Davide Rondoni
Madre. Non ti intromettere con le tue maglie strette
che sotto le enormi tende intatte
già due mani d’azzurro mi hanno agguantato.
Non so dove andrò.
Ma non addolorarti troppo che il cuore già pesa
e la finestra mezza aperta già sbatte
sotto il cielo, stasera.
Se un giorno potrò vedermi di spalle…
se al dolore che stordisce il sangue ora
e lo fa palpitare forte
renderò un fiore
sarà perché di questo lutto
di questa agonia d’ali
avrò finalmente trovato una voce.
Torni o no
nel mattino stonato e zoppicante?
Che il sole non dice più del suo viaggio
e il cerchio suo più stretto diviene.
Torni o no
nel nero cocente
Ora che il panico mi sfonda
con la sua lingua gonfia la gola
e lo strazio di questo bacio in bianco
di nuovo mi spegne?
Ricordi quelle strane pause
dove dal collo ancora una larga foglia
cadeva? E la potevi toccare
E la potevi toccare
la felicità.
Siamo usciti stasera
dal pensiero precoce estivo
da quel respiro tondo che non osa.
Non c’è sonno, non c’è parola
solo giochi fra le mani, veloci,
dietro le spalle, sotto i lobi.
Con un gesto hai raccolto la brina dal sogno
ti sei vestito delle ultime carezze
quasi fossero cadenti,
e quel saluto ti ha cinto il collo.
Di fronte ai miei occhi infiammati
te ne sei andato nel trionfo d’una notte
rubata portando via con te
il mantello di ogni esitazione.
Piccola colonna rosa
che crolli
per morte certa
Sbiadisce con te l’arco di gloria
che con cura ha raccolto
la polvere di un’era.
Quale ombra ti ha stanato?
Come te io son disfatta.
Simile alla cenere ancora calda
dai mille assaggi di vita
ho visto la mia potenza sbriciolarsi
nel palmo del dolore.
Se sogni il nulla
avrà il volto mio di ora.
Avrà in abbandono il braccio
cosparso d’acqua ancora fumante,
avrà falangi eloquenti, impossibili,
e una formula intrappolata fra i denti.
Se sogni il nulla saprai che è tardi
e il risveglio sarà per te
come il sospiro cosmico
d’un mondo che mai fu.
Non ho da darti niente
se non due occhi bagnati da troppi anni,
e qualche notte appassita sotto la carne.
Vedi,
sotto la gonna non mi resta che una manciata di colori bruni
che sbeffeggiano l’intimo con pennellate di violenza.
Un maltagliato cordone ancora penzola dalla pancia
in questa offerta invernale.
Esaurisci la mia pena,
Vieni con la tua ombra distratta
a spargerti sulla mia duna
e sulla mia pelle di marmo
che implora senza riuscire a muovere mossa.
Vieni con un pugno di baci a risvegliare
la vena mia raggelata che come il gambo secco
si spezza
e solo un lento vapore rilascia.
Solo, non darti da fare
se già i lievi passi d’incanto
appesi all’ala dell’occhio
si sono fatti neri…
ormai quella che fu la vista
gravida di chiome verdi e di tumori
di veleni e di incensi
dentro ogni cosa
sdegna partorirsi.
Allora, non darti da fare
che le acque ancora non si sono rotte
sotto le buie palpebre
della mia morte precoce.
Non reggo più lo spavento
di queste coperte oro
che ingarbugliano il mio corpo di latta
in infinite spirali.
Due fontane spente
albeggiano nella nebbia dei ricordi.
Lo senti il rumore del cielo sospinto alla morte di ogni giorno?
Il canto insiste come un sibilo
sotto la mia pelle.
Quando il giorno scompare
e con lui tutte le mie comparse
rimango sola col crepuscolo
che mi sopravvive,
riflesso nel cuore.
Spero di rivederti senza la mia eclisse
sul tuo volto.
Spero di rivedermi
fossero anche due occhi di pietra
a cogliere un’anima ancora viva.
Qualche volta
le sillabe si ingorgano
nella vasca dove sguazza la lingua.
Allora preferisco ascoltare
il polso della notte, sorseggiare il silenzio
del suo battello nelle mie acque
e di nuovo sorridere
al brusco oblio
che ottuso (rimeggia) nelle arterie.
Piove il sole
caldi gomitoli dal fornello.
Dilania questo incendio per tutta la casa
fino ad un passo dall’erba
dove inerme sgocciola
la luna.
Non per quelle mura intatte ti ho amato
ma per quella luce maledetta
che scuoteva di vita ogni graffio,
per quella fanghiglia bluastra
che dal soffitto colava profonde stalattiti.
Infine,
Voi, ombre scalze,
Passando sotto l'unico senso
Che vi getta opposte al passo
d'un nettare nuovo vi fate specchio.
Ed io,
Sfilando pur io
L'eterno corteo a rovescio,
in voi
riporto al cuore
L'inizio.
Sofia Bersanelli nasce a Milano nel 1993. Ha studiato alla School of Visual Arts di New York nel 2010 e ha seguito diversi corsi fra cui letteratura francese, filologia romanza e retorica del visuale presso l’Università Statale di Milano. Nel 2014 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera nel corso di Pittura che perseguirà anche dopo la prima laurea. Ha esposto i suoi lavori in diverse collettive, partecipando a festival internazionali di videoarte. Al centro della sua ricerca è la natura dell'immagine e del linguaggio che vedono nella poesia - nel senso più ampio - il loro compimento.
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testi di una bellezza senzafiato. la scrittura libera il pensiero. oltre e prima il visibile. saluto quasi commosso