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Questo spentoevo di Gianfranco Lauretano

di Nico Mauro

Gianfranco Lauretano, Questo spentoevo, Graphe edizioni, Perugia 2024

Gianfranco Lauretano si è stancato, ora siede sul lato della voce che non tace. Sul lato che si fa versante, siede nel posto dove meglio scruta le parole.
Si è preso il suono di Giorgio Caproni, nel petto, lungo la giugulare che pulsa dei suoi toni lievi, come un battito d'ombra nei filari dei pioppi, come il lento sorriso del mare. Ha preso il metro delle sue sillabe come il viaggio giusto della mente che si inchina agli occhi, ai giorni, al suo vissuto.
Gianfranco ora cammina, vorrebbe ritrovarsi in un tempo oltre questo evo, oltre il suo fedele ascoltare, di ognuno, il semplice apparire.
Lega la prima poesia con l'ultima.
“Togliti dalla lontananza” spalanca l'uscio alla memoria, richiama una voce, la guida nel suo sentire come altro non ci fosse, prima di morire.
E giunge nel pro-fondo del racconto, anzi del suo non dire, accanto al silenzio di un niente, all'insieme del tutto che fa nome Gesù, come fosse stupore ogni passo tra le note di salmi, di nomi, di amori eterni del cielo e della terra.
Si lascia andare, Gianfranco, senza credere ai colori innaturali, alle voci dei polimeri anime perse nella fattoria delle redazioni dei giornali, delle televisioni.
“Questo spentoevo sta finendo / in un evento che si desta / alza la testa e smette il sonno…”, forse vive ancora ma per poco, “…Tanto / il lupo non si accorge / è occupato alle sue orge”. Vive e “...in televisione smonta il bene / con gelida ironia / invisibili catene / perfino simpatia / la bestia sinistra”.
C'è una danza nel filo dei versi di Gianfranco che simula un continuo uscire dalla scena dopo averne preso il cuore, l'incrocio delle luci sul punto centrale, in un acume di buio che improvviso ti lascia stordito, a pensare.
È come se fosse stato attore e spettatore egli stesso nel teatro svuotato della vita, sacrificando il giorno per la notte, lasciando andare molto del suo sentirsi senso vitale, per giungere ora dove “...tutto indica il contrario / della solitudine, tutto si apre / al cielo, che s'allarga come / un albero”.
Rinascere è “Il valore che viene senza avvertimento / come una resa / nel pieno del combattimento / un sorriso sopra al mento duro / che sguardava cinico e infuriato / e poi il cinismo, come per grazia, se n'è andato, dentro al vento / dell'alba”.
Sforzo etico, quindi, di merito e di metodo, senza assecondare la vita, il suo artefatto costrutto ma incarnando nella scrittura la ragione del proprio sentirsi al mondo, del proprio essere poeta, seguace della voce di dentro e di fuori.
Qui irrompe l'artificio della Risposta a Leopardi e i cinque rimandi lirici alla Beltà.
Nel punto di mezzo della vita, l'abbandono alla Beltà, che sembra schiudersi e chiudersi come la veloce parabola della fioritura, è quasi interrogato, in un mai risolto conflitto tra il desiderio di amare e quello di essere amati: “...Una prova, un richiamo / questo amore pulsante / è consolazione? Ma / consola ciò che muore / incessantemente?”.
Non rispondiamo subito a questa domanda.
Aspettiamo che “Amore torni a rivestirsi dell’imago / a cui non ci abituiamo”; e non c'è un nome, ma solo “carne e ossa / tu collo e fianchi, occhi / chiari, sorriso scardinante / tu assenso squadernante / tu che mi fai ridendomi / e vedendomi tu che mi / plasmi, accorgendoti”.
C’è un “tu” nella Beltà di Gianfranco che si fa radice di esistenza, seme germogliante di un amore incontrato o vissuto, desiderio di assoluto che si compie nel momento stesso del suo incontro con il “tu” della scrittura.
E tutto giace nel silenzio della neve, nelle “sue sembianze” che lasciano attoniti gli occhi fermi come ogni cosa, nella città dei vivi. Esiste uno sguardo, però, che gli occhi non trattengono, esiste uno sguardo che irradia la memoria e fa del gelo un tempo remoto.
Se “L’oblio è il risultato del gelo” nella poesia di Gianfranco Lauretano “una luce fioca tocca l’aria / mentre dorme il seme / di grano al calduccio, come / mi raccontavano da piccolo. / Le cose nascoste si riavviano / al disgelo, dopo la stasi / disumana d’un epoca diaccia. / Dietro le nubi persiste un sole / ma ama andarsene e tornare / seminare la storia un’altra volta”.
Questo spentoevo potrebbe finire qui. Ma dipende da noi, dalla nostra capacità di ascoltare, di leggere, di viverlo.

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