di Antonella Caggiano
Nicoletta Di Gregorio, L’alba dell’invisibile, Edizioni Tracce, 2001, prefazione di Maria Luisa Spaziani, pagg. 56
Nicoletta di Gregorio, A immagine persa, Pegasus Edition, 2015, prefazione di Davide Rondoni, pagg. 54
“Su filigrana di luce /il vento ci scuote/ di blu”
C’è, nei versi della raccolta L’alba dell’invisibile, lo scatto della luce, di colori che si stagliano fra le parole, come in quadri simbolisti.
Per fare poesia, bisogna uscire da sé, a dirla con le parole di Jacques Derrida che concepisce la poesia come l’istrice “animale gettato in strada, assoluto, solitario, chiuso a riccio su di sé”. La poesia, dunque, è tale se non la si può spiegare. Così saranno le percezioni del lettore a rendere esperienza di senso quel ponte fra un “Io individuale” del poeta e uno universale.
Immagini che parlano dell’amore e della vita in generale che, nonostante la notte, riesce sempre a farsi spazio: “[…] Malgrado la luce/ concepisca la sua ombra/ rinasce su foglie d’acanto la vita”. E, “…nonostante assenze e sottrazione, riesce sempre a raggiungere l’infinito”.
Si avverte la finitudine che fa tremare le foglie, che pure tenta di indagare il mistero mentre lo stupore dà fiato alla visione dei giorni. Stupore di fronte a un fiore, al mare, ad un paesaggio che si fa incanto e, come in una dimensione onirica, inizia a raccontarsi e dire quanto l’animo percepisce. Così il correlativo oggettivo si fa modus operandi, donando emozioni intraducibili.
“Si ingemma/ il gesto che tace”, la delicatezza e la potenza delle immagini è il fil rouge di questi versi in cui pure “il silenzio parla d’amore” e si connota di significati che raccontano il fato, la fede o anche una speranza in cui tutto il sentire si fa pregno di sfumature quasi surreali.
Il dialogo è con la natura presente in molte liriche in forma di rosa, foglie, vento, viole, magnolie, nebbie, ulivi, libellule e sono questi elementi che emettono suoni e dipingono scene in cui tutto scorre in un Panta rei che si carica, a maggior ragione, di hic et nunc e suggerisce di lasciar correre ogni inanità per godersi l’amore “Si parte da dove si è/ giunti/ e l’amore in sé/ è già paradiso” e stupirsi “…e mi stupisco ancora/ ad ogni domani”, e liberarsi “…da questo sottile atono dolore” e fare in modo di “…rinascere luce e amore”.
Evocativa e in versi liberi, la poesia accompagna il lettore verso vette musicali via via più audaci mentre si fanno carne le immagini colorate di vita, nonostante il dolore, oltre il non goduto, il non raggiunto “…è filigrana di luce questa vita in cui nulla resta se non di solitudine il colore”.
“Leggendo questa raccolta che termina mormorando di ‘una esile trama di vita’ si vede come la forza del dettato di Nicoletta Di Gregorio sta in una durissima, quasi violentissima, tenerezza verso la vita. Una indicibile insistenza del valore, un ordine inafferrabile, non solo nel caos ma attraverso il caos”. Così interpreta la silloge A immagine persa, il poeta Davide Rondoni che, nella prefazione, parla di tali poesie come “canto estremo”.
Vi è, in questa seconda raccolta, un catturare scene impresse come folgorazioni, in versi che si snodano liberi, talvolta senza verbi e quasi del tutto privi di segni di punteggiatura. Quasi uno slegare l’immaginario per farlo correre sulla pagina a cantare visioni, perché “La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca”, come ebbe a dire Leonardo Da Vinci e la Di Gregorio lo sa bene, essendo anche una talentuosa pittrice.
Fra i punti di comunione, nel linguaggio delle due sillogi, si annovera il si riflessivo che rivela l’invisibile, in “un’immagine persa” nell’infinito dei sensi. Un andare oltre, probabilmente verso un Aldilà a cui si affida la speranza dell’essere.
E così “Dalle sponde del vento/ s’ingloria, sensibile/ al crepuscolo, un’evocata cuspide d’Uno, stelo di luce/ nel delirio d’ombra/ tracima l’utopia del vero…”.
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