Michela Silla, Cosa c’è di vero nelle città di mare, Capire Edizioni 2024
Per la collana diretta da Davide Rondoni, pp. 74 - Prezzo: 11 €
di Claudio Negrato
Già dalla copertina, con la bellissima illustrazione di Alessia Iuliano, siamo chiamati ad aprire con rispetto l’intenso libro della Silla, avvisati dal titolo che reggiamo tra le mani uno scrigno, impreziosito da versi raffinati, contenente un segreto, pronto a essere svelato: Cosa c’è di vero nelle città di mare. Già in queste parole che campeggiano in copertina, comprendiamo che la poesia, per la Silla poetessa di mare, è una cosa seria, una chiave per poter cogliere il vero nascosto dietro alle cose.
E sono proprio le cose, gli oggetti comuni, posti delicatamente tra le pagine, tra i vuoti e i silenzi dei versi, tra gli interstizi delle strofe, semplicemente nominati, a dar vita alle immagini. Sono parole essenziali ma pure – oserei aggiungere – gentili, lasciate sulla battigia della poesia come antiche conchiglie donate dall’onda di questo mare sardo che torna e ritorna, senza abbandonare mai l’anima della poetessa.
L’uomo – il poeta, in particolare – è sempre attratto dalla voluttà delle onde, dagli sciabordii del mare, dall’abisso segreto che questo porta nel ventre tra i flutti più reconditi, forse per una naturale somiglianza con la misteriosità dell’animo umano, luogo che spesso rimane escluso dallo sguardo di chi osserva sbadatamente il cuore delle persone. Per dirla con Baudelaire, l’uomo e il mare sono “frères implacables” poiché “tant vous êtes jaloux de garder vos secrets”! (C. Baudelaire, L’homme et la mer). E il mare, evocato dai versi della Silla, riporta in superficie il cuore della poetessa, le sue emozioni, i suoi sguardi attenti sulla poesia che la circonda.
Si tratta di un’indagine svolta dall’occhio delicato sul mistero del reale, sin dalla prima poesia, che apre la silloge cercando di svelare la magia della Sardegna evocando le Janas, mitologiche fate della terra sarda. L’isola e il suo mare sono un continuo richiamo (“il mare chiama”, p. 15), sono il luogo a cui poter tornare, anche quando ci si allontana, poiché “resta un’eco stanca / e tepore sui muri” (p. 17) di voci e luci che vivono questi luoghi, sedi dell’incanto di suoni e colori.
In tutta la silloge è una continua esplosione di luce: il campo semantico è ampio, composto da nomi, aggettivi e verbi che svelano, pagina dopo pagina, il vero segreto delle città di mare. La luce, diversa a seconda delle stagioni, accende il buio della vita. Anche quando la notte sembra insuperabile, c’è la certezza del risorgere della luce.
Notevoli sono le due poesie delle pp. 25 e 29:
A mio nonno
La sedia gialla,
il gelsomino dalle case;
nell’ombra le mani,
piccoli fiumi di vene azzurre.
La notte non crede alla fine.
…
L’amore è tutto lì: nella bocca
che copia d’istinto la sua
quando le porgi il cucchiaino
e schiude le labbra la tua bambina.
Rosa il cielo e le canzoni
lungo la strada per il mare
oggi come allora
sui banchi di scuola scrivevo:
per sempre - ti guardavo,
capivi.
In questi due testi (il primo chiude la sezione La notte non crede alla fine, il secondo apre Vicino al frastuono) si possono scorgere alcuni elementi della poetica della Silla. Innanzitutto, emerge un desiderio che scorre, con il mare, con il vento e con la luce, tra i versi della silloge, una speranza accesa che non vinca la fine: “Non voglio morire” (p. 33) si urla iteratamente. La Silla ci ricorda come il nostro desiderio sia per un “per sempre”, come si scriveva sui banchi di scuola, nei diari scolastici, nelle letterine destinate ad amori provvisori. Ciononostante, “il cielo e le canzoni / lungo la strada per il mare” ci ricordano che non si può amare se non vince quella speranza di infinitezza dei rapporti, delle cose.
Il mare richiama l’anima della Silla anche a distanza, anche da Firenze o da Roma, ad esempio in un bozzetto romano durissimo di vita quotidiana, dipinto con la penna quasi come una pala d’altare rinascimentale, rivestita della sacralità di alcune – veramente poche – parole:
Madre con bambino a Roma Termini,
difendi la vita dalla pioggia,
l’orlo dei jeans bagnato.
insegnami a soffiare piano
rifare il suono del mare.
La dolcezza di una mamma che culla il proprio bambino, che lo calma, sotto la pioggia, con il soffio delle sue parole di madre, capaci di donare la speranza della salvezza. Nella poesia della Silla, i versi sono raccolti fuori da lei, sono presi per la strada, nelle case, presso la stazione dei treni; sono oggetti e sguardi che popolano la quotidianità, fatti di luci e di ricordi dell’onda e del vento (anche il semplice “soffiare” è l’eco del Maestrale). Esce da lei la capacità di narrare, con la precisione che solo la poesia può offrire.
Importante è anche la sezione dedicata al figlio, dal titolo importante: L’impensato, il figlio; una piccola creatura che entra nella vita della poetessa, presenza del mistero nell’esistenza, qualcosa di diverso da ogni pensiero, diverso da ogni programma. La maternità, come la poesia, arriva, inaspettata, faticosa ma desiderata, e chiede solo che si osservi, che si ascolti, per poter amare pienamente:
Solo l’impensato
nell’amarti funziona.
Restare ferma
incantata
a guardarti.
Poetessa d’aria e di acqua, di luci e di colori che tinteggiano la tela di carta sulla quale rappresenta la sua terra sarda, ma tra i vari colori che popolano i versi, macchie accese che rapiscono lo sguardo, è il bianco che sembra risplendere e donare luminosità alle vivide immagini dei cari luoghi di mare immersi nella purezza e nella semplicità, nei quali possiamo ritrovare “la tovaglia bianca di questa domenica / e l’edera esausta che cade dai muri”.
Come nota in quarta di copertina Davide Rondoni, la poesia della Silla è “spogliata da inutili trucchi linguistici, e lavorata come una conchiglia bianca”: Michela usa un linguaggio privo di orpelli, semplice ma diretto ed efficace e, proprio come una conchiglia bianca di mare, è pure capace di pungere quando la si desidera custodire tra le mani, perché le sue immagini non rinunciano mai alla narrazione della verità, al desiderio di essere continuamente lambiti dalla carezza dell’onda, dall’irrefrenabile richiamo del mare, “segno di una possibilità, di un viaggio e di un orizzonte infinito” (D. Rondoni). Ecco cosa c’è di vero nelle città di mare; ecco cosa c’è di vero in un questo libro:
Notte di gigli, si apre il mare,
la medesima incoscienza
della stella che si lascia cadere.
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