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Poesie inedite di Simone Migliazza: “La vita è questo stare nelle cose”

Introduzione di Francesca Delvecchio

In “Lettere a un giovane poeta” Rilke scrisse che non è il giorno a essere povero, ma lo è colui che non ne sa vedere la grandezza o la bellezza.
Saper vedere i doni nascosti in cinque minuti di tempo che passa, nelle ombre che crea il sole o nel gesto di una mano è proprio di animi attenti che ogni tanto sanno fermarsi a guardare.

In queste poesie Simone Migliazza non solo sa cogliere quegli attimi fugaci e semplici, ma riesce a renderli vivi con la naturalezza propria di un narratore che, mentre era intento a vivere, è stato colto d’improvviso da un lampo.
E come il lampo dura poco, non è che un attimo, una sensazione che si prova e poi vanisce, le poesie di Simone sono brevi, ma concentrate. Di quella sintesi che restituisce concentrazione appunto, ma anche attenzione di sguardo e visione. I suoi versi sono pennellate di natura e ambienti, in ogni riga c’è uno scorcio che, insieme alle altre, compongono un quadretto a volte di vita, altre di esistenza. E nel suo modo di descrivere, in un incastro tra narrativa e lirica, il tempo si ferma attorno agli oggetti o sui paesaggi, senza che la figura umana debba farsi per forza protagonista o apparire. Per questo è appena sussurrata, ai margini del quadro, come in realtà deve essere: una spettatrice. Questo perché tra il tramonto che giunge ogni giorno, il cielo, i tetti, le luci, c’è quello che realmente accade o i dettagli che riempiono la vita di tutti i giorni: una ciotola bianca piena di cipolle e agli, pane e pomodori, una foglia piegata sotto il vaso, l’azzurro che sferza il vento, il forte odore del pioppo, i comignoli sui tetti rossi. E quel che accade non deve essere molto per forza, ma proprio quel poco, una volta detto, rimane indelebile negli occhi.

Bisogna entrarci nello sguardo di questo poeta, seguire i suoi occhi con i nostri per comprendere appieno quello che queste poche parole stese in prosa non riescono a dire. Perché non si può spiegare la poesia, solo ammirarla tra le lettere che si intrecciano. Solo sentirla. E Simone, in questi suoi inediti, porta la pace di quella grandezza che ogni giorno sa dare, se solo lo si riesce a vedere. Proprio come diceva Rilke.

*

Si ferma sui comignoli il tramonto
stasera che sui tetti rossi levano
i loro scuri profili. Dietro, dove
l’orizzonte s’abbassa, ancora luci
folleggiano: una festa silenziosa,
senza invito. Sugli alberi, tranquilla,
posa la sera. L’aria muove il poco
che rimane del giorno. Quasi annotta
senza che uno s’accorga, per errore.

*

È già tempesta ai monti. Un borbottare
si fa strada in città, sui tetti e i muri
s’allunga un’ombra. “È morta. La sorella
di Anna, dico. È morta”, fa una voce
per la via. Si perde la risposta.
Fare cose da vivi, con del pane
e pomodori mangiare. Non serve altro.

*

A stare con i gatti sul balcone
e guardare la vita che si muove
dal margine, fra vasi dove insecca
terra in disuso e strame. Farsi posto
tra le cose, restare: basteranno
quel vento fra le piante nell’attesa
della sera, le prime ombre, la rondine
in picchiata e ascoltare la domanda
che corre lungo i viali, fra le case.

*

C’è il mare fra le cose immaginate
e il promontorio selvatico disteso
con qualche uccello che urla primavera.
In un’ora qualunque quanta vita
manca. La costa è nuda, senza un uomo.

*

Azzurro sferza un vento nei viali oggi,
fa l’anima leggera. Erbe e strade
muove fin su, alle tende dei terrazzi:
pare tremare sotto gli occhi il mondo,
a onde. Dai vetri aperti è nella stanza:
s’addentra con un suono di lenzuola
e panni stesi. Non c’è mistero, splende.
La bici in strada ti sembra volare.

*

La vita è questo stare delle cose
abbandonato:
il vecchio che cammina
la scopa al muro del terrazzo,
l’albero che al vento lascia
il ramo.
È nel passo che ti porta
Scoprire un cigolio, un tentennare
un mancare della forza
che ti ferma sulla forra.
È al tavolo coi gomiti poggiati
cercare sulle dita le ragioni che ti restano
le occasioni buone
e segnarsele a matita.

*

Ieri notte in terrazza abbiamo acceso
una candela. Ai margini del tavolo
si spingeva la sua luce: passava
tra bicchieri e bottiglie, sulla grande
ciotola bianca piena di cipolle
e agli. La città era viva nell’estate:
autoradio e sirene risuonavano
nel verde lampeggiante della croce
elettrica di una farmacia. Le ombre
delle piante esitavano sul muro
a ogni incertezza della fiamma. Chiara
notte era oltre questo tremolare.

*

C’è una foglia piegata sotto il vaso,
dietro un innaffiatoio e una bottiglia
vuota. Non è arrivata a primavera
si è fermata da qualche parte, prima.
Disossata sta dentro maggio e bruna.

*

Oggi è più forte l’odore del pioppo,
come un rumore riempie il parco, sale
le strade. Acre, tocca le finestre,
come un quadro s’appende dentro casa:
da lì chiama alla mente cose perse,
mai state. Immobile si trattenesse
questa mattina di resti, per dirti
cosa siamo col vento, col tremare
placido delle piante. E in quella lingua
persuadersi a passare, a essere foglia
o frutto maturo in seno alla stagione.

Simone Migliazza è nato l’8 settembre del 1982. Si è laureato in storia dell’arte all’università “La Sapienza” e in discipline musicali presso il conservatorio “O. Respighi” di Latina. Attualmente insegna in scuole pubbliche e private. Ha esordito nel 2020 con la silloge “Un estuario fecondo d’isole” (Pluriversum edizioni). Nel 2022 ha pubblicato “Poesie della voce nuova” per Puntoacapo editrice. Suoi testi sono stati ospitati da “La bottega della poesia” su “la Repubblica” e, in traduzione spagnola, dal “Centro Cultural Tina Modotti”. È membro della giuria per il concorso letterario “Calabria in versi”.

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