Brevissime riflessioni su Antonio Riccardi, Poesie 1987-2022, Garzanti
di Davide Rondoni
È significativo che nel momento in cui Antonio Riccardi quasi volendo chiudere un ciclo, con meticoloso lavoro di revisione delle poesie che compongono le quattro raccolte che dall'87 accompagnano il suo cammino, redige quel che, scherzando un poco, noi amici e estimatori chiamiamo il suo "tometto" lievemente funebre, concluda proprio quel medesimo tometto con una poesia come "Ritratto di P. come una palma". In essa racchiude tutti i temi presenti nella sua poetica, tra le più vivaci e consistenti e perciò individuabili nel panorama attuale. In quei versi, come sempre misurati e vibranti di remotissime emozioni potenti messi a custodia, come fanno i contadini con alcune specie di vegetale, quasi a sunto il poeta infila gli elementi nutritivi della sua riflessione in versi. Il rapporto tra mondo naturale e artificiale, il sospetto e la simpatia verso chi è in fondo un "esploratore da giardino", i "lupo e rimorsi" di passate e sventurate e curiose storie familiari, l'amore, il problema della conoscenza (la verità...). E in quella rima verso la fine della poesia "perfetto/ difetto" si annida il precipizio e sorge la vertigine di Riccardi.
Così si conclude il testo:
"Forse dovremmo vivere qui
nella Palm House, almeno un po'
al caldo dei bracieri della serra
magari nascosti da tutto, soltanto
per un'ora, lupo e rimorsi
lasciati al freddo fuori dalla porta
ma potrebbe sembrarti perfetto
anche soltanto per un difetto
di messa a fuoco, ho pensato
senza dirtelo, temendo"
In quella rima tra perfezione e deviazione dal vero per mancanza "di messa a fuoco" si annida il cuore problematico e vivo di una poetica che a mio avviso un poco superficialmente il prefatore del tometto riccardiano mette sotto il segno della "paura", come di una salvaguardia dell'io rispetto alle perdite e alle ambiguità. E se mentre il critico si sofferma giustamente a sorprendere in Riccardi la presenza di una parola poetica che non nasconde del tutto la "scimmia" che ognuno porta in sé (riferendosi alla poesia finale della raccolta "Tormenti della cattività" ispirata a un quadro di Rosso Fiorentino) credo che occorra fare un passo più in là, più a fondo. Se, come nota il prefatore, questo è un libro "dei proverbi" alludendo al modo spesso di procedere per eleganti vibratili sentenze, allora occorre leggerlo superando l'idea stessa - pseudolirica e postmoderna - di una poesia come taccuino personale. No, qui, montalianamente, c'è in gioco la conoscenza della natura e della natura umana. C'è in gioco appunto un modo di dire la verità. Per tutti.
La poesia di Antonio Riccardi è una delle poche presenze nutrite dalla mistica della poesia contemporanea. So che l'affermazione può sembrare quasi stramba, eccetto per chi conosca gli studi dell'autore e, naturalmente, per chi abbia veramente letto le poesie di Riccardi.
Poiché la mistica è una "messa a fuoco" della realtà diversa dal normale, sorella della poesia - e fonte di cui la poesia si è sempre nutrita salvo quando diviene piccolo gioco psicolinguistico o paragiornalismo. Riccardi è altrove da queste correnti e scorrenti e discorrenti riduzioni dell'arte poetica, e pratica un suo solitario e appartato esercizio (per quanto sia uomo di mondo, di lettere e di editoria ben noto). Esercizio di messa a fuoco, tremenda e difficile da rivelare (senza dirtelo, temendo). Lo scimmione nel quadro di Rosso Fiorentino è la "scimia dei", e la perfezione della "Palm house" può essere un ingannevole paradiso terrestre, che lo sguardo del poeta rivela, tremendamente. Lo sguardo mistico di Riccardi - non importa se nutrito di poca o nulla fede - guarda il mondo come una scena, in cui si svolge ben altra scena interminabile, i cui attori e avversari sono nel tempo avvinghiati. E innegabili. E qui, inutile negarlo per il poeta, ma si ha timore a dirlo, solo un difetto di messa a fuoco può far credere cessata la lotta.
Per questo il tometto riccardiano - risalente per le vie delle vicende familiari, e poi per i tormenti amorosi, e poi più in generale per i tormenti della vita intesa come cattività (idea dei mistici quella d'esser in cammino verso una possibile liberazione) - si conferma come uno dei non numerosi che conviene al viaggio, che accompagna e illumina.
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