“The Passenger” di Cormac McCarthy

di Pietro Cagni

What happened to you.
Something happened to me?
I think so.
What if I’d rather not tell you?
Then you’d rather not tell me.
I had a sister who died.
That you were close to.
Yes.
How long ago was this?
Ten years ago.
But you dont want to talk about it.
No.
All right.

Ieri ho visto mio fratello fuori da un locale a Lazise. Un’altra volta a Catania mi è passato davanti in motorino. Ho deciso di accogliere con gratitudine queste mie immaginazioni, come allucinazioni che vengono a dire cosa: non c’è rimedio né consolazione. Quindi attendo la prossima, come il dono di una grazia, per ripetere le parole che ho letto in The passenger: «All reality is loss and all loss is eternal. There is no other kind». L’amore di Bobby Western per sua sorella Alice, suicida nella prima pagina del romanzo, presenza sofferente, bimba prodigio, ragazza schizofrenica e geniale che viene raccontata nelle scene a parte scritte in corsivo, è di questa stessa natura. Un amore nello spreco, in assenza del referente. Bobby vive da dieci anni dentro un costante amore nella perdita (gli dicono: «your history unnecessarily embittered. Suffering is a part of the human condition and must be borne. But misery is a choice»). L’ultimo romanzo di McCarthy dà margine quotidiano per conoscere la natura totale e dominante di un amore consumato nella dispersione, un amore che non si può capire, a cui nessuno sa dare un nome: gli amici e i fantasmi della mente insinuano persino un legame incestuoso, tanto un amore così non lo si può immaginare. I critici perderanno tempo seguendo questa interpretazione, ma The passenger non è Child of GodOuter dark. Un amore inutile, speso in continuo scavo del petto: «In his dreams of her she wore at times a smile he tried to remember and she would say to him almost in a chant words he could scarcely follow. He knew that her lovely face would soon exist nowhere save in his memories and in his dreams and soon after that nowhere at all».

Here’s something else you’ve been told. That doesnt change anything.
Okay.
The dead cant love you back.

Niente viene a colmare la mancanza, ogni consolazione è una menzogna da cui difendersi. L’assenza dei morti si compie in due modi: fora le ossa, svuota gli occhi e la voglia, oppure diventa il luogo che abiti, in cui il tuo corpo si muove e la mente si stanca. Così Bobby Western, eccellente studioso di fisica da giovane, ex pilota di macchine e adesso operaio subacqueo di recupero sottomarino, a ogni passo ricorda il suo senso di colpa. Niente può colmare… ma appare per due volte nel romanzo una figura che sa parlare ai buchi delle ossa, seduta con eleganza femminile a un tavolino. È bello per Bobby sedersi di fronte a lei, è lei che sa accogliere, unica tra i tanti volti che incontra nel corso del romanzo, la sua tristezza, che gli impedisce persino di legarsi a lei («Bobby? / Yes. / You know I love you. / I know. Another time. Another world. / I know. Good night»). Mentre la guarda andare via, prima che si perda nella folla, tra i passanti e i turisti che si girano a guardarla, una voce viene a chiudere il capitolo: «He thought that God’s goodness appeared in strange places. Dont close your eyes».

As a child she would make up games that even then were difficult for him to follow. She took him up to the attic where in later years she would at least for a while hold her own against a world heretofore unknown. They sat crouched beneath the eaves and she took his hand. She said that they were meant to find something hidden from them. What is it? he said. And she said it is us. It is us that they are hiding from us.

Non ci può essere una parola nuova sulla morte, ma una meditazione sulla morte che si sconta vivendo. Alicia è un personaggio distante sempre, sin da piccola: nei giochi col fratello era in cerca del proprio volto, sapeva che è sempre sfocato e fragile, nascosto, da raggiungere. Dopo dieci anni è ancora “domina” della mente, davvero la morte avrà i tuoi occhi per Bobby Western. Le pagine in corsivo ci fanno stare con lei nella sua camera, il sottotetto da cui non esce più e resta col suo desiderio di morire, in un ritiro dal mondo che sappiamo essere definitivo, e in compagnia delle allucinazioni a cui finalmente si abbandona, interrompendo le cure. Viene a farle visita il Thalinomide Kid, capobanda verboso e instancabile di un manipolo di mostri, presenza affettuosa che vuole farle compagnia («We’ll be around. There’s always work to be done»). Agita le sue pinne, dovute all’esposizione alla talinomide, antinausea somministrato alle donne incinte fino al 1961, quando furono chiari i suoi effetti. La sua è una “deformità filiale”, quindi, anche questo un segno dissimile dell’amore, e anche della paura che pervade il romanzo per ciò che può abbattersi su di noi. Questo “spectral operator” che dice di arrivare in autobus (è lui il passenger del titolo) non sta mai fermo e mai zitto, gira attorno ai significati, è allusivo come un incubo, le cambia sempre nome. In lui il pensiero matematico di Alice va in cortocircuito, diventa presto giberrish, si arrende all’intima instabilità delle cose. È un esito del profondo interesse scientifico di McCarthy, della sua amicizia con Murray e gli altri scienziati del Santa Fe Institute («problem of coming to terms with the simple fact that there is no such thing as information in and of itself independent of the apparatus necessary to its perception. There were no starry skies prior to the first sentient and ocular being to behold them. Before that all was blackness and silence»).

Bobby, she said.
Can I say something?
Yes. Sure.
I dont think that the good Lord meant for anybody to grieve that way.
What way is that, Granellen?
This way.

La trama presto si disperde, e a poco a poco il vero argomento si svela. Il romanzo stesso non ha direzione, dove accade la storia? Western gira a vuoto. Come già in altri libri di McCarthy il protagonista si imbatte all’inizio in un fatto già avvenuto, enorme e abissale: di fronte a un evento assume un assetto impensato fino a quel momento. Questa volta, però, l’innesco diegetico, che in No country for old man permaneva come spinta narrativa dell’intera vicenda, disperde la sua carica, e il congegno del romanzo risulta disinnescato dall’interno: resta persino il dubbio che il fatto sia veramente accaduto, che dal relitto del piccolo aeroplano manchi davvero un passeggero (anche da qui il titolo), che tra le carte del defunto padre di Western e Alicia manchino dei documenti fondamentali, tali per cui si può persino intravedere un complotto, con servizi segreti e minaccia nucleare. Western subirà - o crederà di subire - avvertimenti e minacce da parte di misteriosi agenti governativi, si sente osservato, seguito. Vive fuggendo, e il lettore non sa giudicare se si tratta di un delirio paranoide oppure del lucido avvertimento di un disegno più grande, di un potere nascosto che incombe su di lui. Quando il fisco sequestrerà tutti i suoi beni, Western ha comunque la testa altrove, pensa ad altro, non ha continuità nella difesa, perde tutto senza opporsi.

Your sister was something of a beauty.
Yes. How would you know that?
Because beauty has power to call forth a grief that is beyond the reach of other tragedies. The loss of a great beauty can bring an entire nation to its knees. Nothing else can do that.

The passenger segue Western da un incontro all’altro («It’s good to see you. / Thank you. It’s good to be seen»). Anch’io voglio parlare con i morti. Incontrarli. Parlare ai fantasmi della mente, metterli alla prova. Non avere paura a chiudere gli occhi. Le allucinazioni sconcludono, o forse acuminano, la lingua, il pensiero? Nelle risposte al Thalidomide Kid che invade la sua stanza - anche se non c’è vero dialogo, le allucinazioni non lo permettono - leggiamo l’animo di Alicia: «Tu non vuoi parlarmi. / No. / Proprio niente, qui? Nessun’ultima parola, nessun ultimo consiglio per chi vive? / Sì. Non farlo». La questione fondamentale di The passenger affiora nei tanti incontri di Bobby, memorabili e colmi di silenzi, a cui McCarthy sa accostare descrizioni inarrivabili: «The fires from the pipes at the wells burning like enormous candles and the lights of the town washing out the stars to the east». Così un amico: «mi chiedi quand’è stata l’ultima volta che ho visto qualcuno. Io potrei chiederti quand’è stata l’ultima volta che non hai visto nessuno. Quando è stata l’ultima volta che ti sei seduto per i fatti tuoi. Hai visto fare buio. Hai visto fare giorno. Hai pensato alla tua vita. Dove sei stato e dove stavi andando. Se c’era una ragione per almeno qualcosa». La parabola di Western realizzerà infine quest’invito, il dolore non poteva restargli sottopelle e chiedeva di essere consumato, ustionato fino in fondo, alla cima, fino alla summa. A questo prezzo affioreranno le sue parole per quella presenza a cui si è legato, quasi come sposo.

He was wet and chilled. Finally he stopped. What do you know of grief? he called. You know nothing. There is no other loss. Do you understand? The world is ashes. Ashes. For her to be in pain? The least insult? The least humiliation? Do you understand? For her to die alone? Her? There is no other loss. Do you understand? No other loss. None.
He’d fallen to his knees in the wet sand.

Nelle ultime pagine del romanzo si coagulano finalmente le sillabe possibili di Bobby per Alice, che qui non riportiamo. Ricomincia a parlarle, dice il narratore, a chiederle opinioni, trova una forma di misericordia per se stesso: «Sometimes at night when he would try to tell her about his day he had the feeling that she already knew. Then slowly it began to fade. He knew what the truth was. The truth was that he was losing her». Conserva una fede muta («What do you pray for? / I dont pray for anything, I just pray»), una lingua sconosciuta:

Finally he got out his notebook and wrote a letter to her. He wanted to tell her what was in his heart but in the end he only wrote a few words about his life on the island. Except for the last line. I miss you more than I can bear. Then he signed his name. […] He knew that on the day of his death he would see her face and he could hope to carry that beauty into the darkness with him, the last pagan on earth, singing softly upon his pallet in an unknown tongue.

2 pensieri riguardo ““The Passenger” di Cormac McCarthy

  1. Grazie, una riflessione profonda e intima su un libro che ho trovato di straziante bellezza.

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