Pentagrammi di Andrea Galgano: mondi sospesi su linee sottili delle corde dell’anima

di Carmen Cucinotta

Andrea Galgano, Pentagrammi, Edizioni Hermaion 2024

Tread that fine line, “percorri quella linea sottile” canta Freddie Mercury in una delle sue ultime canzoni, “Innuendo”, la più bella e musicalmente complessa dei Queen, a mio parere, insieme a “Bohemian Rhapsody”. Che cosa vuole insinuare l’indimenticato frontman dei Queen nel 1991, nove mesi prima della sua scomparsa, quando il gruppo musicale inglese pubblica l’ultimo album dal titolo proprio “Innuendo”? All’uscita dell’album, Freddie sa di essere molto malato e di avere un conto in sospeso con la morte, ma proprio per questo, in mezzo a tutta la tempesta di stati d’animo che lo assalgono e alla consapevolezza di quanto sia difficile dare un senso alla vita davanti alla morte, la voce dell’anima diventa un urlo struggente di lotta e di resistenza. “Who wants to live forever?”, sopravvive solo chi lascia il ricordo, dicono i Greci. Un’impronta può essere un segno, qualcosa di evidente che rimane indelebile come un’impresa da raccontare nel tempo o una creazione dello spirito umano. Se è vero che “l’armonia vince di mille secoli il silenzio”, l’immaginazione non può non andare alle nove Muse greche protettrici delle arti, figlie di Zeus e di Mnemosyne (la Memoria), guidate in modo alterno da Apollo (la rappresentazione della razionalità e dell’armonia nelle arti) e da Dioniso (il dio del vino, dell’ebbrezza e dell’estasi umana: passione e dimensione irrazionale dell’uomo).

Andrea Galgano, poeta e docente di letteratura, esperto conoscitore dell’animo umano anche in materia di psicoanalisi, oltrepassa quella linea sottile di confine tra musica e parole e dà alla luce una straordinaria raccolta poetica ispirandosi ai grandi artisti e gruppi musicali del nostro tempo, dai Beatles ai Rolling Stones, attraversando i Queen, i Pink Floyd, i Dire Straits, i Depeche Mode e tanti altri. Non trascura i grandi solisti come Bob Dylan, Phil Collins, Elton John, Sting, il compianto George Michael, il ruggente Bruce Springsteen e numerosi altri: 44 componimenti poetici in tutto, fra cui quattro dedicati ad alcune città visitate dall’autore nel periodo della realizzazione della sua raccolta poetica.

Con la sua opera Galgano raggiunge risultati grandiosi perché si accosta agli album musicali che da sempre accompagnano la sua vita e quella dei suoi lettori, di ogni età e provenienza, restituendo al tempo e donando tra i versi immagini, stati d’animo, fili narrativi e sensazioni dal forte potere evocativo.
Già il titolo della raccolta, Pentagrammi, rievoca un passato di meraviglia che ha accompagnato l’uomo al tempo dei Greci, quando il filosofo e matematico Pitagora e i pitagorici realizzarono la figura geometrica del pentagramma, un triplice triangolo stellato, simbolo di perfezione. Ricordiamo, inoltre, che proprio a Pitagora è attribuita la scoperta della musica come linguaggio universale, caratterizzato da rapporti numerici che risultano affini alla matematica e che sono responsabili dell’armonia prodotta dai suoni nei vari intervalli di diversa intensità.

In musica, invece, a partire dal Rinascimento, il pentagramma assume il significato di una linea grafica, riprodotta in parallelo cinque volte, per annotare la melodia in termini di note e di pause.
E con questa accezione, proprio lungo le linee dei Pentagrammi di Andrea Galgano, scopriamo con meraviglia come la bellezza dell’umano sia davvero incarnazione del divino. Parafrasando il titolo di una raccolta di Davide Rondoni, Rispondimi bellezza, in cui l’autore si è messo sulle tracce delle opere d’arte a cui si è ispirato, ci mettiamo ad accogliere quanto nel tempo l’uomo abbia sentito e creato musicalmente negli ultimi decenni.
Sfatiamo però il mito della musica come “antifrasi” della parola creato da Milan Kundera ne L’insostenibile leggerezza dell’essere. La parola di Andrea Galgano si genera proprio attraverso la musica e si compone nelle varie combinazioni per dare luogo a un altro linguaggio, più personale e raccolto, ma sempre capace di aprire nel corpo la porta dell’anima e fraternizzare col mondo. Possiamo sintetizzare la posizione poetica di Galgano con il celebre verso di Baudelaire: «Au fond de l’inconnu pour trouver du nouveau», perché è il non conosciuto, l’in-conscio a farsi orizzonte di una ricerca che travalica i confini della realtà. Bisogna discendere vertiginosamente negli abissi verso ciò che giace al di là del razionale per trovare ciò che non può essere espresso, perché sconosciuto e non conoscibile, se non nella novità formale della poesia.

Pentagrammi si apre proprio con un testo dedicato a Innuendo dei Queen, ribadendo l’importanza di vivere rompendo gli schemi, se necessario, per essere libero da ogni forma di prigionia materiale e spirituale:

La sottile linea impregna lo splendore
del sole sospeso
e dell’acqua

insinua l’indugio
cosmico delle ombre, il ritmo libero
del tempo, la pazzia dei narcisi
e i naufragi a capofitto.

Nelle tue scale mobili
la tua porta è un sogno chiuso.

Ci appartiene il nostro istante libero,
la fortuna delle stelle, la caduta
del vento selvaggio

-rimani dove sei.
[…]

In uno spazio fermo che resiste ai cambiamenti di uno spettacolo destinato a continuare, l’amore-appartenenza è consapevolezza della propria esistenza e diventa il dono più prezioso dell’anima, “gioiello amante/ ed eterno/ per sempre”.
L’amore attraversa i versi di Galgano come altri temi presenti nella raccolta. Leggendo Pentagrammi, si comprende come l’esperienza di ascolto e ricezione delle canzoni abbia rappresentato per l’autore un arricchimento della propria visione esistenziale, ma non un accoglimento passivo. Le sue poesie sono visitate da parole significative delle canzoni che più gli hanno lasciato un’impronta, ma non si sostituiscono alla sua grammatica delle idee, delle emozioni e dei sentimenti. Piuttosto, rivelano simbolicamente verità poste altrove, arrischiandosi arditamente tra metafore, personificazioni analogie e sinestesie.

Così, nella poesia dedicata ai Beatles, l’amore vero (Real Love) significa “ricominciare/ e nascere dove sei/ non nel fianco dove manchi/ poi tornare nelle mani/ e nella sera del cielo/ amarti,/ infrangendo/ in ogni fuga d’azzurro”. A rappresentarlo sono immagini reali come “un uccello sul filo asciutto”, libero sì come l’amore, (Free as a bird), ma sospeso in una dimensione provvisoria di attesa e di ricordo che richiama metafisicamente “la pace provvisoria degli oggetti muti/nella terraria”. Questa è la dimostrazione di come la musica dei Beatles con le rispettive parole sia fondamentale condizione per la graduale costruzione di un nuovo mondo interiore del poeta, sepolto inconsciamente nel proprio io e venuto alla luce con l’epifania del linguaggio, un mondo fenomenico in cui tutto è nuovo, anche l’hapax “terraria”.
L’amore sembra avere la stessa ciclicità dei motivi musicali che ritornano in mente all’improvviso, in maniera imprevedibile, come in Journeyman dedicata a Eric Clapton: “Il tuo amore vive/ come iris nella pioggia,/ si allontana dalle tenebre/ e ritorna. Un’antica passione invocata come ritorno di una presenza perduta nella “memoria degli errori dei pleniluni/ e delle notti trafitte”, perché la fragilità dell’uomo, la sua nudità, non si rivela alla luce abbagliante del sole, ma sotto un cielo di luna, dolce e pietoso come una madre.

Talvolta l’amore può passare veloce perché purtroppo sopraggiunge la morte, come in Older, dedicata a George Michael, e trasformarsi attraverso il dolore e “la ruota delle assenze” in qualcosa di più grande, che travalica la notte e salva dalle tenebre. (“Con il tuo ultimo respiro hai salvato/ la mia anima sirena/ e l’anima ora è libera”).
Quel sorriso umano di cui George Michael conserva il ricordo d’innocenza “è un paradiso di notti fredde/ che piange e ride,/ come Gesù davanti a un bimbo” (“like a Jesus to a child”).
L’amore invocato, invece, solleva fino al cielo e fa sognare il volo di due anime unite per sempre come Paolo e Francesca depurati dal peccato dell’Inferno dantesco: “We fly so close”, canta Phil Collins a cui Galgano dedica Both Sides. Una canzone che si apre con una melodia malinconica di mandola suonata dallo straordinario ed eclettico artista con un assolo che richiama solitudini remote accompagnate dalle onde del mare.
Il controcanto di Galgano nelle ultime strofe della sua poesia è impalpabile risposta suonata con le corde dell’anima:

Voliamo vicino
nelle vite sottratte alle lune,
nei frutti delle onde insonni
e nei velluti degli orti.

Il nostro passo di nubifragi
naufraghi
insegue sogni asciutti.

Dall’amore al sogno il passo si fa breve nella lettura di Pentagrammi.

I sogni sono vitali come il respiro per Andrea Galgano: parlano, sono folli, si feriscono, ritornano al mondo come promesse mantenute d’amore, ma spesso ripartono. Lo sfondo d’azione è spesso la notte, costellata di stelle e ammantata di tenebre e ombre.

I miei notturni
rosano tregue salmastre
nell’ultima città dove ho perso
i tuoi altomari taciti
e le tue tramontane.

I nostri contorni
sono aurore riarse,
giorni di marezzo
che rischiarano il rosso zaffiro,
sogno di lupi e giornali asciutti
nel mondo scosceso.

(25)

“Because the night belongs to lovers”, canta Patti Smith, a cui Galgano dedica Easter (stringimi, diceva/ il banchetto della notte/ appartiene agli amanti), ma l’anima in questione è “invasa” e ha il “cuore lacerato” di una baccante di Euripide, a metà tra la pazzia più feroce e la ragione. Non c’è uno stato ben definibile a parole, dunque l’autore crea la parola “lucesangue” e di meglio non potrebbe trovare negli abissi dell’inesprimibile. La redenzione, però, esiste e comincia da una visione: “la pelle seta delle stazioni/ toglie polvere dalle mie schegge nere/ e dal margine che aspetta”. E finalmente dall’umano si transita verso il divino con la preghiera rivolta a Dio di ricevere amore per potersi salvare: “Dio vieni ad amarmi, resta/ nelle mie tenebre di rabbia dispari/ e stelle sospette”.

Qualcosa di mistico e sacro attraversa dunque i Pentagrammi di Andrea Galgano. Spesso la musica e la poesia corrono su fili sottili fatti di opposti: terra e aria, acqua e fuoco, i 4 elementi di cui siamo fatti secondo i Greci e che rappresentano le punte del pentacolo esoterico di derivazione pitagorica. Questi elementi tendono tutti più in alto, allo spirito, ultima punta del pentacolo, il cui simbolo metafisico per eccellenza sono le stelle. Sarà un caso, o forse no, ma Andrea Galgano ama costellare di luci i suoi Pentagrammi:

Allinei così le stelle
dell’inverno naufrago,
il tuo agosto soldato
e il tuo vento che cambia nel buio
come un ricordo albino.
(da Still Loving You, tributo agli Scorpions)

 

I nostri battesimi di lune alte
imparano la luce compagna
delle stelle in armi.
(da Money for nothing - Il cuore rivelatore, in omaggio ai Dire Straits)

Ma forse è nel tributo agli U2 con The Joshua Tree, in una ballata poetica dove musica e parole hanno un suono indistinto come un lamento, che le stelle di Galgano hanno la collocazione più dolce e spirituale:

I chiodi scuri delle stelle
rischiarano le pianure dell’anima,
allungano le tasche nere
e le notti prigioniere,
sono mani di madri scomparse
come ferite di pioggia.

Le stelle diventano madri invocate nella notte a protezione di figli perduti (Mothers of the Disappeared).

Un’invocazione che sembra confermare il senso proprio della citazione con cui Galgano apre la raccolta di Pentagrammi: "Nell’oscurità ci sono mondi nascosti" (Bruce Springsteen, Candy’s Room). Come riuscire dunque a farli venire alla luce?

Soltanto attraverso il canto di Orfeo, una volta disceso negli Inferi:

La sacra geometria della sorte
è una danza di carte dispari,
non ha la forma del cuore,
si muove con una sola maschera
dei fiori soldati
tra le ombre disparse

nella notte restano i nostri guanti.
(da Ten Summoner’s Tales, in omaggio a Sting).

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