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“Non ero preparata” di Melania Panico

di Monia Gaita

Un libro, questo, che mette in gioco, in ammaliante antagonismo, introversioni irriducibili e perentorie bandiere d’apertura.
Una scrittura che ci inoltra subito nelle fessure e nelle escoriazioni di una realtà complessa che scavalca i confini di un approdo compiuto per marciare nel domicilio infido e pertinace dell’accadere.
Un discorso lirico guidato ma non pregiudicato dalla coscienza della perdita, traslata in un tessuto simbolico-allusivo da cui il dolore procede quale componente essenziale e ineliminabile del vivere.
Amarezza disincantata e transitorietà costituiscono i due assi semantici del firmamento espressivo, un dire che abbraccia tangibilità ed evanescenza, ansia di conoscere e indisponibilità di risposte.
La poetessa prova a capire, a sondare l’interiorità della materia e del cuore, ma ogni cosa lascia filtrare un fiscale e indocile principio di necessità.

Dice Melania:

Tutto ricresce a stento
ancora adesso che è trascorso tempo
dall’altro giorno in poi.
Da una collina con sembianza di lume
faccio la fatica dei granelli
e la terra preme e ingoia.
Vorrei comprimere il pensiero di me
in un barattolo
costruire un’idea debole
una forma di assoluzione

E ancora: “Restare è un verbo che si impara tardi”, “…la paura ha un dettato silenzioso, sempre”.
La percezione del limite inerisce intrinsecamente alla fragilità degli elementi dei quali l’autrice si sente parte nella congiura priva di conforto delle anomalie irrisolte.
Si direbbe che la poesia è contagiata dalle cose, ne è contaminata fino all’osso e non ardisce la confluenza in un sogno redentivo, in una salvezza che concili il vuoto con il pieno.
Anche l’articolazione del linguaggio è un atto di conferma della scissione che governa il tutto.
L’alberatura paratattica, unita alla disseminata carenza di congiunzioni coordinanti, instaura un preciso contrassegno stilistico a proposizioni chiuse dal crisma speculativo mosaicato in immagini dense, nitide e taglienti.
La poetessa non fornisce alcun antidoto ai mulinelli del divenire.
Semplicemente coltiva una speranza laica nella parola, ne tesaurizza piane, curve e svolte per soffiare con la ragione sull’eco del malcerto, dando rilievo e voce anche al sommerso.

Per Melania Panico la parola è l’unica chiave per tentare di decifrare la realtà che ci circonda.
Alla parola è demandato il guado ultimo del nostro essere dinanzi alle strettoie e alle pozzanghere dell’esistenza.
È questa la scommessa o la sommossa letteraria, testimoniale e umana di Melania Panico.

Un pensiero su ““Non ero preparata” di Melania Panico

  1. Complimenti per questa nota di lettura così profonda e avvincente. Molto belle e sferzanti le poesie di Melania Panico

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