dall’Asia
la terza viene
dall’Africa
la più piccola porta gli occhiali
ed ha un cestino da principessa
la media porta una giacchetta di jeans
ed ha una fibbia scintillante
la più grande ha lunghi capelli neri
e scarpe da ginnastica nuove
insieme parlano lo svizzerotedesco
e per loro non è facile da noi
si capisce
badano l’una all’altra
S’Läbe
Alls wo d’wottsch mache
het irgendöpper
irgendeinisch
scho mal probiert
s’isch zum Verzwiifle
aber bisch au
weniger einsam
S’Läbe (La vita)
Tutto quello che vuoi fare
qualcuno
prima o poi
ci ha già provato
c’è da disperarsi
ma sei anche
meno solo
D’Frau Müller
D’Frau Müller isch di erscht im Huus
wenn’s Morge wird veruss
D’Frau Müller isch di erscht im Huus
und het als erschti Liecht
und vorem Färnseh brüelet si
das het si geschter gseit
und s’Trottoir wüscht si tadellos
das ghört me wiit und breit
d’Frau Müller isch di erscht im Herbscht
wenn’s Nüss git a de Böim
D’Frau Müller isch di erscht im Herbscht
und isch als erschti duss
de passt si uf, de ghört me nüüt
nur d’Nüss si nümme do
kei Goof, kei Hund, kei Chopftuechfrau
söll eini übercho
D’Frau Müller (La signora Müller)
La signora Müller è la prima in casa
quando fuori viene mattina
la signora Müller è la prima in casa
e accende per prima la luce
e dinanzi al televisore piange
l’ha detto ieri
e spazza il marciapiede in modo impeccabile
lo si sente tutt’intorno
La signora Müller è la prima in autunno
quando arrivano le noci sugli alberi
la signora Müller è la prima in autunno
ed è fuori per prima
sta attenta, non si sente niente
solo le noci non ci sono più
nessun bambino, nessun cane, nessuna azdora
deve averne una
D’Wält
Es Chinderhändschli
blüet amene Novämberstruuch
zerscht hanimi gfreut
de bini verschrocke
de bini verschrocke
das i verschrocke bi
D’Wält (Il Mondo)
Un guanto da bambino
fiorisce sul cespuglio novembrino
prima ho gioito
poi mi sono spaventata
poi mi sono spaventata
per essermi spaventata
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