Home » La vita è un viaggio. Poesie di Luigi Mariani

La vita è un viaggio. Poesie di Luigi Mariani

Questa selezione di poesie di Luigi Mariani viaggia il mondo. I suoi versi rivelano la vita, nelle sue intercapedini, là dove giace tra persone, luoghi e solitudini. Un flusso di coscienza che scava l'anima, mentre il tempo si infiltra tra le parole e le annienta con la sua presenza. Un tempo padrone di quei pensieri che nascono quando si è troppo distratti per poter "vivere tranquilli", cioè quando non incombe quella sensazione che ci fa notare la sacralità del mondo. E tutto quel che resta è l'esistenza nuda e cruda, rivelata tra le pieghe di ciò che vediamo, proviamo, pensiamo. Maciullata dallo scorrere inesorabile che ci spinge sempre e solo avanti.

Breve nota introduttiva di Francesca Delvecchio

ANNI 2000 – 2006

Vendiamo casa

Un attimo prima
di girarmi ed andarmene
col sacco vuoto
la lacrima pesante e piena

Un attimo appena
mi fermo sulla soglia
ai piedi delle scale

Lì dove tutto era solito
andare e venire
uscire ed entrare

Mio padre per esempio
con la sua giacca di pioggia
e l’ardore
del suo tornare

O l’aria di festa
nella sera di fuoco
e l’abbaiare
dei cani

Un attimo prima
di staccare il piede
da questo pavimento

Dal sorriso di una notte quando
mio fratello imparò a camminare
e col suo passo incerto
certo ci insegnò
alcuni movimenti del cuore

In questa casa
che ci ha visti resistere
con gli occhi coi denti
ai nemici
che ci volevano dividere
le mani

Le notti d’amore consumate
sottovoce
i natali coi parenti
le corse in bici

Sarà come averle sempre avute
mai perdute
appena un attimo dopo
esserci lasciati

Siedi con me (poesia dei vecchi sposi)

Siedi con me
su questa panchina

Su questa panchina
che ci ha visto giovani
e amanti

Che sa
dei nostri giorni di sole
e dei pomeriggi

Degli abbracci e dei pianti

Siedi con me
se avermi vicina
ti suggerisce ancora
le parole da dire
e il loro momento

Se non rifuggi
queste mani graffiate
dal tempo

Aspetteremo
che ci vengano a cercare
quando il cielo
declina
e diventa domani

Che ci vengano a cercare
col sorriso amico
di chi non può dimenticare
la nostra storia

Scritta a china
sopra un foglio liso
e affidata al vento
con garbo antico

PERIODO “AUSTRALIANO” (anni 2007 – 2012)

Il cielo d’Australia

Cos’è una vita senza cura
domanda o contesa
se non gloria di corpi esultanti
perfezione di pelli lisce

Cosa, se non fuga di giorni e resa
divagazione di altro
e rilassamento del muscolo cuore
un bicchiere al centro

Grazie al Cielo c’è il cielo d’Australia

Ti sfinisce d’infinito e ti prende
per la coda dell’occhio, ma resta
un foro di stupore sul petto, ti passa
da parte a parte

Ti concede la luce del dubbio
e assesta
un colpo diretto alla morte
(che di notte, qui, si guarda allo specchio)

La domanda

“Quel giorno non mi domanderete più nulla” (Gv 16,23-28)

Di certo non vorrei morire così,
con la domanda piantata nel cervello,
scheggia impazzita, scherzo
schiaffo inutile
quando tutto avrebbe potuto essere più facile
se liscio, leggero, scorrevole
come un giro di carte attorno a un tavolo vuoto
e invece no. È questa mia pretesa sbieca,
ribelle, che mi scava la pelle a fondo
a farmi brutto, deforme, orrendo.
Pessimo compagno di gioco, io chiedo
domando in continuazione e (per lo scandalo del mondo)
io prego. Prego che la vita non sia soltanto
uno sgarbo, un’intuizione priva di genio
o un appunto distratto, uno sbafo del tempo
(che sa scrivere diritto inizio e fine
e abbozza ciò che sta nel mezzo? no, non lo credo).
Spero, a volte pretendo, in modo folle e violento,
che una mano raccolga il mio sangue,
l’inchiostro versato, e ne faccia memoria alla carne,
all’anima, nutrimento alla terra,
che ogni istante, ogni particella valga il pianto
e salga, seme del ritorno,
che nulla vada perso.
Io ti aspetto, come ho sempre fatto,
certo che il tradimento pende dal mio lato, non dal tuo,
che ti sia breve e dolce discendere il declivio
e rialzarmi dal mio fango, sciogliere l’incastro
che mi tiene ancorato lì; tu ed io,
in un confronto vis-a-vis, in campo aperto,
quando verrà il giorno, sì, quando verrà il giorno.

PERIODO “SIRIANO” (anni 2017 – 2022)

La ragazza di Mosul

Nur ha la luce nel nome
e una speranza ragazza che vince ogni guerra

Sorride quando dice che tornerà a studiare,

un giorno

perché sa che la radice del suo dire
origina dal centro della Terra

Scosta con gesto delicato della mano
la tenda in cui ho trovato riparo,

vi deposita un sogno

Poi con garbo si defila e torna fuori,

nel mondo

per riscriverlo diverso da come lo conosciamo

Conversazione con una donna dell’ISIS

È una bimba o una bomba
quella che tieni fra le mani,
pronta a esplodere e uccidere noi,
giovani operatori umanitari,
e trasformarci in titoli per giornali,
condannati in contumacia
da ben altri, mondani tribunali
per l’audacia con cui rincorriamo gli alieni
e la presunzione di saperci mortali.
E mentre parli e siamo così vicini
mi chiedo se, poi, siamo tanto lontani
o non piuttosto un incrocio di destini,
imputati chiamati a rispondere, da vivi,
ai nostri, spietati, tribunali intestini.

ULTIMO PERIODO – RIENTRO IN ITALIA (2023)

Spaesato

Ho voltato pagine al tuo fianco
carezzato l’argine del tuo viso
e sporgendomi verso te ho quasi visto Dio

E mi sorprendo a rifarlo ancora
e ancora, mai stanco, non vinto
dal dubbio di avere un conto in sospeso

Lasciami così, amore, quasi spaesato
in un paese forse più mio
di quanto non lo sia mai stato prima

Lasciami qui, a baciarti le mani e

guardarti dormire

con questa faccia da folle
e la speranza un po’ scema
che ci sarai ancora domani

Oggi sono morto

Oggi sono morto nello specchio di un bar,
fra una bottiglia di rum e una di Campari
ma non sono morto per davvero
perché il mio pianto è un pianto frivolo, leggero
non mi porta a fondo, mi svuota dentro.
Che mi dici invece del pianto di quella madre
che ha perso il figlio in una notte d'estate
in una rissa tra giovani volgari, per ragioni volgari
e ora lo cerca come si cerca l'aria, il vento, il sale
o una risposta a una domanda non banale.
Le direi che mi spiace – se l'incontrassi – che non ho ucciso nessuno
ma che mi sento colpevole uguale,
perché volgare è tutto il mio parlare, pensare, fare
quando dimentico il figlio, il fratello, l'amico che sono
e ogni mio gesto diventa un omicidio preterintenzionale.
Per questo morire è normale, per me,
un sentimento che mi è familiare
ma non muoio mai per davvero
perché ho il tempo di un caffè, un sorriso al barista, un bacio a mia madre
e il potere – a Dio piacendo – di ricominciare da zero.

(agosto 2017)

Luigi Mariani (Bologna, 1981) è laureato in legge e giornalista pubblicista. In passato si è occupato di comunicazione per la Camera di Commercio Italiana di Sydney e ha lavorato per circa nove anni come operatore umanitario in Medio Oriente. Da sempre coltiva la passione per la scrittura; ha pubblicato opere di poesia e racconti brevi. È autore del romanzo “Dove non canta più il cielo” (Paoline Editoriale Libri).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto