Re Granchio: una fiaba tra mito e redenzione

Ho sognato che solcavamo i mari, andavamo lontani, sentivo una gran pena, per me, per te e per tutti quanti,
poi, invece, il mare diventava un lago come questo

Analisi di Maria Caruso sul film Re Granchio del 2021, diretto da Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis

Immerso in sovrumani silenzi, e profondissima quiete, un uomo è bagnato da un’accecante luce spirituale, all’interno di una dimensione sospesa tra il mito e il paradiso, dove il tempo ci suggerisce l’eterno. Affonda la mano in un’acqua verde smeraldo per afferrare un simbolo che chiedeva di essere ritrovato. Di quest’uomo nato dalla luce si dicevano un sacco di cose: Luciano era un pazzo, Luciano era un nobile, Luciano era un santo, Luciano era ‘n mbriacone.

Parole che giungono a noi attraverso un racconto orale e rituale pronunciato attorno ad un camino da un gruppo di uomini anziani, che popolano la realtà rurale e aspra della Tuscia romana, fatta di vino e pane, di canti antichi che risuonano come echi di un passato lontano.
La cornice narrativa del Re Granchio è un racconto fatto di folklore e memoria collettiva, una leggenda popolare tramandata di generazione in generazione, un espediente narrativo che porta con sé il possibile modificarsi dei dettagli che pur sempre manterranno tra le pieghe del mistero un fondo di verità.
Barbe incolte e volti scavati che raccontano storie di principi e povera gente, di pazzi e di santi, reliquie d’oro portate da uomini con pance vuote, croci sacre innalzate in case diroccate, suoni atavici di flauti da incantatori di serpenti che accompagnano la dolce fatica che i pastori affrontavano con solerzia nei racconti di ieri.

Il Re Granchio è una fiaba di crude realtà ma intrisa di poesia visiva, capace di catturare lo spettatore attraverso immagini curate al dettaglio, un racconto che richiama la cultura popolare, che si fa archetipo di una profonda riflessione sulla nostra condizione di uomini.

I registi

Alessio Rigo de Righi, nato a Jackson (Mississippi, USA) e Matteo Zoppis, di origini romane entrambi classe 1986, esordiscono con Re Granchio. Un'opera che si rivela essere una piccola gemma cinematografica, sospesa tra una dimensione mitica e un realismo magico, espresso attraverso l’attenzione per quei dettagli della vita che vengono sovente taciuti.

La collaborazione tra i due inizia nel 2013 con il cortometraggio Belva Nera, cinema dal sapore documentaristico che ci dona una dimensione antica, fatta di folklore e tradizioni orali, una cifra stilistica nella loro dialettica.

I personaggi

In questo mondo ruvido e chiuso, il giovane Luciano emerge come una figura sovversiva animata dal romantico sentimento fatto di impeto e tempesta, un uomo ricco di sogni che vorrebbe aprire un varco tra le rigide dinamiche rurali.

Luciano, in un primo momento, è un idealista, il denaro è una sporca faccenda di nobili e principi, ciò che conta è la libertà, quella libertà che lo allontana dalle convenzioni e dalle restrizioni sociali. Un giovane capace di vedere il bello là dove nessuno guarda, di scovare tesori sepolti non per la loro ricchezza materiale, ma per ciò che simboleggiano. Luciano, afflitto da un continuo senso di vuoto esistenziale, cerca di colmarlo attraverso l’amore, seguendo l'idea di Erich Fromm, secondo cui l'amore maturo è l'unico strumento per superare la solitudine e l'alienazione.

Questa forza sovversiva di combattere ciò che lo circonda gli deriva, quindi, da una profonda fede nell’amore, in questo caso simboleggiato da una giovane pastorella, figura di bellezza biblica, incarnazione di dolcezza e riverenza paterna, eterea come un campo che brilla di pecore corazzate d’oro.
Dietro gli occhi sognanti di questa Madonna romana si cela una forza segreta di sogni mai espressi: anche lei, pur legata ai doveri della terra, immagina di solcare i mari e andare lontano. Lei, nel suo sogno di un mare che diventa lago, si fa Sibilla pastorale che guida Luciano nella sua redenzione.

Due personaggi che incarnano un’umanità che cerca di scardinare le fondamenta della società statica fatta di appuntamenti rituali, attraverso la ricerca profonda di una libertà autentica ed eterna, fosse anche da raggiungere sacrificando sé stessi.

La narrazione

La struttura narrativa è suddivisa in due atti ben distinti. Il primo si svolge a Vejano, nella Tuscia, dove la vicenda prende avvio con il fattaccio di Sant'Orsio, mentre il secondo si sposta nell'estrema e selvaggia Terra del Fuoco, un arcipelago dell’America del Sud, luogo definito con ironia in culo al mondo. Questi due contesti, così diversi e lontani geograficamente, rappresentano sia da un punto di vista visivo che narrativo la divisione tra peccato e l’aspirazione di una redenzione: si passa da una dimensione rurale chiusa del primo atto, dove il protagonista è intrappolato dalle convenzioni sociali e da un tragico destino, in un luogo dove ogni possibilità è chiusa e le porte serrate, a quella selvaggia e sconfinata del secondo atto, dove implora un riscatto e la remissione dei propri peccati.
Non a caso, la parabola di Luciano, si sviluppa attraverso un percorso che sembra suggerirci l'ascesa dantesca verso la purificazione. Il portone del principe, simbolo del potere, richiama l’ingresso dell'inferno di Dante, emblema della disperazione e monito per una società in cui la bramosia non fa che impedirci un’ascesa al sacro colle.

Nel secondo atto, il linguaggio diventa simbolico e rarefatto, evocando l’esperienza estatica di cui Dante parla nella visione di Dio. Più ci si avvicina al divino, più i vaticini sibillini si trasformano in enigmi, solo un'anima predisposta a cogliere la voce divina può interpretare le parole incise sulle foglie della Sibilla.
Nulla è lasciato al caso nella scrittura del film. L'analisi della storia del santo venerato nella piccola comunità rivela importanti analogie con la figura di Luciano. Come Sant'Orsio, anche Luciano sembra essere condannato a una vita segnata dal peccato, predestinato a un percorso di espiazione. Entrambi i personaggi, infatti, sono costretti a intraprendere un pellegrinaggio interiore e fattuale, attraverso un viaggio fatto di sofferenza, aspirando ad un incontro divino.
Solo attraverso un dove devo andare? disperato e consapevole dei propri fallimenti, si può arrivare ad una dimensione spirituale, solo cercando Dio si può sperare in una risalita e all’agognato bagno nel Fiume Lete per dimenticare le colpe terrene.

L’elemento acqua è costantemente protagonista, che si tratti del desiderio di unione tra due corpi amanti, pozza di morte, acqua trasformata in vino, ghiaccio che non disseta, oceano che separa o di un battesimo rinnovato. Emblematica è la scena in cui Luciano, nonostante il suo disprezzo per la realtà che lo circonda, si immerge nudo nelle acque gelide di un'antica fontana. In quel gesto semplice e istintivo, egli rivive un rito di purificazione e rinascita, come se quell'immersione fosse un battesimo che lo riavvicina a una purezza perduta.

Luciano e il granchio

Gli animali giocano un ruolo fondamentale come simboli mistici. La mantide religiosa, conosciuta dai Francesi come la Prega-Dieu, ci riporta alla preghiera con le sue zampette congiunte, un simbolo di saggezza e riflessione.
Luciano è una figura quasi mistica, la cui identità è sfuggente e difficile da definire: in alcuni momenti sembra un santo, in altri un nobile, poi un pazzo o un ubriacone.
Inizialmente indifferente al denaro, finisce per implorare Dio di farlo morì come un faraone, per poi tornare a una sacralità più pura delle cose, implorando l'aiuto divino, chiedendogli di indicargli il vero cammino.
Così come la volpe della Terra del Fuoco, simbolo ambiguo, rappresentazione di astuzia e peccato, proprio come l’ambivalenza di Luciano.

Il granchio, che funge da bussola, indica il cammino di Luciano, una guida che lo porta a cercare il tesoro nascosto ma, così come il granchio si muove di lato, anche il cammino verso la verità non sarà lineare.
Nella tradizione cristiana medievale, il granchio era associato alla resurrezione, lo sappiamo grazie a Plinio il vecchio che nell’Historia Naturalis ci riferisce come i granchi all’ingresso della Primavera rinnovavano il proprio carapace, un simbolismo che si intreccia profondamente con la voglia di dimenticare il peso della vecchia pelle da parte di Luciano.

[spoiler] Se il granchio, in un primo momento, sembra rappresentare una guida mistica nelle terre desolate dell’argentina, verrà poi brutalmente ucciso, segno inequivocabile che l’uomo non può sfuggire alle sue colpe, anche nei luoghi più remoti e incontaminati del mondo, anche qui, il sangue macchia la pura neve.

Riferimenti pittorici

Uno degli elementi più sorprendenti di Re Granchio è la sua straordinaria qualità visiva, che richiama apertamente l'arte pittorica. Ogni fotogramma sembra essere pensato come una tela, con riferimenti espliciti ai grandi maestri della pittura europea.

Il film si apre con un chiaroscuro di ispirazione caravaggesca, in cui la luce incide le figure con drammaticità, esaltando il contrasto chiaroscurale.

Una luce che, come nelle opere del maestro, sacralizza gli emarginati, ricordando la potenza espressiva della Madonna dei Pellegrini dove l'artista metteva in risalto le figure dei poveri e degli umili. La luce diventa simbolo di redenzione e dignità, elevando gli ultimi a protagonisti: illumina il dolore, la fatica e l'umanità degli uomini, imponendo attenzione e rispetto, trasformando la miseria in un’estetica dei dettagli di una santità silenziosa.

Una fotografia influenzata dai quadri che utilizzavano la tecnica pittorica dei dipinti a lume artificiale, trovata spesso nelle opere di Rembrandt come La ronda di notte, una luce che con la stessa linea d’onda della narrazione segue lentamente i dettagli del viso e delle espressioni.

Le scene di vita rurale evocano opere di Pieter Bruegel come I mietitori, Paese della cuccagna, con la sua attenzione ai contadini e paesaggi agresti. A queste si aggiungono gli impressionanti richiami alla pittura bucolica di Francesco Paolo Michetti, soprattutto nelle rappresentazioni delle pastorelle e delle campagne italiane, che gridano la presenza di una pace effimera e destinata a rinnovarsi ogni giorno, tra attimi di sopravvivenza. Un esempio eloquente sono i quadri: Alla guida del gregge, Contadini in strada, I morticelli, Il voto, Le serpi, Processione del Venerdì Santo.

Nella scena in cui Emma, la giovane pastorella, subisce violenza, i volti deformati e perversi dei poveri dannati che la tormentano evocano immediatamente le espressioni lascive e bramose dei vecchioni nella vicenda biblica di Susanna, una scena, resa celebre da numerose rappresentazioni artistiche, come quelle di Artemisia Gentileschi e di altri grandi maestri.

Luciano è un sognatore che cerca di colmare il suo vuoto esistenziale attraverso la richiesta di un canto pastorale (canti che diventano colonne sonore nel film) o con le calde note di un bicchiere di vino, effimeri palliativi di fronte al senso di inadeguatezza della vita quotidiana.

Un senso di solitudine e smarrimento palpabile che viene reso esplicito quando Luciano viene immerso, da una sapiente fotografia, in distese di terra senza vita che ci riportano al Campo di grano con volo di corvi di Van Gogh, prolettici di morte. Ma non solo, Contadino che brucia l'erba, Campi arati, Due granchi.
Nel secondo atto, l’estetica del film si apre a influenze della pittura romantica. Le nebbie che avvolgono i paesaggi argentini sembrano uscite da un quadro di Caspar David Friedrich, come Monaco in riva al mare, Le tre età dell’uomo, Viandante sul mare di nebbia.
Mentre, le scene delle onde impetuose del mare sembrano suggerisci il vigore espressivo di J.M.W. Turner, pennellate portatrici di significati ancestrali: Shade and Darkness, Waves Breaking against the Wind.

Questi rimandi visivi non sono semplice citazionismo, sono strumento narrativo che richiede un procedere lento e meditativo, una visione che possa permette allo spettatore di perdersi nei dettagli e negli angoli della tela.

Riferimenti letterari

Accanto all’influenza pittorica, Re Granchio è intriso di riferimenti letterari che confermano la completezza espressiva dei due giovani registi.

L’ombra del conte di Montecristo di Alexandre Dumas aleggia su tutta la storia, con il protagonista che, come Edmond Dantès, cerca vendetta e redenzione, vino e acqua, in un mondo dove non c’è posto per i pazzi e per i sognatori.
Mappe, tesori, pirati, rum, galeoni spagnoli, bucanieri, ci catapultano nel nostro io bambino immerso nella lettura dell'Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson, mentre la lotta tra l’uomo e la natura incontaminata e potente ci ricorda le sfide affrontate nel Richiamo della foresta di Jack London o Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway.

Inoltre, il racconto tragico della vita di Luciano si lega inevitabilmente alla grande tradizione del teatro shakespeariano. Il suo tormento, il senso di isolamento e la sua incapacità di fuggire da un destino beffardo richiamano Amleto, mentre il suo amore non vissuto evoca la struggente storia d’amore e tormento, basata sull’equivoco presente nella tragedia di Romeo e Giulietta.

Nella leggenda del santo bevitore di J. Roth vediamo Andreas condannato a una vita di solitudine e fallimenti, così come il nostro protagonista, entrambi ostacolati da circostanze o vizi personali, che li allontanano dal loro obiettivo.

Con Re Granchio, Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis dimostrano di essere due registi dotati di una sensibilità visiva e narrativa rara. La loro capacità di fondere cinema, arte e letteratura in una forma di racconto che affascina e intriga lo spettatore fa di questo film un’opera unica.

Non è il valore che conta, ma l'immagine: un'immagine che, in Re Granchio, parla attraverso i suoi silenzi, le sue ombre e la sua luce, consegnandoci un'esperienza cinematografica che rimane impressa a lungo nella memoria.

 

Ho sognato che solcavamo i mari, andavamo lontani, sentivo una gran pena, per me, per te e per tutti quanti, poi invece, il mare diventava un lago come questo,
il sole si specchiava nell’acqua e tutto brillava perché c’era un tesoro nascosto e chi lo trovava diventata un re, un mago o un principe.

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