Poesie di Paolo Gambi

di Antonella Corna

Condensare in una breve recensione le molteplici impressioni suscitate dalle poesie di Paolo Gambi, non è esercizio per improvvisatori.

Le sue “POESIE” tracciano un percorso personale e universale di ritrovamento dell’Io, che avviene attraverso tappe di un viaggio antico quanto il tempo eppure nuovo, dove la parola si riappropria della sua funzione creatrice e innesca metamorfosi di ogni tipo.

Il lettore abituato ad una comoda liricità è immediatamente catapultato in un altrove che lo lascia disorientato.

I primi versi già scagliano strali contro l’assurdità del restare immobili mentre intorno tutto crolla insieme alle certezze quotidiane “L’addome è molle./ Piantare nel nulla dei semi di speranza,/ nutrire qualche scintilla nel vuoto cosmico,/ …aggrapparsi a una lacrima e salire alla sorgente:/ tutto questo non porta a nulla” (pag.6). Paolo non concepisce la staticità, non quella intellettuale perlomeno. Più che restare ancorato alla permanenza del banale, alla stabilità del provvisorio, alla fissità del normale, lui, come un prestigiatore contemporaneo, “Apro parentesi tonde quadre e alcoliche/ da astemio ubriaco” (pag.9) e ci salta dentro, con la leggerezza di chi sa bene che la salvezza è concedersi un’alternativa “E io che sono diverso/ persino da me stesso/ posso sopravvivere solo fra parentesi” (pag.9).

Ma nelle parentesi di Paolo Gambi ci puoi trovare di tutto, dai “Maestri di menzogna” (pag. 12) alla “Repubblica dell’aut aut”, (pag. 18) dal “Cittadino di Babele” (pag. 26) a “Lo specchio dopo Borges” (pag. 14) da “L’occhio del bonsai”  (pag.44) a “Le ultime parole” (pag. 54), poesie che parlano di ferite, di coraggio, di sdegno e di rivalsa, di solitudini e rotture di equilibri, di precarietà e di sorrisi, di lacrime, ricordi e verità.

E se il mondo sconfitto e lacero costringe a rese nevrotiche o a consolazioni usuranti, i versi di Gambi, come un magnete, attraggono le emozioni al centro della propria autenticità, anche quando raccontano la solitudine dell’essere “Ci sono solo io/ sotto il peso del mio universo”  (pag.12) e “E io che sono ancora bambino/ non valgo un amore/ non valgo una carezza…” (pag.13) e ancora ”il nostro passato era scatola/ e il presente coperchio:/ dentro c’eravamo solo noi./ E facevamo l’amore con la carne” (pag.22).

Sono poesie che ti raccontano lo sgomento del sentirsi inglobati, malgrado ogni sforzo, in una dimensione plastificata del vivere che vela la Bellezza e ti costringe a reagire, recuperando da anfratti misteriosi, quasi  onirici,  la forza ed il coraggio di ancorarsi alla verità e alla poca anima che resta intatta dal turbinio del tempo che scorre sempre uguale “Si vendono seni, reni e cani/…Ogni atomo è in vendita/ anche quelli che non esistono/ …Ci restano  solo i tramonti/ il vento e le poesie/ E l’anima/ Ma solo qualcuna” (pag.17).

C’è tanto ancora in queste poesie, mai banali. C’è soprattutto resistenza, una voglia fortissima di contrapporsi ad ogni omologazione, anche e soprattutto culturale: “Ci vogliono tutti uguali/ sono vietate le crode, il sole alto e le tempeste/ l’arcobaleno perde colore/ nomi antichi precipitano nel nulla/ …verità come clava fra le dita di chi la nega” (pag.24) e poi “…In Italia l’America sa ancora di Regan/ Michael Jackson e Beverly Hillss/ l’Inghilterra è Il Piccolo Lord/ mentre a Bologna c’è viale Lenin” (pag.25) e ancora “Ciò che tutti pensano/ ha l’odore di un casco usato/ e di rasta in putrefazione” (pag.38).

Sono versi crudi che portano un vestito elegante! Perché Paolo Gambi è così: soave e grave, delicato e duro, lieve e profondo, spumeggiante e sodo. Riesce con leggerezza in un’impresa inarrivabile ai più: sdoganare il dolore del vivere alleggerendo via via le zavorre, lì dove sembra ancora possibile

“Crescere è doloroso/ ma è l’unico modo per diventare se stessi./ Metterci insieme, dici./ Sotto i fulmini di Eros/ pioveva carne,/ soffiava possesso./ Venti impetuosi scuotevano/ corpi e menti/ tempesta d’ormoni e lacrime./ Ma non si può mettere un ciclone in una tazza.(pag.32)

Non ci si stanca di leggere. Parole dense di significati, anche allegorici, si rincorrono nel vento di un umanesimo che nella poesia di Gambi avviene, anche quando non te lo aspetti; metafore si dispiegano in forme d’amore sublimi, slegate da sfumature mielose e ancorate invece alla bellezza più autentica della vita; tensioni si slanciano alla ricerca famelica di nobili valori “Sono un’alta magnolia: /sto ferma, il mondo mi è satellite;/ delle mie foglie conosco solo l’ombra;/ …sono così vecchia da non credere più alla morte./ …Assorbo tutto./ Dimentico tutto./ Crescono i rami.” (pag.43) e ancora, nella bellissima poesia dal titolo 11aprile 1979 “…Io ancora non ci sono./ Sento tutto./ Non sono. Siamo./ Non c’è ancora io e tu,/ differenze e conflitto,/ illusione e disperazione,/ speranza e malinconia./ C’è solo acqua e battiti di cuore./ Non ho ancora ieri./ Neppure oggi./ Ho solo domani./ Non c’è neanche memoria ma solo attesa./ Mi aspetta il mio sangue rozzo e fiero…” (pag.49).

In questa silloge il tempo è fatto di istanti che coagulano le contraddittorie pretese del bene e del male, fino a sfaldarle in un apparente nonsense che tuttavia è strumento per un approdo luminoso “Piangere senza essere debole,/ amarsi senza essere fidanzati,/ fare senza essere./ Si può?/ Scappo da ogni nome/ perché quello da cui vengo/ e che mi aspetta/ abbraccia ogni filo d’erba dell’universo” (pag.82).

La ricerca del tutto prende forma e sostanza alla fine del percorso. Dopo le assoluzioni di rito sulla vita, sulla libertà, sulla coscienza individuale e collettiva e perché no, anche sull’amore, in fondo al fondo di un bicchiere bevuto fino all'ultimo sorso, c'è un Paradiso, ininterrotto, come un’onda ancestrale che ricuce, nell’orecchio del lettore, la realtà e la fantasia, l’accaduto e il sogno, con versi che rimettono le cose nella giusta posizione, nella luce veritiera, quella della filosofica Bellezza.

“Nuotando controcorrente/ ho raggiunto un monte solido./ Lì non trovo certezze ma un’esigenza:/ abbandonarsi alla mistica della Bellezza” (pag. 79). “Quando intelligenze artificiali/ dipingeranno quadri perfetti,/ musicheranno l’ordine meccanico,/ e tutto il mondo sarà deepfake/ una cosa sola ci salverà:/ la Bellezza dell’imperfeZZione” (pag. 104).

L’impressione finale è di una moltitudine di belle e variegate emozioni che Paolo Gambi non rinuncia a sperimentare sulla propria pelle, in percorsi intermittenti di salvezza e dannazione insieme, raccontati sottovoce, quasi “Dicendo grazie” (pag.106).

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