di Gianfranco Lauretano
Nadia Maurizia Scappini, sul fianco del mattino, Italic peQuod, Ancona 2024
Nadia Maurizia Scappini propone l’autoantologia poetica di un lavoro ventennale: sul fianco del mattino (peQuod, Ancona 2024). Le poesie però sono riprese senza versi, senza la cesura dell’a-capo: talvolta lo spazio prolungato all’interno di una riga intende riprodurre il silenzio della parte bianca del verso, ma sono accenni, brevi e rari. Cosa può significare tutto questo? Nella “nota” a fine libro l’autrice racconta la sua storia poetica, senza entrare troppo in argomento. Approfondisce di più il tema la postfazione di Franca Alaimo, molto puntuale, che già dal titolo ci instrada alla comprensione: “Il ritmo dell’essere insieme”. È qui che viene pronunciato il nome di Cristina Campo, a cui pure è dedicata una poesia, e la questione dell’attenzione che la grande poetessa, linfa sotterranea di numerosissimi autori italiani, indica come determinante della poesia stessa.
Dunque “essere insieme” e “attenzione”: ecco due cardini dell’opera di Scappini. Attraverso queste indicazioni dovremo cercare il motivo dell’inaudita riduzione della poesia a prosa. È come se i versi delle versioni precedenti fossero troppo lontani; una mano attenta li ha convocati nello spazio unico del paragrafo della prosa lirica, avvertito come più relazionale. Non c’è un rischio in questo? Non si perde il metro, il ritmo, la musica? Non si tratta di una questione da poco: chi conosce la poesia dell’autrice sa bene quanto sia lirica, quanto l’elemento musicale concorra da protagonista al senso. Nadia Scappini non ha mai partecipato alla generale riduzione della poesia italiana a prosa-frammento; quando voleva scrivere in prosa ha fatto, con ottimi risultati, romanzi e racconti. Nella sua poesia la musica è sempre rimasta imprescindibile.
Perché toglierla, allora? È molto semplice: perché non l’ha tolta affatto. Nella nostra immaginazione abbiamo pensato che la poetessa, ad un certo punto, abbia visto il verso come un velo, una soluzione persino facile, cioè nemica del semplice. E abbia così interrogato i suoi testi a risponderci se la musica resiste persino senza il verso. E ha vinto la sfida: si legga a mo’ di esempio Il bacio, un gioiello assoluto di respiro e senso. Scappini ha insomma approfondito la musica della sua poesia dicendoci come essa stia alle radici della voce stessa. Non scaturisce dall’andare a capo che diventa, in molti poeti frettolosi, un espediente spesso debole e utilizzato inconsapevolmente. La musica nella poesia di questa autrice viene da un ascolto profondo e alto (non a caso si parla di profezia e preghiera), ed eccoci così ricondotti alla questione capitale dell’attenzione. Ogni poesia guarda una scena, una relazione, un incontro; cerca di tradurne il senso nascosto, i misteriosi collegamenti col senso stesso del mondo; cantando.
Esiste allora una “ora perfetta”, uno spazio di svelamento, possibilmente vissuto in luoghi piccoli (Ledine, Giacciano) dove pure è possibile un’epica dell’attenzione. In certi testi anche la rappresentazione di questa ora è perfetta: si pensi a la scala, ad esempio. La si scende, “al mattino di buon’ora” per abbracciare “la piccola corte acciottolata” e la giornata ha inizio con pazienza e letizia. In questi passaggi tipici ed epifanici insieme, la cifra dell’autrice diventa quanto mai evidente e sta nella fusione di attenzione e relazione, che sinteticamente si può esprime con questa parola: cura. Ecco il cuore della concezione scappiniana della poesia: cura del mondo, dell’altro, della parola, che si deve prestare nei tempi giusti, nelle ore perfette, nei luoghi “umili”, per citare ancora Alaimo, cioè vicini alla terra da cui il corpo e la parola sorgono tuttora. Cantando.