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“Il bel patimento di amare la vita”

sul saggio "Luzi" di Daniele Piccini, Salerno editrice

di Davide Rondoni

Una "lunga fedeltà": verrebbe da chiamare così – echeggiando altre vicende letterarie e critiche – la natura del gesto di studio vasto e puntuale che Daniele Piccini, poeta, critico militante e accademico, dedica alla figura di Mario Luzi, da sempre al centro della sua riflessione e della sua poetica. Con attenzione e precisione Piccini, che con me ebbe la ventura di condividere la cura di un volume di saggi luziani ("Vero o verso") edito da Garzanti, ripercorre la vicenda umana e culturale del poeta italiano che con più ampiezza e mobilità ha scavato nei motivi di riflessione poetica del Novecento e oltre, offendo tra le opere artistiche più alte. Di tale ampiezza e mobilità Piccini dà conto con dovizia di particolari e vaglio di molti regesti e studi, viaggiando dalla biografia del Luzi fanciullo a quella giovanile alla formazione e poi su su per i molti anni di studio e impegno. E ripercorre con ampi capitoli dedicati alle opere in versi, in prosa e alla saggistica, il dispiegarsi di un itinerario inquieto e luminoso. Sempre dialogando con i testi, su cui si sofferma a tratti con l'auscultazione del filologo, Piccini sa bene salvare da un lato la misurata attenzione critica e dall'altro far trasparire la simpatia umana e culturale per il maestro. Così che il saggio pur copioso mai indugia in capziose ricostruzioni, si muove curioso nella mole di testimonianze lasciate dallo stesso Luzi e da altri sulla formazione di quella congerie di rapporti con nomi poi confermatisi altri scivolati nell'oblio di una fertile stagione fiorentina, ripercorre le polemiche e le diatribe (con Pasolini e Fortini) e segue dall'interno delle opere il passaggio da una all'altra, in un percorso di affinamento ma anche di svolte e di azzardi di una mens poetica sempre concentrata, senza sconti, a indagare il farsi misterioso del mondo e le ragioni e i movimenti più adeguati a registrarlo da parte della poesia. Avventura, quella luziana, personalissima e però immersa nella trama di un tempo e di un lavorio operosissimi, come mostra ad esempio la massa di lavoro critico svolto dal poeta su riviste e giornali che Piccini rintraccia. Avventura fedele al "bel patimento di amar la vita", senza cedere ai conforti sentimentali o agli stilemi più correnti della elegia e senza mai cedere a un engagement che non fosse al livello giusto, profondo, con quanto richiesto dai tempi, anche tumultuosi in sede civile e tormentosi a livello personale, vissuti dal poeta. Chi come il sottoscritto ha frequentato a lungo Mario, provando a impararne la libera disponibilità e la concentrazione, ritrova nelle pagine di Piccini il sapore di tante conversazioni e per così dire l'altro lato dell'arazzo che si mostrava in quelle occasioni. Uno dei meriti del saggio di Piccini sta, oltre che nella mole di preziose informazioni, nel non attardarsi a distinguere in modo schematico momenti o fasi dell'opera o dei modi dell'autore, così come altri fanno distinguendo in Luzi dei "prima" e dei "dopo" che non hanno grandi ragioni. Piuttosto Piccini, radunando in un unico lungo capitolo "Dal viaggio alla metamorfosi" le analisi delle opere poetiche, provvede a illuminare il senso di un percorso che, quando anche segnato da svolte – come quella all'altezza del libro "Nel magma" che comportò al poeta incomprensioni anche dai vicini come Cristina Campo – rimane ancorato a una sorta di tensione unitaria, di sviluppo o forse di messa a fuoco progressiva, sia a livello tematico che stilistico, di elementi che da subito si affacciarono alla poesia di Luzi come centrali: il senso del tempo, la parità tra lingua poetica ed evento del mondo, il destino individuale e quello cosmico, la molteplicità come lingua del vero, il contributo specifico ma mai separato della letteratura al farsi della storia. Piccini, con la pazienza dello studioso e la partecipazione del lettore affascinato (cose indispensabili per una critica che non si riduca a inutili anatomie), ci conduce dunque nel lungo itinerario luziano illustrandone le molte fonti, le insenature, le affluenze, come di un fiume che abbia risalito la corrente di un tempo che come ebbe a dire il primo recensore del poeta, Giorgio Caproni, sembrava non prevederne la presenza, rivelatasi poi non solo eminente e importante ma tuttora fertile e propulsiva. A un Novecento che sembrava barrato e occluso dalla scepsi montaliana, Luzi, pur debitore ma anche antagonista, riapre le vie della inquieta domanda, della interrogazione vitale, veri nutrimenti di un'anima inquieta e mai compiaciuta, nemmeno dalle seduzioni della artisticità. In tale "riapertura" sta uno dei motivi di magistero che Luzi ha esercitato non solo su noi di clanDestino, che molte volte lo interpellammo, ma di tante figure di poeti successivi. M'è dispiaciuto solo di non aver trovato, in un volume così ricco di avvertimenti e citazioni, riportato qualcosa del discorso, che pur segnalai e citai a un convegno su Luzi in Cattolica qualche anno fa alla presenza dei suoi studiosi, da Verdino a Piccini stesso, che Ezio Raimondi insigne italianista e lettore dedicò a Luzi in una circostanza pubblica. La mia segnalazione non fu colta, ci sarà tempo per rimediare, vista l'autorevolezza del lettore. Ma questo piccolo neo nulla toglie al valore critico del libro di Piccini che certo fissa un punto di paragone per chiunque l'opera di Luzi voglia, d'ora in poi, studiare e custodire tra le più preziose in questa epoca di avventuroso tramando. Il gesto di Piccini, al di là delle ovvie motivazioni di mestiere accademico, splende di una dedizione preziosa, di una pazienza meritoria e di una tensione di ricerca spronata da quei motivi in cui poesia e vita trovano la loro fusione e adempiono al reciproco arricchimento.

Foto di © Daniele Sasson

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