Il buono e il cattivo
Non si può scegliere tra Cristiano e Stefano. Come si può scegliere, stabilire una preferenza, tra Bologna e la Romagna, tra gli occhi azzurri e gli occhi marroni, tra la bontà e la cattiveria? (Non è mai semplice dire chi è buono e chi è cattivo: chi è cattivo in fondo è buono e il più buono ha sempre in sé un fondo di cattiveria). Non posso scegliere, non potrei mai, li scelgo entrambi, li prendo in blocco e, qui di seguito, li recensisco.
Cristiano Governa, Le lettere cattive, Pendragon 2015 (Bologna).
Tredici lettere, tredici racconti ambientati tra l’Italia e l’America: storie tristi o lievi, narrate con reticenza e concisione, in modo sospeso, in bilico sull’abisso, che fanno trattenere il respiro al lettore per la tragedia incombente, o avvenuta. Johnny and Mary e Posta celere, ad esempio.
Un medico di Cleveland scrive una lettera alla moglie Mary. In Vietnam, mentre opera un soldato, Johnny, si accorge che sta smettendo di respirare, ma non chiede aiuto alla collega, e il ragazzo muore. “Ho ucciso un ragazzo”. Viene rimpatriato, la vita scorre. Ama sua moglie, e se ne innamora di nuovo quando la vede dallo psicologo (da cui vanno per problemi di coppia) nel suo abito migliore, “con le margherite”. Non ne parla per anni, infine scrive a Mary: è sopravvissuto alla colpa, eppure “quando ti addormenti dandomi le spalle (…) questa cosa arriva e mi spinge a svegliarti, con una scusa qualsiasi”.
Posta celere è un riuscito esempio di riscrittura. Cristiano aveva già pubblicato la lettera di un uomo che il giorno delle nozze non si presenta in chiesa e, dopo anni, cerca di giustificarsi con la mancata sposa. Come in Maupassant, che riscriveva e migliorava, questo testo ha un esito felice. Il lettore solidarizza in pieno con il timido e audace Adelmo, che è fuggito da Elsa, una ragazza capace di dire in autobus: “Dai dai, andiamo a spararci”. Adelmo torna a casa quella mattina, non entra in chiesa. “Forse il piano era quello: farti male: magari volevo solo vederti piangere. Che uomo è uno per il quale la propria donna non abbia mai motivo di piangere?”. È così, caro Adelmo: se una donna non piange per te meglio lasciarla perdere.
Ma Adelmo non lascia perdere, la ama ancora, le scrive “potremmo stare seduti in salotto senza dire niente (…) oppure farci saltare la testa, dopo cena. Basta che tu sia felice”. Rivelando di essere, contro ogni previsione, un uomo davvero buono.
Stefano Maldini, Bum, morto!, Cartacanta 2014 (Forlì)
Il risvolto di copertina avverte che questo è il primo romanzo dell’autore, che ha già pubblicato libri di poesie. Ma a mio parere non si tratta di un romanzo; è la storia vera, con tanto di documenti scolastici e referti medici, di suo fratello maggiore Andrea, nato nel 1967, disabile (forse in seguito a una caduta appena nato). Andrea è sottoposto a due operazioni al cervello da bambino. Ha frequentato le elementari e le medie, sa leggere e scrivere, ama la musica, ha attacchi epilettici, è pieno di manie, è senza filtri, è ingombrante, accentratore, difficile.
L’amore di Renzo e Carla, i genitori, la dedizione immensa nei confronti di Andrea suscita una grande ammirazione nel lettore. Immediata scatta anche l’empatia con Stefano, per la convivenza complicata con il fratello, le aggressioni fisiche (decisamente poco piacevole il gioco di augurargli una rapida scomparsa con la formula “bum, morto”), la sua presenza dominante e invasiva. “Togliamoci subito il dente. Mia madre vuole più bene ad Andrea”. E suo padre si è dedicato al figlio maggiore facendone un’opera d’arte. Stefano ha risarcito la vita dei genitori con i successi sportivi e scolastici, le pubblicazioni, il lavoro, i viaggi. Ha dovuto dimostrare qualcosa a sé stesso e a loro. Oppure è Andrea il privilegiato? Non deve lottare, ha nella vita persone che gli vogliono molto bene e un lavoro (al centro di terapia occupazionale) costruito su misura per lui.
Forse Stefano ha scritto questo libro per capire, per districarsi dal groviglio di sentimenti che prova per Andrea. Ultimamente, quando lo va a trovare, si siede accanto a lui sul divano e riescono, insieme, a parlare e ridere.