di Gaia Boni
“Who are you / dreaming / about?”
Se per caso si cerca la parola “poetry” sul social media Instagram, le centinaia e centinaia di post in versi che emergeranno saranno per un buon novanta percento della stessa qualità e categoria. Frasi di cui un copywriter dei Baci Perugina andrebbe fiero, semplicemente con qualche a capo qui e là, giusto per.
Questa poesia “social” anche in italiano non è da meno. Se si cerca infatti “poesia” a parte la sezione portoghese e spagnola che vedremo apparire per vicinanza linguistica, essendo tutte lingue neolatine, ci verranno mostrate una serie di consigli spiccioli sulle relazioni finite male o che vanno a gonfie vele.
L’amore è l’argomento più vecchio del mondo e la poesia ne ha sempre parlato, ma c’è modo e modo di scriverne. Pare qui che il verso si sia ridotto solo a una composizione estetica il più quadrata o rettangolare possibile per rientrare negli spazi esatti di un post o di un reel statico con musica al pianoforte da latte alle ginocchia.
“Il modo in cui ti / tratta, descrive quello / che prova per te, / punto”.
È pieno di esempi così, dove l’andare a capo non è più l’espressione di pensiero, di ragionamento o di istinto poetico, bensì la scelta più “instagrammabile” possibile.
Per chi non conoscesse bene Instagram, in breve, funziona così: quando si fa una ricerca partendo da una parola, l’algoritmo propone tutti quei post che hanno ricevuto maggiori interazioni. Quindi se un foglio digitale bianco con quattro versi appare nell’immediato durante la ricerca appena fatta, significa che ha ricevuto l’attenzione di fin troppe persone. Più di venticinquemila in questo ultimo caso.
Se pagine Instagram come Libreria Holden sfruttano questo trend della poesia o brevi citazioni proponendo più o meno grandi autori o messaggi interessanti nella forma e nel contenuto, così non si può dire della maggior parte dell’isola poetica che naviga i social. Basti pensare a quell’enorme, spaventosa e assurdamente inquinante isola di plastica che galleggia nel Pacifico (in realtà ce n’è più di una) dove ogni bottiglia e tappo, ogni leggerezza senza peso poetico confluisce nel vortice della poesia da social media mostrandola a sempre più persone, creando una zattera di soffocamento per ciò che cerca e dona ossigeno sul fondale marino: puri coralli di ottima ispirazione, voci attente di giovani autori semi sconosciuti o dei più o meno grandi e intramontabili.
Scorrendo poi velocemente sui profili che apprezzano questo tipo di contenuti, si nota che appartengono perlopiù ad adolescenti nel pieno delle prime brucianti storie d’amore, intenti a ricercare in quei versi una spiegazione di chi ha già affrontato il dramma ma anche di urlare al mondo il proprio dolore. Se un tredicenne si aggrappa a quel blob galleggiante invece che a un Montale o a un Caproni (per stare sui più conosciuti e amati), viene da pensare che ancora una volta la poesia a scuola venga insegnata nel modo più noioso e complicato possibile, dove il voler parlare della mancanza o dello struggersi per un amore assoluto non viene percepito tra i versi di Petrarca o Dante ma viene invece compreso, apprezzato e condiviso da chi scrive semplicemente “ma quanto cazzo è bello sentirsi / dire ‘ho voglia di vederti’?”.
Ci sono però le eccezioni.
Uno che inspiegabilmente ce la fa, è Cesare Pavese. Tra tutti gli autori da cioccolatino pronti a offrirti il Kleenex digitale, Pavese spicca sempre con i suoi versi brevi o brevissimi, con la sua semplicità perfetta che non si lascia trascinare mai nel banale di una conversazione spicciola con qualche a capo messo a caso; lui funziona ancora, permettendo anche a chi lo legge e magari di letteratura conosce poco, di apprezzare la profondità di un messaggio senza fronzoli e di magari darsi un tono durante la condivisione del post.
Tralasciando la scuola e i giganti del Trecento, la poesia odierna è dunque troppo complicata per un quattordicenne medio? È colpa degli autori che non sanno più scrivere o dei lettori che cercano troppo la condivisione facile e il messaggio immediato? E in ultimo, quale dei due tipi di poesia accoglie più seguaci e dunque suscita un senso di comunità? La poesia “vera” rende più isolati?
Probabilmente la cifra stilistica pavesiana non è replicabile perché parla d’amore con le parole giuste, misurate, mentre altrove si ricrea una poesia non più semplice, ma solamente facile.
Sarà che sono di parte, ma non sono d’accordo. Penso che i social siano un bellissimo modo di avvicinare le persone tra loro e magari anche alla cultura. E se qualcuno vuole diffondere poesia sui social ben venga. Ovviamente ci sono anche molte banalità in giro, ma chi dice che non possa essere un primo approccio per poi alzare l’asticella? Di solito si fa scorrere Instagram per cercare dei bei corpi da ammirare o cose futili, invece trovarsi una citazione o una poesia molto semplice davanti può essere un bello stimolo a mio parere, anche per riflettere su sé stessi. Ci si collega ad instagram per staccare la mente e sapere che qualcuno leggerà una poesia onestamente mi fa sorridere perché penso che in qualche modo si stia accrescendo il contatto tra l’utente medio e la sua sensibilità. Spesso ci si ritrova simili agli altri leggendo, e trovare una similarità con il prossimo penso sia utile per l’anima. Credo non vadano scoraggiati gli “instapoeti”. Mio umile parere 🙂