Armonia minima vigiliare alla cetra
Salendo i gradini della scuola,
pochi gradini se ricordo,
forse quattro, forse sei,
-non ti azzardare
non ci provare neppure-
la prima volta del primo giorno
trovasti lungo le fughe dei corridoi
una teoria di gessi,
idee
e sistemi di idee;
nei corridoi gruppetti volubili
di giovani,
dottrine
e sistemi di dottrine,
spazi ordinati e complici
in prospettive sghembe:
florida fioritura di chierichetti,
sostituzione dei sacrestani,
incremento esponenziale dei tesserati
alla gioventù cattolica.
E la fiera farfalla di scuro e di fuoco
se n’era appena volata sopra un altro fiore.
Lo zelo per la tua casa mi divorerà,
-non ti azzardare,
non ti ci provare
fino a che sei in tempo;
smetti di dire
e lascia che le cose vadano come vanno-.
Sei venuto a dire del tempo e del tempio
nel ventre areopago della balena.
Perché i quattro gradini o sei,
sono tre come i giorni,
solamente,
infinitamente, tre.
Lasciami dire,
lascia che parli poco e male:
quei quattro gradini tre stanno in basso
e sopra di essi il pantheon
è una rete gonfia di pesci,
dalle maglie fitte,
facili e feroci,
tessute in due secoli di alacre
paziente lavoro.
Le gabbie delle colombe, come sempre,
sono pronte ad ogni sacrificio impuro:
scaltri guardiani
e ingenui apprendisti
tengono al guinzaglio
le loro derive di sogno e volizione.
Tu scalappiato obbediente
rovesciando i banchi dei cambiavalute
hai portato il caos nel limbo,
mentre già diveniva ampia gola
d’orrore e d’oblio.
Nella terra di mezzo tremò
il monte della purificazione,
come fosse ogni scuola casa del pane
e del vino,
e ventre ogni ambiente.
Un canto nuovo s’è alzato,
sgradito e tanto amato.
Ci vorranno anni
e gruppi di anni,
e mai avremo finito
di conoscere
di che tempio dicevi,
di che tempra i gradini,
di che sostanza il tre
che era che è e che viene.
Ma s’è alzato il canto
amoroso e immortale.
Risuona qui adesso
e per tutti i secoli dei secoli.
vi son grata