di Irene Mezzaluna
Andrea Donaera, Su una tovaglia lisa, L'Erudita Editore, Roma 2017
Con una prosa accurata ed essenziale Andrea Donaera ricolloca e riabilita Inventario Privato di Elio Pagliarani (1959) mettendo bene in luce la fitta rete di rapporti inter/intra-testuali in cui esso è inserito nel panorama della poesia italiana del '900.
Questa raccolta è stata spesso considerata secondaria rispetto a La ragazza Carla (opera che ha consacrato il suo autore), ma è un locus fondamentale in cui ritrovare una voce della complessa stagione poetica italiana cui fa riferimento. Donaera, nel secondo capitolo del libro, chiarisce come lo sfondo in cui si sviluppa la vicenda d'amore dei due protagonisti sia la Milano del boom economico degli anni '50, ma soprattutto l'etica dilagante del "mondo impiegatizio" che va ad incidere lo stile e lo sguardo dell'io poetante «confermando il piglio etico tipico della poesia di Pagliarani» (pag. 28).
Dato che, come sostenne Remotti «la cultura [...] determina antropologicamente la natura di chi vive tra i versi del libro» (ivi), la civiltà si impone come riempitivo di quelle mancanze che ontologicamente costituiscono l'umano e questo viene ben evidenziato dall'analisi stilistica e sullo statuto dell'io poetico che fa Donaera per tutto il libro, considerando la poesia come traccia di autenticità conoscitiva per un'epoca sociale ed espressiva ben precisa.
Modalità e topoi classici dell'amore petrarchesco e a tratti crepuscolare (come l'immagine del poeta timido che, seduto al fianco della sua amata, resta in silenzio contemplandone i capelli) si intrecciano con temi ed elementi della modernità: «Oggetti e dinamiche della modernità non solo incorniciano la storia d'amore, ma ne determinano anche il procedere, come nella [...] lirica in cui a dare senso e unione alla situazione amorosa è il telefono, oggetto che in quegli anni diventava consuetudine» (pag. 29) Oppure: «Pagliarani insiste nella creazione di un doppio registro, una doppia voce in grado di proporre contemporanemente un linguaggio "alto" e uno invece vicino – lessicalmente e semanticamente – alla lingua parlata, che alla fine degli anni Cinquanta, tra l'altro, inziava ad assorbire mutamenti notevoli provenienti dal linguaggio commerciale e dei media, e così dunque anche la poesia». (pag. 35) facendone una sua peculiarità stilistica. La poesia si permea di innesti lessicali provenienti dal mondo del commercio, della scienza tecnologica, dagli slogan alla tv, fino alle abbreviazioni delle fatture che non lasciano incontaminati i protagonisti di Inventario Privato ma che, anzi, «non solo orbitano attorno al mondo impiegatizio della Milano del boom economico: ne sono assorbiti, tanto da acquisire tratti costitutivi delle loro personalità e delle loro esistenze» (pag. 45). Sono infatti individui ingrigiti, inariditi, pervasi da un senso di solitudine quelli presentati da Pagliarani che vedono anche l'esperienza sentimentale nell'ottica di un “conteggio”, un “inventario” appunto, una lista di cose al pari di tutte le altre cose da avere e consumare con le quali si stava riempiendo la società italiana di quegli anni.
Ed è impossibile quindi non ripensare a Pasolini, specialmente alla critica linguistica contro lo slogan pubblicitario di una nota marca di jeans apparsa sul Corriere della sera il 17 maggio '73, in cui lo scrittore definiva l'espressività dello slogan in generale «mostruosa» perché «stereotipa» e dunque contraria alla vivacità e libertà espressiva umana. Scrive Pasolini: «La finta espressività dello slogan è così la punta massima della nuova lingua tecnica che sostituisce la lingua umanistica. Essa è il simbolo della vita linguistica del futuro, cioè di un mondo inespressivo, senza particolarismi e diversità di culture, perfettamente omologato e acculturato. Di un mondo che a noi, ultimi depositari di una visione molteplice, magmatica, religiosa e razionale della vita, appare come un mondo di morte»[1].
Se Pasolini parlava di rischio di un “mondo di morte” strutturato su una lingua tecnica, inespressiva e avvilita, Pagliarani già nel '59 faceva i conti con lo stesso rischio cosciente del pericolo. In Inventario Privato, infatti, la morte è uno dei temi portanti e Donaera sa chiarire bene il confronto che l'autore fa con Dante e Cavalcanti proprio su questo argomento. Per i poeti del 1200 amore/morte era un binomio poetico costruttivo, in Pagliarani invece diventa spia dell'inaridimento spirituale e culturale. La morte è dei sentimenti, l'avvilimento del desiderio d'amore, davanti all'indifferenza dell'altro che non corrisponde l'io si corrode, si sgualcisce e questa non corrispondenza scava e demoralizza a tal punto da svuotarlo di identità e di parole proprie. Se Enrico Testa in Eroi e figuranti (cfr. pag.52) parlava per il '900 di “figure concave e convesse” quelle di Inventario Privato sono tutte concave, passive, che tentano un'identificazione solo facendo eco alle voce degli altri generici, “i terzi”, che ad un certo punto della raccolta poetica si infiltrano nel difficile e a tratti inconcludente dialogo d'amore tra i due protagonisti. L'io poetico li assume come giudizi di valore solo per avere ancora qualcosa da pensare e da dire. Figure che trovano la loro motivazione d'essere nell'alterità sono costanti nel '900 ed aprono ad una serie di considerazioni molto attuali: se già Orwel in 1984 presentava una realtà psicotica sottoposta al giudizio del “grande altro inquisitore”, Inventario Privato di Pagliarani ne segue per certi versi la scia e la nostra contemporaneità può diventarne una prova tangibile estrema. Ho spesso a che fare con i più giovani e con le loro vite in apparenza anestetizzate, tutte iper-social e solitudine, e non trovo molto distante la preoccupazione di Pasolini e l'intuizione di Pagliarani: se la parola non è più usata per esprimere un legame di affectus - cioè di interesse amorevole per la realtà - fanno strage le formule fisse imposte dal potere o peggio ancora i silenzi d'indifferenza, il torpore emotivo e l'incapacità di cogliere il valore vivo di sé e degli altri. La poesia e la letteratura a volte hanno uno sguardo profetico sulla realtà e Andrea Donaera con questo lavoro su Inventario Privato di Elio Pagliarani ce ne rende una rinnovata testimonianza e uno spunto di riflessione.
[1] Pier Paolo Pasolini, Scritti Corsari, Garzanti Editore, Milano 1990, pag. 12