di Davide Rondoni
Tiziano Broggiato, Novilunio, Lietocolle Pordenone Legge, 2018
Con questo libro dell'imminenza e dello spaesamento, Tiziano Broggiato continua e affina la sua poetica della modestia e dell'infrazione. Intendo che queste poesie, agglutinate per nuclei tematici e disperse per nascita e ispirazione per luoghi diversi del mondo, testimoniano una posizione umana dedita a decifrare nelle infrazioni del senso comune e nelle rifrazioni di luci medie un alfabeto non del tutto insensato. Broggiato, che ha in odio la primavera, "il suo ineluttabile / destino doloso", che depotenzia ogni annuncio, compreso la "cometa" dalle "braccia magre" che "in una numinosa notte / dissipò il suo talento abbassando / la traiettoria fin sotto l'orizzonte" vive come molta poesia di oggi una sorta di opaco, compatto scetticismo nei confronti di ogni possibile vena di gioia...
Eppure come un "predatore" - figura che ricorre - la voce poetante accusa qualcuno / qualcuna con parole durissime: "Cosa è questa fuga costante / questo pessimismo cosmico / che offusca e trasfigura costringendoti / a guardare indietro, a lungo / fin quasi al fonte battesimale?"
Quasi riecheggiano qui le parole di Rimbaud che si sentiva "schiavo del mio battesimo". Broggiato forse sa che in quel fonte potrebbe celarsi qualcosa, un riflesso d'acqua o di buio, qualcosa che interroga tale prevalenza del "pessimismo cosmico" e la sua messa in inquietudine.
Il predatore in realtà cerca o sente che forse potrebbe esserci una gioia, ne sente l'imminenza in molti momenti, non la pronuncia mai in mezzo alle molte forme e ai molti toni in cui la luce e la penombra o la oscurità si presentano. Siamo spesso a gioire dinanzi a un dispositivo bloccato. Ma non da un trauma, o almeno non se dà conto, bensì da una sorta di "postumanza" (invento io qui il termine che assona con costumanza, attitudine che dà luogo a poesia perlopiù in costume e ben educata), cosa che segna in una delle sue principali vene la poesia italiana, ita-segnata appunto (in Petrarca come in Sereni, per dare un arco immenso e vario) da un accadere della poesia dopo la conclusione della partita vita. Cordelli dice bene in nota che si tratta di un libro dove la luce è protagonista, una luce mediana, spaesante, in una compresenza di chiarità e di oscuro come indica il titolo stesso: Novilunio. Ma, chiosando, il novilunio è pure una rottura delle tenebre e una luce rinnovata, non appena alternativa, non solo ciclica, ma rinnovata. La luna nuova, con un titolo che rammenta come persino nella trincea più orrida, come in queste nebbie di insoddisfazione, il poeta (in questo caso Ungaretti) ha occhio per il "plenilunio". E se il predatore, dunque, fosse in realtà un cercatore di filamenti o fossero pure sospetti o meno, anche meno, forse brandelli, spiragli della luce che nemmeno sente più addosso, ma vede o congettura con gli occhi asciutti perché invasi di infinite e infinite lacrime da sempre...
Broggiato è uomo di luce rappresa, una luce che va a rapprendersi persino nelle parole, nella diligente sobrietà del dettato, nella misura sempre sorvegliatissima del lessico e delle cadenze.
La sua poesia che porta in titolo, come in fronte, una parola dolcissima e tremenda, la documenta come il retro di un arazzo la figura che porta. Ma non si tratta di gioco, né tantomeno di scaltrezza: si tratta di dolore, di tantissimo dolore, e di infiniti giorni scialbi a media luce, di albe smaniose, di luoghi di transito, luci lasciate alle spalle e altre ignote che arrivano. Su questa transitorietà, su tale "vibrante certezza / che tutto questo paesaggio / può fare a meno di te", il novilunio sta, astro muto ma evento assiale, come possibilità, indicazione di una altra misura di viaggio, luce discreta nella smisurata notte, e nelle penombre. Il novilunio di cui parla Broggiato nella poesia che dà titolo al libro, è tema di una poesia di cambiamento ("iniziare un'altra stagione di tempo, / un novilunio che sappia rimuovere / una stagione, questa, vicino allo zero"). Non si tratta del tipo di voglia di cambiamento che spesso prende le persone al declinare della piena maturità, o almeno non solo, bensì un cambio di stagione, di un cambio di sguardo che possa, se non ricapitolare, fare ancora poesia di tutte le cose.