Richard Harrison, On Not Losing My Father’s Ashes in the Flood, Wolsak & Wynn, Hamilton, Canada, 2016, (84 pagine, $ 18).
Nota e traduzioni a cura di Riccardo Frolloni
Richard Harrison è un poeta canadese, è nato a Toronto nel ‘57 e si è trasferito a Calgary nel ’95, vive a Calgary da allora. Si è laureato presso la Trent University (in biologia e filosofia) e la Concordia University (in scrittura creativa). Ha insegnato alla Trent University, l'Università di Calgary e ora alla Mount Royal University. Il suo libro più recente, On Not Losing My Father's Ashes in the Flood, ha vinto il Governor General's Award per la poesia in lingua inglese, il Stephan G. Stephansson Alberta Poetry Prize ed è stato finalista del W.O. Mitchell Book Prize per la Città di Calgary.
Quando Ralph Harrison morì nel 2011 all'età di 84 anni a Victoria, British Columbia, in una casa di cura, aveva un libro di poesie di suo figlio sul comodino. "Teneva il mio libro insieme a Shakespeare e Dylan Thomas e Dickens – la scrittura con cui è cresciuto e quella con cui ha puntellato la sua mente". A sei anni dal giorno in cui suo padre è morto, Harrison apprende che il suo ultimo libro ha vinto il Governor General's Award, 25.000 dollari. “Vi conduco al suo letto di morte, alla mia ultima conversazione con lui” dice Harrison, “abbiamo recitato poesie insieme”. L’opera ha richiesto ad Harrison 11 anni per essere completata. “Sapeva di essere malato, sapeva che stava svanendo, sapeva che stava morendo. Mi sono reso conto che non avevo finito di scrivere di lui. C'era rimasto molto da imparare e molto mi aveva già dato.”
Nel 2013, l'alluvione dell'Alberta ha attraversato Calgary, e così lo scantinato di Harrison a Sunnyside, dove teneva le ceneri di suo padre. Gli amici che lo stavano aiutando a pulire il disordine lasciato dall'alluvione trovarono le ceneri e le spostarono, ma per 48 ore Harrison pensò che fossero state spazzate via. Il libro è cambiato di nuovo. "Mi stava insegnando tutta la sua vita", dice Harrison. "E, con la sua morte, mi stava insegnando l'ultima cosa che dovevo sapere - che la poesia o l'arte era la nostra risposta alla morte."
Su queste acque galleggia il lutto di Harrison per suo padre, veterano della Seconda Guerra Mondiale che ha sofferto di demenza senile, ma che non ha mai dimenticato le poesie memorizzate da giovane.
Vengono toccati dal poeta temi enormi come il rapporto padre/figlio, l'infanzia, l'ansia di mezza età, la demenza e la perdita, sentimenti ai quali la poesia di Harrison si rivolge con meraviglia, umorismo e resilienza. Combinando elementi memorialistici con l’auto-analisi poetica e la corrispondenza personale, On Not Losing My Father’s Ashes in the Flood è un libro generoso e incantevole, che ti lascia, come il poeta, pensare al mondo come un posto in cui “i personaggi di un romanzo possono sfuggire a tutto/tranne che alla loro storia”, una sorta di ananke tragica e tremendamente umana. Il verso lungo e prosastico non sente la mancanza dell’elevatezza lirica, anzi, riesce a reggersi perfettamente grazie alla leggerezza e delicatezza della composizione, al flusso dello sviluppo. La schietta commozione ricorda gli insegnamenti della Confessional Poetry, della scuola di NY, da Robert Lowell a Sylvia Plath, passando per Frank O’Hara, ma anche gli inglesi come Thomas e Auden tornano a galla tra gli scorci, con alcune frasi lapidarie, immagini che lacerano il velo della finzione, il pensiero che si invola dalla scena. Una carriera poetica quella di Harrison che si sta distinguendo all’interno della giovane ma già vasta letteratura canadese, che sta cercando di rafforzare le sue radici, distinguendosi dalla “totalitaria” influenza americana, come scrive Margaret Atwood nel suo Survival: A Thematic Guide to Canadian Literature: se l’immagine predominante della letteratura americana è “La Frontiera”, di quella inglese è “L’Isola”, per quella canadese si parlerà della “Sopravvivenza”.
On Not Losing My Father’s Ashes in the Flood
We couldn’t find my father’s ashes
during the flood of 2013
and thought they had been swept away. Or maybe
one of the volunteers, there only to do good, saw the jar
that held them covered with silt and threw it out,
as it went with so many things people cared for
in the buried treasure of their homes –
family photographs,
manual typewriters, diplomas under glass.
After the river left our house, two of my wife’s friends
took apart our piano, which was waterlogged
and could not be saved.
And the piano, being demolished, made a concert
from the jugular grief of crowed wood, the broken memory of glue
and the squeal of screws no longer holding fast.
It ended with the crash of the great harp
onto a crib of concrete, a zoo in panic,
every note the piano knew climaxed at once,
every animal howling
as the river rose in their cages.
At the news of my father’s ashes lost to the water,
my neighbours winced like something wild
had eaten a pet they’d all fed from their hands.
But a friend from Poland thought it was hilarious,
and so did I – we both come from a long line of cannon fodder.
Dad would’ve laughed, too. I’d kept his ashes
because nothing I’d thought to do with them was right. He used to say,
If you wait, things will solve themselves –
the trick is knowing when to wait.
I was reading Robert Hass’s elegy
for his younger brother – with Robert’s mind caught up
imagining a funeral
in which his brother’s body was burned on a boat in the river,
so first the fire, and then the air, and then, finally,
the river took the body – as if downstream
was another word for heaven.
We found the jar
in a box of books and a remote-controlled car
taken to the kitchen
when everyone grabbed everything above the waterline;
it had never been touched by the river.
And now it sits on a shelf in my living room,
my father’s ashes not taken by the flood
that I will not give to the air
until I have learned all he has to teach me
with the last part of the earth that was him.
Sul non perdere le ceneri di mio padre nell’alluvione
Non riuscivamo a trovare le ceneri di mio padre
durante l’alluvione del 2013
e pensammo che fossero state spazzate via. O forse
uno dei volontari, là solo per fare del bene, vide l’urna
che le racchiudeva ricoperta di limo e la gettò via,
come accadde con tante altre cose che la gente aveva care
nel tesoro sepolto delle loro case –
fotografie di famiglia,
macchine da scrivere, diplomi sotto vetro.
Quando il fiume si allontanò da casa nostra, due amici di mia moglie
smembrarono il pianoforte, che era fradicio
e non poteva essere salvato.
E il piano, nell’essere demolito, fece un concerto
dal dolore giugulare, il suo grido di legno, il ricordo rotto della colla
e lo stridio delle viti che non reggono più.
Finì con lo schianto della grande arpa
contro una culla di cemento, uno zoo in panico,
tutte le note che il piano conosceva culminate in una sola,
ogni animale ululava
mentre il fiume si alzava nelle loro gabbie.
Alla notizia delle ceneri di mio padre perdute nell’acqua,
i vicini trasalirono come se qualcosa di selvaggio
avesse divorato un cucciolo cresciuto dalle loro stesse mani.
Solo un amico polacco pensò che fosse comico,
e così anch’io – veniamo entrambi da una lunga schiera di carne da cannone.
Anche papà avrebbe riso. Avevo tenuto le sue ceneri
perché niente di ciò che avevo pensato di fare con esse era giusto. Era solito dire,
Se aspetti, le cose si risolveranno da sole -
il trucco è sapere quando aspettare.
Stavo leggendo l’elegia di Robert Hass
per il fratello minore – la mente di Robert immaginava
un funerale
dove il corpo del fratello veniva bruciato su una barca nel fiume,
così prima il fuoco, e poi l’aria, e poi, alla fine,
il fiume presero il corpo – come se a valle
fosse un altro modo per dire cielo.
Trovammo l’urna
in una scatola piena di libri e una macchinina telecomandata,
l’abbiamo portata in cucina
quando tutti afferravano tutto al di sopra del livello dell’acqua;
non era mai stata toccata dal fiume.
E ora sta su una mensola in soggiorno,
le ceneri di mio padre non prese dal fiume
che io non consegnerò all’aria
finché non avrò imparato tutto ciò che ha da insegnarmi
con questi resti di terra che furono lui.
Gone
When the groom’s mother died on the way to the wedding in San Diego,
it became a wedding from an American novel.
Everyone took the lead
and no one agreed on how it should end
so we focused on the purpose of each day –
What else could we do?
Sometimes that purpose was the wedding on the beach,
sometimes it was the mother’s body still in Utah where she died.
Everything fell into place as if it had been written –
which does not mean everything went well; it means
it seemed like an imagination was at work
the way the absurd makes you think life is fiction.
It was an American novel right down to the road trip because
American literature is about grief spread over space.
Instead of the honeymoon,
the bride and groom drove his mother’s ashes back from the desert,
taking the long way and photographs with the ashes
in front of the Grand Canyon and the Mandalay Bay Resort and Casino,
which she had planned to see on the ride home.
We all carry the story, and we tell it to anyone who asks,
How was your summer?
expecting the usual,
Good.
But it was not good, and you can only tell so many lies,
so everyone who was there found their own way to talk about it –
sometimes with the surprise up front,
sometimes in the middle
or setting the whole thing up for laughs
with the dark twist at the end –
because characters in a novel can escape anything
except their story.
I’ve surrounded myself with information, facts,
and every day the same pop song about
absence lingering in the fragmented heart
plays itself over and over in my brain.
And I barely knew her.
People are making lists – Update your will. What will you leave your children?
My wife’s sister, tired of her quarrels, packed up her family
and moved right across the compass.
But the way I see it, a song stuck in your head is
your mind reaching for poetry like a drowning mouth reaching for air,
and you never know how beautiful air, or light, or life are until you must gasp.
Andata
Quando la madre dello sposo morì sulla strada per il matrimonio a San Diego,
divenne un matrimonio da romanzo americano.
Tutti presero l’iniziativa
e nessuno accettò come sarebbe dovuto finire
così ci concentrammo sullo scopo di ogni giorno –
Che altro potevamo fare?
A volte era il matrimonio in spiaggia,
a volte il corpo della madre ancora nello Utah dove morì.
Tutto accadde esattamente come se fosse stato scritto -
che non significa che tutto sia andato bene; significa
che sembrava che un'immaginazione fosse al lavoro,
come l'assurdo ti fa pensare che la vita sia finzione.
Fu un romanzo americano fino alla fine del viaggio perché
la letteratura americana riguarda il dolore diffuso nello spazio.
Invece della luna di miele,
gli sposi riportavano le ceneri della madre dal deserto,
ripercorrendo il lungo cammino e le fotografie insieme alle ceneri
di fronte al Grand Canyon e al Mandalay Bay Resort e Casino,
che lei aveva programmato di vedere di ritorno verso casa.
Tutti noi custodiamo questa storia, e la raccontiamo a chiunque chieda,
Com’è andata la tua estate? aspettandosi il solito,
Bene.
Ma non era andata bene, e tu puoi dire solo tante bugie,
in modo che tutti quelli che furono là trovassero il modo per parlarne -
talvolta con la sorpresa subito all’inizio,
talvolta nel mezzo
o allestendo tutta la scena per le risate
con il macabro risvolto finale -
perché i personaggi di un romanzo possono sfuggire a tutto
tranne che alla loro storia.
Mi sono circondato di informazioni, fatti,
e ogni giorno la stessa canzone pop
sull’assenza ostinata di un cuore frantumato
suona ancora e ancora nel mio cervello.
E la conoscevo a malapena.
Le persone stanno stilando elenchi – Aggiorna il tuo testamento. Che lascerai ai tuoi figli?
La sorella di mia moglie, stanca delle sue lamentele, se ne andò da casa
e si diresse diritta verso nord.
Ma come la vedo io, una canzone fissa in testa è
la tua mente che cerca la poesia come una bocca che annega cerca l'aria
e non sai mai quanto bella l'aria, la luce o la vita siano finché non devi soffocare.
This Son of York
All the world’s a phrase,
and of all the phrases in the world, my father loved best
Now is the winter of our discontent
made glorious summer by this son of York.
It sprung from his lips I know not how oft,
and it leapt among the last he said
the day they mended his shattered hip, and,
fearing his heart would fail on the table,
the doctors asked me what they should do.
My father’s will was the last whole thing he had, I knew:
Let him go, I said, and signed the page.
And then I walked to where he waited and took his hand.
Now is the winter of our discontent,
he began again, his voice with Shakespeare
made glorious summer.
It has taken me all this time to ask, why
those words and not some others – or his own?
And I have written of him having a divine and terrible beauty
I could not help but praise.
My father answered with this soliloquy that
begins the play where Richard, who would be Third,
though not yet king, humpbacked, gross and loathing
every beautiful thing he beautifully describes,
longs for war’s reprise when he,
rudely stamped, unfit for love or joy,
could be monarch among men at their monstrous height.
My father longed, too,
for the days of youth and war
as the last time in his life he knew exactly what to do.
What comes to me now is how out of place a man
such longings make,
how little peace could offer him when he put down the gun,
and all the words he lived by then lay down their meaning beside it.
And all my writing around his name became a losing argument for the beauty
of a man who found beauty everywhere but in himself.
My father taught me a poem is not its words, but the ringing it leaves behind.
And when my father from his hospital bed spoke the usurper’s lines who
put every molecule of rage into laying waste to what he saw,
I understood it then: my father was never reciting this precipitous rant,
he was rewriting it,
replacing every word with one that reads the same but means the opposite.
He looked me full in the face, the way I look at my own daughter and my son,
glorious summer he’s said to me for almost half a century,
and with that clutch of words
this son of York held on.
Questo figlio di York
Tutto il mondo è una frase,
e di tutte le frasi del mondo, mio padre preferiva
Ora è l’inverno del nostro malumore
fatto estate gloriosa da questo figlio di York.
Tuonavano dalle sue labbra non so quanto spesso,
e abbassava il tono sulle ultime
il giorno in cui aggiustarono l’anca frantumata, e,
temendo che il cuore sarebbe collassato sul tavolo,
i dottori mi chiesero cosa dovevano fare.
La volontà era l’unica cosa intera che gli restava, lo sapevo:
Lasciatelo andare, dissi, e firmai il foglio.
E poi andai dove mi stava aspettando e gli presi la mano.
Ora è l’inverno del nostro malumore,
cominciò di nuovo, la sua voce insieme a quella di Shakespeare
fatto estate gloriosa.
Impiegai così tanto tempo a chiedere, perché
quelle parole e non altre – o le sue?
E ho scritto di lui che ha una bellezza divina e terribile
che non posso fare a meno di lodare.
Mio padre rispose con questo monologo che
inizia la scena dove Riccardo, che sarebbe stato Terzo,
sebbene non ancora re, gobbo, brutto e odiando
ogni cosa bella che descrive magnificamente,
anela la ripresa della guerra quando lui,
aspramente segnato, inadatto all’amore o alla gioia,
sarebbe potuto essere monarca mostruoso al pari degli altri uomini.
Anche mio padre desiderava
i giorni di gioventù e guerra come
l’ultima volta in vita in cui sapeva esattamente cosa fare.
Ciò che ora comprendo è quanto renda un uomo fuori luogo
così tanto desiderio,
quanta poca pace possa offrirgli posare la pistola,
e tutte le parole vissute da allora depongono il loro significato accanto ad essa.
E tutto il mio scrivere su di lui è divenuto un tema inutile per la bellezza
di un uomo che trovava bellezza ovunque tranne in se stesso.
Mio padre mi insegnò che una poesia non è le sue parole, ma la melodia che si lascia dietro.
E quando dal letto d’ospedale declamò i versi dell’usurpatore
che mise ogni molecola di rabbia nei rifiuti di ciò che vedeva,
finalmente compresi: mio padre non aveva mai recitato questo rantolo precipitoso,
lo stava riscrivendo,
sostituendo ogni parola con quella che si legge uguale ma significa l’opposto.
Mi guardò pieno in faccia, nello stesso modo in cui guardo mia figlia e mio figlio,
estate gloriosa mi ha detto per quasi mezzo secolo,
e con quella cadenza che
questo figlio di York ha mantenuto.
The World Made New
When he realized that he would never leave the Home,
my father was as furious as
a man with a memory refined to minutes could be.
He flared out in short blasts at the knowledge,
then faded just as fast into puzzlement at where he was.
Then he’d figure it out again.
Watching him was like watching fireflies in a forest,
each one a fragment of light,
but not so great a light to keep away the darkness
that gives the light its meaning.
My father felt betrayed by the doctors who’d
repaired his busted hip, and for him, the old soldier,
betrayal was the greatest of sins.
It would only be a matter of time
before he’d forget the origin of his presence
among them who slept in their chairs to the soundtrack of the TV,
and though he never believed that he had always been there,
eventually he understood that dying was his only escape
from the piece of shit body he declared he had left.
The worst part was the argument
to explain the memory he no longer had
because you need a memory to grasp your memory’s loss.
I asked him about the day when he, filled with gratitude
for the surgeons, looked for something of himself to give to the intern
who was with him when he woke,
and, owning nothing else,
he took the ruined ball joint of his leg that
they had cut away so he could walk,
and offered that.
He answered he remembered, but when I asked
what he remembered later, he did not know,
and denied I posed a question.
Around we’d go
in that darkness together –
trapped in that terrible excellence
poets long for in every poem
that moment words have no past and in them is the world made new.
Il mondo fatto nuovo
Quando realizzò che non avrebbe mai lasciato la Casa,
mio padre era furioso come un uomo
con una memoria tarata al minuto può essere.
Esplodeva in piccoli scoppi di consapevolezza,
poi sbiadiva rapidamente nella perplessità di dove fosse.
Poi l’avrebbe capito di nuovo.
Guardarlo era come guardare le lucciole in una foresta,
ognuna un frammento di luce,
ma non una luce così grande da tenere lontana l’oscurità
che dà alla luce il suo significato.
Mio padre si sentiva tradito dai medici che
avevano riparato l’anca fratturata e per lui, il vecchio soldato,
tradire era il più grande dei peccati.
Sarebbe stata solo una questione di tempo
prima di dimenticare l’origine della sua presenza
tra loro che dormivano seduti alla colonna sonora della tv
e sebbene non avesse mai creduto di essere sempre stato lì,
alla fine capì che morire era la sua unica fuga
dal pezzo di merda di corpo che dichiarò di aver abbandonato.
La parte peggiore era spiegare l’argomento
alla memoria che non aveva più
perché hai bisogno di una memoria per cogliere la tua perdita di memoria.
Gli ho chiesto del giorno in cui, pieno di gratitudine
per i chirurghi, cercava qualcosa di sé da dare al medico di guardia
che era con lui quando si svegliò,
e, non possedendo nient’altro,
prese la vite arrugginita della sua gamba che
avevano tagliato via così che potesse camminare,
e gliel’offrì.
Rispose che ricordava, ma quando più tardi
chiesi cosa ricordava, non lo sapeva,
e rifiutò che gli facessi una domanda.
Saremmo andati
ovunque insieme in quell’oscurità –
intrappolati in quella terribile eccellenza
che i poeti desiderano per ogni poesia
che in quel momento le parole non hanno passato e in esse il mondo è fatto nuovo.
Confessional Poem
Yesterday I wrote a confessional poem,
but my wife, who always reads me first, said it was just a journal entry.
It's been years since I was that far from a poem and thought I was that close,
but I trust her.
Today, before class, a student was zipping through a Rubik's Cube,
knuckling the box into panels of many colours, then a couplet,
then one then many again.
Within two minutes, without looking, he was done.
I asked him to do it over so we could all watch, and, having watched,
have something with which to begin the writing of the day.
I wrote that the planes of the cube going in and out of order
as the student twisted the game were like the drafts of a poem,
sometimes deliberately torquing towards the opposite of the desired end
because the poem is a way we give in to a logic that lives within us
but is not our own.
I was thinking of that poem I couldn't write,
an apology I wish I'd made years ago,
and carry with me even though two things are true:
the person I would have apologized to is dead now,
and what I want to apologize for is speaking badly of them
though it was only to my wife and so they never knew.
The poem was like having an argument with someone in a dream,
then going up to them in daylight wanting to make amends.
Last time I did that,
the other person reminded me
that I had done nothing.
But I apologized anyway
because they had done nothing
to deserve what I did not do.
Poesia confessionale
Ieri ho scritto una poesia confessionale,
ma mia moglie, la prima a leggermi, disse che era solo una pagina di diario.
Erano anni che non ero così lontano da una poesia e pensavo di esserne così vicino,
ma mi fido di lei.
Oggi, prima della lezione, uno studente smanettava un cubo di Rubik,
trasformando quella scatola in facce di tanti colori, poi due soltanto,
poi uno, poi tanti di nuovo.
In due minuti, senza guardare, aveva fatto.
gli chiesi di farlo ancora così che tutti potessero vederlo, e avendolo guardato,
avere qualcosa con cui iniziare a scrivere la loro pagina del giorno.
Io scrissi che le facce del cubo perdendo e ritrovando il loro ordine
mentre lo studente faceva roteare il gioco come la bozza di una poesia,
che a volte devia volontariamente verso l’opposto della fine desiderata
perché la poesia è un modo per arrendersi a una logica che vive dentro di noi,
ma non è la nostra.
Pensavo a quella poesia che non ho potuto scrivere,
una scusa che avrei desiderato dare anni fa,
e avrei portato con me sebbene sono vere due cose:
la persona con cui mi sarei scusato è morta,
avrei chiesto scusa per averne parlato male
anche se è stato solo a mia moglie e così non lo seppe mai.
La poesia era come avere un litigio con qualcuno in un sogno,
poi di giorno andare verso di questo a chiedere scusa.
L’ultima volta che lo feci,
mi ha ricordato
che non avevo fatto niente
Mi sono scusato comunque
perché non avevo fatto niente
per meritare ciò che io non avevo fatto.
Riccardo Frolloni nasce nel ’93 a Macerata. Laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Bologna, pubblica la sua prima opera "Languide Istantanee Polaroid" (Affinità Elettive Edizioni, vincitore premio "Le Stanze del Tempo" 2014 e finalista premio "Elena Violani-Landi"), con una nota di Davide Rondoni. Dal 2016 è nel Direttivo del Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna. Ha lavorato per la School of Continuing Studies dell’Università di Toronto, scrive per la rivista Midnight Magazine. Attualmente sta traducendo diversi autori anglo-americani per alcune riviste online.
Richard Harrison - photo: Keeghan Rouleau