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Perché amo Guido Gozzano

di Beatrice Zerbini

Ho chiesto a Beatrice Zerbini una cosa che non aveva mai fatto. Dichiarare il perché del suo amore a Guido Gozzano. Su clanDestino trattiamo così la poesia, come un amore pericoloso e nutriente. - Davide Rondoni

Se non proprio divini, forse siamo eroi; forse per questo l’errore è vergognoso, la crepa che spezza le nostre integrità va risaldata, il difetto diventa un tedio insopportabile, uno strapiombo tra l’infinita e disconosciuta perfettibilità in noi e l’ideale compiutezza che vorremmo attribuirci.
Sezioniamo le nostre troppo umane deficienze, scindendole da noi, come fossero alterità snaturanti, fino a renderle irriconoscibili alla nostra stessa coscienza. L’attitudine a eludere il carico scabroso che è accogliere in noi una mancanza strutturale ci rende molli e sempre più fragili.

A furia di desiderarci Dio, ci allontaniamo dal divino, ci precludiamo la possibilità non solo di una crescita, ma anche di uno sguardo benevolo verso noi stessi. Ecco che implicitamente ci facciamo primi motori immobili di un modus idealizzato, di cui noi siamo giudici e creatori presuntuosi e del quale vorremmo farci anche esemplari portatori. È in questa tensione cieca che ciechi ci muoviamo davanti agli specchi: non fosse mai che, a vedere, ci toccasse di scoprirci brutti e cattivi.

Guido Gozzano è uno di noi, non è kalos, non è agathos, è un eroe difettoso, ma sa di esserlo e ce lo mostra con disarmante e potente dovizia. È più intrepido di noi, più eroico, perché non teme il proprio riflesso. Con il suo movimento contrario e malfatto – che meglio si accorda con l’acciottolio dei piatti maneggiati da una cuoca, piuttosto che con gli ideali vani dei “poeti laureati” –, ci suggerisce una terza via; fa della propria poetica un capolavoro di ferma ambivalenza, riuscendo a rimanere fedele a se stesso, alla sua essenza umana e ad accostarsi proprio così e trasversalmente al divino che la Verità incarna, in forma di verso.

Gozzano ha verità e umanità; è sincero con sé stesso, con il tu poetico e quindi con chi legge; capovolge le tendenze umane, senza rinnegare quanto di più terreno vi è in esse; questo “coso con due gambe” (come si definisce) è l’imperfetto fortificato, compiuto, come solo una perfezione, per-factum come solo chi rinuncia al confronto con un modello.  Da “moribondo che non vuol morire” (ma che morirà a soli trentatré anni di tisi), prende su di sé tutto l’umano, “le buone cose di pessimo gusto”; schernisce sé stesso, guardandosi con spietata e lucida onestà.  È arguto, sarcastico, tagliente, fa dell’ironia il superamento di una condizione.
Si osserva e fa che lo osserviamo, si deride, con lucida inclemenza, come fosse oggetto di un’indagine spoglia e priva di coinvolgimento, eppure non rinuncia invece all’intimo riconoscersi. Rimane sempre e compiutamente soggetto. Forse è un eroe, forse è divino; di sicuro si è aggiudicato un’eternità.

E se è vero, come spesso ci ricorda nei suoi componimenti, che sono due le cose belle della vita, l’Amore e la Morte, solo una non lo tradirà. Fedele fino in fondo alla propria natura, sovrumano rinunciando a esserlo, aderisce in fretta e per una triste sorte, alla seconda cosa bella, proprio a quella che ci fa terreni e mortali, non all’Amore, ché quello sì – si sa – è divino.

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