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Poesie da Kiev di Elina Sventsitskaya

Memoria e visione si fondono in queste poesie. Notevole da un lato la capacità della poetessa di offrirci oggetti, situazioni, figure dai contorni netti, incisi nella materia della poesia e nella lingua italiana offerta con umiltà e plasticità. E dall’altro per sua magia confini di luoghi e di livelli esistenziali si scambiano senza annullarsi nel registrare le esperienze (la guerra, la memoria,  gli incontri, le storie).
Una poesia ricca e umile, viva di nutrimento slavi e occidentali, e forte, forte come certe poetesse sanno essere quando scuotono le radici del tempo e della storia con le notizie in versi della loro guerra.

Davide Rondoni

Arriva a casa nostra il giorno nuovo
della guerra odierna,
guerra ennesima,
guerra fredda e calda,
tra noi ricchi e noi poveri,
tra noi vecchi e noi giovani,
tra genitori e figli,
tra uomini e donne;
mentre la vita si esaurisce,
manteniamo la calma.
Ci mettiamo volontariamente le manette –
dovremo stare lì, dove l’aria è cattiva e dura,
in una buia caverna vuota, colma di disperazione...
perché sopravvivere a quell’incubo?
Arriva a casa nostra la guerra,
ma la casa abbandonata è vuota.
tutti noi siamo i bambini di sottoterra…
...solo due pipistrelli solitari si scontrano nella notte.

*
Ecco il palazzo dove abitava Desdemona.
Forse non è giusto, ma non ridere - è vergogna...
Vedi colonne così grandi in questo palazzo,
qui cade in silenzio Piazza Navona.
E abbiamo sonno, e gira il cielo celeste.
Il passato della persona,
come un bambino caduto dal balcone.
Forse in quel palazzo abitava Desdemona?

*
La lupa, la lupa, la lupa
la madre di due fratelli
spaventata si guarda intorno...
Ma come dirle, o come?
Le auto ostili espirano fumo,
e strane persone minute
gridano false parole,
La lupa, la lupa, la lupa
sotto il cielo nero
angosciata da mille pensieri
ulula, ulula, ulula,
O come dirle, o come
Dirle, che tutto passa?
... Ho sognato, ho solo sognato.

*
Ormai sei anni

Ormai sei anni avanti stiamo correndo,
le orecchie con l’ovatta coprendo.
Ascoltiamo sui cigli delle strade
stridulare il ghiaccio sanguinoso,
sentiamo stridulare quel ghiaccio.
Ci sono i poeti intorno,
gli enormi ballerini delle rime,
ossessionati dall’uggiolio della battaglia di ferro
Compongono inni per gli eroi nelle tende...
All’uomo tornato gli dai un bacino, un cielo!
Piangi per i destini degli eroi, del popolo santo!
Sei un embrione nel grembo materno,
spogli di tutti gli averi di prima.
Costruiamo tra il passato e il presente
le mura del Cremlino!
Nasci di nuovo in un posto nuovo
sotto un sole nuovo,
ma in quale paese – non è così importante...
Sogna pure, che il mondo è misterioso,
e la vita non è orribile tanto.

*
Sì, a noi piacevano sempre
le ghirlande della nostra bella infanzia,
come un capestro intorno alla gola,
intorno al mondo...
Lì, nella città dell’infanzia, facevamo le sentinelle.
Lì i termosifoni erano ghiacciati,
lì risucchiavano l’olio di pesce dai nostri cervelli,
lì era vietato essere calorosi,
ma era permesso essere degli uccelli, uccelli cattivi.
Gli uccelli cattivi si mettono sull’albero di Natale.
I calendari di carta sono già lacerati,
noi semplicemente decoriamo l’albero con i giocattoli,
vuoti dentro e maleducati.
- Ma perché sull’albero ci sono gli aghi?
- Perché devono accoltellarti…
- Ma perché devono accoltellarmi?
- Per farti sentire il dolore...
- Ma perché?
- Chi non sente dolore, non esiste.

*
…Il nemico è senza volto,
il nemico è senza nome.
Lui non chiede mai nulla,
abita nel mondo oscuro.
Il nemico sta alle tue spalle,
strappa la carta stracciata,
dice parole salate,
entra nel cuore e nel letto.
Lui è un estraneo
e pure porta i miei vestiti,
sbatte gli occhi smarriti,
trovando l’idea erronea.
Il nemico è senza viso,
il nemico è buono e vecchio,
ma qualche volta l’ho visto,
quando guardavo allo specchio.

*
È ora di contare le pecore,
le contavo ogni notte.
Le pecore calde, docili, mute
vanno verso il sole che tramonta.
Vagabondano verso le strade grigie,
verso le mura di pietra,
verso le cattedrali vuote,
e belano umilmente.
Le briciole dell’intonaco
decadono come le foglie…
La pecora smarrita
non ha le voglie –
solo porre sotto il coltello
la propria gola.
La voce sottile come un filo,
lungo, longevo…
Cosa voleva quella mela marcia?
Quella pecora nera cosa voleva?

*
Capita a scadenze
quasi regolari,
quasi sempre di notte
si sente un clangore di ferragli,
che manda in pezzi il cielo stellato…
cosa succede?
Tutto intorno è piombato nell’oscurità,
come in un sacco,
quello nero della spazzatura,
e noi stiamo lì,
nati per sbaglio sulla terra dura,
vissuti nei terrari di pandemia
e gettati via, come le scarpe vecchie,
nel sacco della vita oscura…
Cosa sta succedendo ogni notte?
Un figlio di qualcuno
brancola nel buio,
da solo nei cespugli spinosi del paradiso…
Cosa sta succedendo ogni notte?
Un figlio di qualcuno
guarda l’alba nei campi elisi
e sorride, andando sull’erba cocente
in giardini d’inferno…

*
La guerra cammina per il mio paese,
come un padrone ubriaco, scortese...
e quando ci svegliamo - la guerra, la guerra,
nel pomeriggio e di notte - solo la guerra,
stringe la gola, toglie il sonno, confonde i nomi...
all'alba e al tramonto –
tu, solo tu,
sotto il sole furibondo...
Che amarezza profonda!
... La guerra cammina per il mio paese.
La guerra cammina per il mio mondo.
La guerra cammina per il mio cuore.

*
Sono persa nei camposanti della mia memoria;
dove ci sono solo fiori, l'erba fiorita
della vanità - azzurra e saporita.
Poi ci abitano:
la carezza della tristezza,
gli uggiolii ed i sospiri di una mamma sfigata,
dei pianti desperati dei bambini diletti,
in pasto alla vita abbandonati.
Stiamo nel quadro astratto,
stiamo nel vuoto, dove suona l'arpa eolia.
Cade e cade negli occhi
la neve della memoria.

Elina Sventsitskaya è una poetessa, scrittrice e vincitrice di premi letterari nazionali ed internazionali. Laureata in Filologia all'Università Nazionale di Donetsk, ha esperienza come educatrice a diversi livelli: maestra d'asilo, maestra scolastica e oggi docente universitaria e PhD.
Dopo aver insegnato per più anni all'Università Nazionale di Donetsk, si è trasferita, per via della guerra, nel 2014 a Kiev.
Oggi è PhD e professoressa all'Università Nazionale di Tavria (l'Università si è trasferita a Kiev dalla Crimea, a seguito dell’occupazione da parte della Russia). È una rinomata ricercatrice nel campo della teoria letteraria e della letteratura russa a cavallo tra il XIX e il XX secolo.

Elina è autrice di 8 libri di poesia e prosa, pubblicati dalle più importanti case editrici nazionali. Le sue opere sono state, altresì, pubblicate nelle principali riviste letterarie in Ucraina e all'estero. Scrive prosa in russo e poesia in ucraino.
La scelta di lingua per lei si sovrappone alla principale differenza tra poesia e prosa. A tal riguardo, la prosa rappresenta molte voci che esprimono diversi punti di vista che suonano dall'esterno; mentre la poesia è la voce di una persona, la voce dell'anima.
L’autrice crede che la lingua scelga una persona per creare nuovi significati e non che la persona scelga la lingua.

Improvvisamente, Elina ha sentito la necessità di iniziare a scrivere poesie in italiano; quest’ispirazione verso la scrittura di poesie in italiano scaturisce dal fatto che il multilinguismo creativo assume un significato molto speciale in una situazione di guerra e di divisione in insider e outsider. In ognuna di queste lingue, l'autrice è tanto nativa quanto straniera. Quando scrive, lo straniero diventa suo e il suo diventa straniero.
Sente che attraverso la sua scrittura è impegnata in un dialogo tra diverse visioni del mondo e diverse culture. Lei cerca di non disturbare questo dialogo.

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