Poesie di Rocco Giudice

Fra i dimenticati

“Cos’è la mente?” domanda la mente.
Il pensiero non l’afferra – e vacilla.
Una ben tornita testa eminente
fa da recipiente che la sigilla.

Nuvola opaca che non fa velo,
raggio o orizzonte, luce che accende
un sole ch’è già tutto il cielo
dove arde e con cui si confonde.

Un vento, non il sogno che si porta via
la mente – o nel vento, una nuvola
d’immagini per nessuna nostalgia,
di parole che incantano la favola

al caldo per l’inverno che vi spira
fra dettagli da tenere a pretesto.
Senza tempo, un orologio che gira
a vuoto in cerca del ritmo giusto.

Vuota la stanza più della finestra,
al sole d’ogni giorno luce implora:
un raggio e un filo d’ombra ammaestra
la carta da parati e la sua flora.

Ruggine, polvere e macchie d’unto
messe a lordare la pietà: l’ospizio
dello stesso male s’è consunto:
la strofa sa di fine senza inizio.

E ora, la filastrocca altalenante,
saggezza ch’è un detrito dell’età
che avanza col suo tempo andante,
da una stanza all’altra porterà

a ruota la rima che non muta,
fissando in uno stampo la memoria
alzata in volo sul punto di caduta,
in quel cielo, cornice solitaria.

Si vede solo il muro del viale
dalla finestra aperta sul giardino:
nella stanza affollata di parole
il suono trova l’eco sul cammino.

La prospettiva è di una forma chiusa.
La finestra non va oltre il muro
che ha di fronte. Così è reclusa
l’aria che sta fuori: nulla al sicuro

che non senta in quella sintonia
o nel silenzio che gli fa da sfondo
ricordo o oblio, una prigionia
che sul rigo allinea il girotondo.

Nella discesa, la mente arranca.
Sporgendo dal lato sempre in ombra,
s’affaccia alla lucerna che le manca:
trova un riflesso di parole – timbra

col verso impuro la pagina bianca.

Alba sull’isola dei fiori di bosco

L’alba viene da lontano, da dove non aspetta
la luce, questa, ch’è già di primavera, livida
se l’ombra è meno spessa, dove una sola eco
sono la foresta e il fragore del mare che ricopre

della sua polvere azzurra l’alba che ci fu promessa:
e non è o non è ancora questa che ci trascina con sé
come nemmeno il vento e nel vento, i fiori del bosco.

Giostra

I fiori sono gialli. Luci della terra,
schiantato firmamento che accende
le parole nel cuore che le serra.
Non importano i fiori; e i colori
non più delle parole. Ma la voce
tira dritto, non lo sa, né sa dove
arriverà: e se la nota è alta
o bassa o se la musica è sorda,
non importa. I fiori sono gialli.

Il sentiero

Non è il tempo, ma il vento che passa
sul sentiero duro al piede nudo, dove
si marcia anche andando a occhi chiusi
senza aspettare la sera con tutta la luce
intorno che c’è o c’era. Il sentiero

– non il luogo dove sta con chi
ci cammina nel cuore della notte
arroventata dalla Luna al calor bianco

uscita dalle nubi, lenta, dove muore
di caldo la pianura, ai piedi della duna
prima che diventi altura, dov’è la casa

vicino al campo delle angurie
nella luce protesa a sollevarla.

Colpo d'occhio

Più dolci del sonno le luci del risveglio
che dai tuoi occhi ho tratto alle mie labbra
per respirarne il colmo, dargli voce
nel sogno ch’è destarmi se ti sogno.

Ha un fremito ogni cosa appena vista
che quella luce aspetta dai tuoi occhi
come dalle tue labbra te chi t’ha sognata
– quel sogno nel tuo mondo s’è cambiato.

Ora che la scena intorno è già mutata,
il tempo segna il giorno appena qui.
Un pendio chiude la visuale dove
in fila, sublimi cantori, gli alberi
fremono, immortalati dal cingere
con l’aria il tuo respiro: sull’orlo
e sulla cima delle foglie, indugia
ancora pallida l’aurora che le incendia
della luce esiliata perché manchi tu.

Anche l’ora presente s’è smarrita
nel tragitto dal futuro al ricordo.
È già più tardi adesso di quanto
sia mai stato prima, quando l’attimo
appena passato irradia su tutto
ad argine o ornamento del commiato
– uscire dal sogno a occhi ancora chiusi
e nell’aprirli, dissolversi col sogno.

Non resta che fidarsi dell’incanto:
quel che vedi intorno è solo l’ombra
di quello che non scorgi ancora
per diffidare di quanto resta al sole
cui nulla potrà a lungo esser negato
– tutto reca l’impronta dello sguardo amato
o il segno cieco dove non s’è posato.

E adesso, quel che c’è sembra
il riverbero di quello che non c’è
– ma di nessuna cosa immagine –,
tutto visto esattamente com’è
l’istante prima d’essere per sempre.

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