Quando la poesia è verità

R. Harrison “Sul non perdere le ceneri di mio padre nell’alluvione” (traduzione in italiano di Riccardo Frolloni), ‘roundmidnight edizioni, 2018

Nota di lettura di Melania Panico

Il libro di cui voglio parlare è un libro sulla perdita e allo stesso tempo sulla memoria. Sul non perdere le ceneri di mio padre nell'alluvione parte da un episodio della vita del poeta: nel 2013 l'alluvione dell'Alberta attraversa Calgary e lo scantinato di casa Harrison, dove il poeta conservava le ceneri di suo padre. Harrison stava già lavorando al libro (On Not Losing My Father's Ashes in the Flood ha vinto il prestigioso Governor General's Award) ma da quel momento il progetto cambia ancora e ancora: “tutto cambia, anche l’estinzione”.

Dicevamo libro sulla perdita. Ma soprattutto è un libro sulla necessità di ricucire con filo spesso la ferita della perdita. Il padre di Harrison, mentre la demenza vascolare lo consumava, conservava i libri del figlio accanto a quelli di Shakespeare e Dylan Thomas, come se nel gesto di affiancare le letture ci fosse tutta la memoria del mondo. E anche questo c'è in questo libro in cui la poesia quasi non si contiene, a tratti perde il verso per poi recuperarlo in una prosa caustica e musicale, resa in italiano dal bravo Riccardo Frolloni.

“Un giorno, vai a vedere lo scheletro di una balena/ ci sono femori là, infilati nella carne/ come pezzi di schegge che nessuno si è preso la briga di togliere/ qualcosa che sai ma tralasci di dire”.

La poesia è qualcosa di nascosto anche se è sotto gli occhi di tutti. Harrison ci racconta il segreto confessabile della poesia.

Il rapporto padre/figlio non è un vincolo. È un modo per attraversare anche altri temi, per affrontare la questione di dove sia la poesia ovvero dove la possiamo trovare se non nella visione di un mondo sempre nuovo di volta in volta: “saremmo andati/ ovunque insieme in quell’oscurità/ intrappolati in quella terribile eccellenza/ che i porti desiderano per ogni poesia/ che in quel momento le parole non hanno passato e in esse il mondo è fatto nuovo”.

E poi c’è la questione della memoria che a volte è macigno, altre invece – e sono le parti in cui la poesia di Harrison esplode magnificamente – è rendersi conto che tutto è già e ricompare come reminiscenza. Il destino delle cose trova una soluzione, diventa soluzione in senso più ampio ovvero si manifesta nella memoria. E così parlare della perdita delle ceneri può voler anche dire parlare di memoria collettiva, qualcosa che già c'era e che possiamo ricordare o ricostruire: “una poesia fatta di carne/ conservata in pietra/ che ha aspettato 200 milioni di anni i suoi lettori”.

Parlare del rapporto padre/figlio è quindi parlare della poesia: “poesia non è ciò che sentiamo/ma ciò che abbiamo imparato”.

Harrison scrive come se tutto fosse sempre sotto controllo ma è il controllo di chi sta per cadere, dell'uomo che sente di essere al centro di qualcosa di vivo e quella che vive è la sua mente come “corpo di una grande silenziosa bestia”.

Harrison scrive un libro sulla resistenza: “osservo mia madre. Imparo dal tempo/ e come il tempo/ non sarebbe mai cominciato se si fosse arresa e non mi avesse permesso di nascere”.

On Not Losing My Father’s Ashes in the Flood

We couldn’t find my father’s ashes
during the flood of 2013
and thought they had been swept away. Or maybe

one of the volunteers, there only to do good, saw the jar
that held them covered with silt and threw it out,
as it went with so many things people cared for
in the buried treasure of their homes –

                                                                    family photographs,
                                                        manual typewriters, diplomas under glass.

After the river left our house, two of my wife’s friends
took apart our piano, which was waterlogged
                                                        and could not be saved.

And the piano, being demolished, made a concert
from the jugular grief of crowed wood, the broken memory of glue
and the squeal of screws no longer holding fast.

It ended with the crash of the great harp
onto a crib of concrete,                                            a zoo in panic,
every note the piano knew climaxed at once,
                                                                                every animal howling
                                                                          as the river rose in their cages.

At the news of my father’s ashes lost to the water,
my neighbours winced like something wild
had eaten a pet they’d all fed from their hands.

But a friend from Poland thought it was hilarious,
and so did I – we both come from a long line of cannon fodder.
Dad would’ve laughed, too. I’d kept his ashes
because nothing I’d thought to do with them was right. He used to say,
If you wait, things will solve themselves –
the trick is knowing when to wait.

I was reading Robert Hass’s elegy
for his younger brother – with Robert’s mind caught up
                                   imagining a funeral
in which his brother’s body was burned on a boat in the river,

so first the fire, and then the air, and then, finally,
the river took the body – as if downstream
                                   was another word for heaven.

We found the jar
in a box of books and a remote-controlled car
taken to the kitchen
when everyone grabbed everything above the waterline;
                      it had never been touched by the river.

And now it sits on a shelf in my living room,
my father’s ashes not taken by the flood
that I will not give to the air
until I have learned all he has to teach me
                          with the last part of the earth that was him.

Sul non perdere le ceneri di mio padre nell’alluvione

Non riuscivamo a trovare le ceneri di mio padre
durante l’alluvione del 2013
e pensammo fossero state spazzate via. O che forse

uno dei volontari, là solo per fare del bene, aveva visto l’urna
che le racchiudeva ricoperta di limo e l’aveva buttata via,
come accadde con tante altre cose che la gente aveva care
nel tesoro sepolto delle loro case –

                                                                    fotografie di famiglia,
                                                        macchine da scrivere, diplomi sotto vetro.

Quando il fiume si allontanò da casa nostra, due amici di mia moglie
smembrarono il pianoforte, che era fradicio
                                                        e non poteva essere salvato.

E il piano, nell’essere demolito, fece un concerto
dal dolore giugulare, il suo grido di legno, il ricordo rotto della colla
e lo stridio delle viti che non reggono più.

Finì con lo schianto della grande arpa
contro una culla di cemento, uno zoo in panico,
tutte le note che il piano conosceva culminate in una sola,
                                                                                ogni animale ululava
                                                                          mentre il fiume si alzava nelle loro gabbie.

Alla notizia delle ceneri di mio padre perdute nell’acqua,
i vicini trasalirono come se qualcosa di selvaggio
avesse divorato un cucciolo che avevano nutrito dalle loro stesse mani.

Solo un amico polacco pensò che fosse comico,
e così anch’io – veniamo entrambi da una lunga schiera di carne da cannone.
Anche papà avrebbe riso. Avevo tenuto le sue ceneri
perché niente di ciò che avevo pensato di fare con esse era giusto. Era solito dire,
Se aspetti, le cose si risolveranno da sole –
il trucco è sapere quando aspettare.

Stavo leggendo l’elegia di Robert Hass
per il fratello minore – la mente di Robert immaginava
                                   un funerale
dove il corpo del fratello veniva bruciato su una barca nel fiume,

così prima il fuoco, e poi l’aria, e poi, alla fine,
il fiume presero il corpo – come se giù a valle
                                   fosse un altro modo per dire in cielo.

Trovammo l’urna
in una scatola piena di libri e una macchinina telecomandata,
l’abbiamo portata in cucina quando tutti afferravano tutto sul pelo dell’acqua;
                      non era mai stata toccata dal fiume.

E ora sta su una mensola in soggiorno,
le ceneri di mio padre non prese dal fiume
che io non consegnerò all’aria
finché non avrò imparato tutto ciò che ha da insegnarmi
                          con questi resti di terra che furono lui.

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