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Per un naufragio dal corpo

Selezione di poesie di Gabriella Montanari

SUPPURAZIONI ESTIVE

Luglio tra susine, guazze ed erpes zoster.

Le anime dei mezzadri accatastano polpe
in vista dell’estate eterna.
I monatti della zolla
bottinano dal germoglio alla bara
orchestrando il requiem dei picciòli.
Linfa, cesoiate. Cassette di bemolle.
Dopo la K626 di Mozart, solo pane e salame.

Allergica ai nettari emotivi
lascio spasimanti maturi impiccati ai rami.

Lungo i filari
in cima a trattori turgidi
le cosce delle stagionali svelano tagli di pesca.
Il succo cola,
macchia la canotta dei ricordi.

SOSTANZA BIANCA

Quando spalanco il tuo corpo
- morto per davvero -
nel rovo di frattaglie sedate
rifioriscono le spine di novembre.

Impazza la pizzica del duodeno,
squilla l’inverno che ti ha gelato le risa.
Non riconosco il suono delle tue mani,
detesto essere figlia del tuo degrado.

Avessi la pace delle spiagge belghe
ti colorerei come uno scheletro di Ensor.

Sei un ricordo sottile
stretto tra la morfina
e le ultime nevi.

STENOSI E ALTRE COSE DI PADRE

Idrocefalo è parola ingannevole:
evoca massaggi e pesce nostrano.

Tu non eri Venezia ma l’acqua saliva.

Il vino si tramutò in liquor
le nozze si consumarono in letargìa.
Annegammo nel torbido dei nondetti

naufrago il tuo cervello
in ritardo il mio bastimento.

FECONDAZIONE

Sto sull’erba sgualcita
tra un poligono di sole
e uno screzio d’ombra.

Profumo di ossobuco lontano.
Vagina, ricordi l’ultimo intruso?

Potessimo tutti
evaporare a primavera
tra le distrazioni
e i pollini.

FACEBODY

Nel mercinomio dei corpi
- io do una mammella a te, tu dai uno scroto a me -
l’etere è un subdolo mezzano
a cui bastano prurito e connessione.
Gli inghippi digitali hanno suonerie fiorite
ma i propositi odorano di cimitero ad agosto
e si muore
per una panne di elettricità
o una spuntatura di cielo
non visualizzato.

PERFORAZIONI

A maggio il grano ci punge.
Dallo sterno pendono nastri di stagnola
che scoraggiano il becco dei passanti.
La maturità è cogliersi in tempo.

Dei merli amo le ciligie forate.
Del tuo tocco, la mia impronta.

RAIRADIOGRAFIE

Penso agli uomini tuberi, alle donne cucurbitacee
ai bambini che non scuociono, agli animali che stirano.
Non ci sono aggettivi ma stupori
e nemmeno lettere, solo numeri da circo.
Un giorno scriverò dell’orto umano e dell’ecologia sociale.
Pinocchio scava, scava e piange
nella mia campagna spoglia di miracoli.
Ligabue pattuglia il Po
con uno specchio al collo
e troppe bestie in gola.

L’infanzia sceneggia mondi
di cui restano appesi agli alberi
zoccoli e monete.

IBRIDI

Le genti di confine
sono pesci di terra e selvaggina di mare,
mimetiche negli accenti e negli intingoli.
Chiesa, municipio, bar.
Acquasantiere di crodino, compagni di polenta.
Le ragazzotte irsute
con la zolla sotto il tacco
hanno seni ondivaghi e capezzoli da spremitura.
Portano i pensieri al frantoio all’angolo.
Damigiane d’idee, damigelle restie ai raggi.

In paese grigliano radici e identità,
m’invitano al tavolo
dei senza fissa storia.

GIORNATE EPATICHE

Più insegno, più disimparo me stessa.
L’anima è smarrita in una busta paga smunta.
Le ore scandite da pagine di bile.

Un tempo i miei scellini
erano sillabe con la pretesa dell’incanto.
Ora tollero pandemoni di nani
e il naufragar salmastro nella noia.
Se il tempo tornasse a viziarmi
concederei la lingua agli angeli
e ubriacherei il buio di faville.

Cantami, o Diva
perché ne ho bisogno.

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