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Poesie di Giammario Sgattoni. Nutrire il fuoco che non conosciamo

di Fabio Barone

Giammario Sgattoni, Poesie (1953-56), a cura di Ida Quintiliani e Simone Gambacorta, Premio Teramo 2022

Cuore, dentro il tuo gelo /
mascherato d’allegro baccano /
hai nutrito un verde distrutto.
Giammario Sgattoni

Se indugia la neve
sui vetri che ancora il tuo fiato
appanna e un vocabolo amato
vi traccia l’indice lieve;
quando inverno il bianco ribeve
e sole torna sul grano,
tu, ignaro del fiore, del frutto,
stecco già nudo, riemergi
coperto di gemme nel cielo:
cuore, dentro il tuo gelo
mascherato d’allegro baccano
hai nutrito un verde distrutto.

Quel che mi colpisce delle poesie del teramano Giammario Sgattoni, in questa minuta plaquette di soli 12 testi ristampata quest’anno (da un’edizione uscita nel 1957) dal comitato del Premio Teramo, è l’immediata percezione di un animo malinconico ma mai arreso. Lo dicono benissimo i suoi versi in esergo, che al cuore del poeta «mascherato d’allegro baccano» si è nutrito «un verde distrutto». Qualcosa dentro di lui, forse una visione, cerca di ricomporsi, è chiaro, lo dice con la fragilità di chi lo avverte e ha solo metafore per farlo, metafore e una «incomprimibile fiducia nella parola» afferma con giustezza uno dei curatori del libro, Simone Gambacorta. Lo si avverte talmente bene che nella prima stanza di un altro testo arriva a dircelo:

Siamo fermi alle cose che diteggiano
l’arpa dei sensi; atoni già, perduti
dentro il verde ed il giallo, nell’azzurro
che ci chiude da sempre; entusiasmati
della gemma che erompe, delle spighe
di luce sopra i colli; e in tali incanti
obliamo l’essenza che ci regge.

Frammenti che anelano a un’unità, frammenti nei quali «si ripete un’attesa […] più antica / della terra, ch’è in frutto» esprime in un altro testo il poeta teramano che suscitò l’interesse anche di Pier Paolo Pasolini. Pur nella sua natia provincialità, Sgattoni è stato amico di Giuseppe Ungaretti e, con Ottaviano Giannangeli e Giuseppe Rosato, ha dato vita alla rivista “Dimensioni” che per la cultura abruzzese del secondo Novecento ha rappresentato e segnato un pezzo di storia. Il sodalizio col pittore Guido Montauti (suo il disegno di copertina del volumetto sin dal ’57), ha consentito alla città di Teramo un respiro «al di fuori dei confini cittadini», ha scritto la curatrice Ida Quintiliani, e quel disegno fatto di «poche linee, nette e chiare, per dare forma ad una figura seduta e immobile nello spazio, che cerca conforto», è una sintesi visiva perfetta del respiro del libro.
In Sgattoni come in Baudelaire agisce «questa noia / di sere senza terra» mentre comunque attende «l’ora più tua» (un’incredibile eco rilkiana: «Tu chiamami in quell’ora del tuo giorno / che ostinatamente ti resiste / […] L’ora che così sfugge è la più tua»), e se con coscienza di metafora il poeta rende traccia della sua malinconia, de «l’emozione del suo pensiero» afferma Renato Minore in quarta di copertina, nutrendo quel «verde distrutto», al contempo e con la medesima forza conoscitiva nutre «il fuoco che non conosciamo», quella «ulteriore e più profonda forma di fiducia […] per la parola della poesia» dice Gambacorta, che ricorda un po’ “Il valore magico della parola” di Pavel Florenskij quando nel suo saggio dice: «La parola è un lampo, non è l’una o l’altra energia, ma un nuovo fenomeno energetico, costituito da due unità, una nuova realtà del mondo: un nuovo canale di collegamento tra ciò che finora era separato». Insomma, se la parola poetica è questa metamorfica forma di energia, al poeta, così a Sgattoni, non resta che “Nutrire il fuoco” (come intitola l’ultimo testo della sua plaquette) per intravedere il baluginio della speranza, della visione:

Quei petali albeggianti (cui d’estate
– prùgnole rosse – i fanciulli
del quartiere daranno l’assalto
con sassi e lunghe canne) turbinando
si dànno a marzo e al sole.
Muoiono, si rinnovano… Domani
li rivedrò – pensoso del miracolo
che all’uomo non è dato – se una scure
non atterri il susino.

Potatori

ci han fatto bene, male; affastellati
di stagione in stagione, il legnaiolo
ci segherà; e una speranza sola:
nutrire il fuoco che non conosciamo.

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