Perché saranno neve di Valentino Fossati

di Davide Rondoni

Valentino Fossati, Perché saranno neve, peQuod 2024

"Perché saranno neve" di Valentino Fossati è un libro che - proprio per quel titolo che porta - costeggia il fuoco.
È un libro, o forse il momento di un unico lungo libro che sta scrivendo, attraversato da un continuo pericolo, come del resto deve essere ogni esperienza autenticamente umana. Pare che dall'indoeuropeo risalga questo "per" che connota le nostre parole esperienza e pericolo avvicinandole e legandole. La scrittura per frammenti, per frames, per sovrapposizioni e improvvisi ritorni, lampi di memoria, con cui Fossati ha preso negli ultimi libri a comporre davanti ai propri occhi e ai nostri - per merito di una immediatezza poetica, filmica e ritmica - giunge qui a una nuova tappa, e forse estrema, rifiatando il libretto medesimo, nei testi finali in una forma meno sincopata e allertata. In questa "neve" che è al tempo stesso protagonista di frames narrativi, emblema di attutito biancore del vivere percepito in stati di stordimento, e pur emblema di un tempo bianco, indeterminabile per vere e proprie successioni, compresenza di attuale e memoria, e specie memoria persecutoria per quanto apparentemente dolce.

Ne viene dunque un libro che da un lato conferma il Fossati che molti apprezzano, ma dall'altro sposta il limite un po' più in là. E non solo il limite stilistico, che per Fossati è comunque elaborazione del vivere e non dello scrivere, ma della consapevolezza del poeta. Infatti il libro non solo si dispone su un arco temporale (e liturgico se pur di una sbranata liturgia) che accompagna sempre mischiandole da nascita a morte, fino alle soglie del vero fuoco: "dov'è la fiamma, la forma// dimmi" chiede la voce in un interludio del testo significativamente intitolato "Vigilia". Perché questo è il vero cuore della poetica di Fossati, non già o perlomeno non solo il regesto acuto, sofferente e lucido, di uno smarrimento nell'informe di affetti e memorie, in una neve che ottunde, copre, cura e però uniforma, bensì il suo contrario, la ricerca della fiamma, della forma. Per questo il vissuto si fa poesia, non per certificare il suo stato informe o deforme a giudizio del mondo, distratto e perverso, ma al contrario per gridare, se pur per branagli, sincopi, brevi ultrasuoni di canto, la sua gloria, ovvero la sua forma alla luce di una definitiva visione. Che appare qui, tra le pagine colme di frammenti di storia personale, e si chiama con un solo tremante e amabile nome: resurrezione. Perciò "saranno neve", ciascuno nella propria cristallina e confusa storia, in attesa di sciogliersi in altra forma.

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