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Maria Grazia Nappa: il disarmo e lo strappo

di Flaminia Colella

La voce poetica di Maria Grazia Nappa sembra provenire da uno strappo, da un taglio antico mai rimarginato; forse, che non vuole esserlo. Nel sapersi parziale, destinata a spezzarsi nel moto incessante della vita che aggrega e disgrega, la poetessa è però anche capace di rinascere e così conoscere la fatica del durare, del ritrovarsi in compagnia di un io, del proprio io, che fiero dice e si dice “sono intero”. La crescita e la pazienza aiutano ad incontrarsi, a riconoscersi destino, in mezzo a milioni di altri. La poesia, questo profondo mettersi in ascolto, rivela la ricerca dell’autrice, condotta dentro e fuori di sé. Una ricerca lenta, paziente, che non ha paura di scendere nel buio e che scorge, con fatica, ma inevitabilmente, la luce.

Girandomi indietro,
gli amori che mi hanno rapita,
il sale venir giù col sudore,
le mie convinzioni atrofizzate su un altare;
io credo di aver ricevuto un miracolo.
Ho dovuto reinventarmi dal mio grembo,
vegeta, non più vegetale,
mi riconosco nella colla fissata
delle maniglie di ottone;
la mia indole selvatica rimane incastrata nei pensieri.

Io godo della bellezza di ciò che non si vede
e di cui sono privi tutti i cechi di emozione.

[…]
Sono te in mille pezzi
sei me in un sospiro;
ogni mio scrigno
è recintato nel tuo.

Se la poesia le appare “l’unica strada plausibile” è proprio perché essa è il teatro in cui tutto può tenersi insieme; la commedia e la tragedia. La caduta libera negli anni e l’ascesa, l’amore che invade e irrompe, cambia le visioni, i margini, leva il fiato, lo dà. L’arte, questa obbedienza che interroga l’incanto, chiama a parlare di tutto e la poetessa sembra non sottrarsi a questo invito, anzi sembra accoglierlo: il silenzio, poi la smania, la spinta della massa vivente che si sposta e in lei trova una “incubatrice” pronta a contenerla. A restituirla. Possiamo fidarci di lei perché il suo poetare non è solo un ruminare solitario nelle pieghe del suo io, non è uno sfogo lirico fine a sé stesso o una mera velleità espressiva ornata di bella scrittura.

C’è una sincerità, un disarmo, una nudità nella voce di questa scrittrice e per questo la riconosciamo come vera, autentica, originale: i suoi versi ci parlano di quel “come?”, di quel “forse?”, di quel grande “perché?” che da sempre abitano il mistero del mondo.

Madre

Se potessi consolarmi nel tuo cervello,
arricchirei di abbondanza
ogni seme di te.
Nelle notti scadenti
dentro una carezza
elettrica e neonata,
tu mi dici:
sei nata intera.
La tua mano pallida
cucita con ago d’argento
alla mia negligenza
si trasforma in scoperta;
perenne di noi.
La mia risposta circola
nel tuo sangue;
perdonami.

Dino Campana e Sibilla Aleramo

Ho avuto giorni per pensare,
minuti per decidere,
secondi per lasciarti andare.
In te, calmo la peste
che domina il nervo
di ogni mia sventura.
E per incanto, stanotte
cullo il pensiero
come fossi suo padre.
Dicono che i pazzi
non son capaci di amare
ed è vero Sibilla;
nelle tue nevrosi
mi vendo ai nostri occhi.
Qualunque rissa annerisce
la cenere.
Qualunque fuga degenera
in suicidio d’amore.
Affondo, vado via.

Distanza

Solo un giorno lontana da te
sono mille voragini angosciose.
Un faro nella notte
gli occhi tuoi che amo;
Mentre la mia voce
zitta
si rivela al tuo suono.

Me in un sospiro

Mi sento osservata dalle tue narici
nel ventre del tuo sangue dimorano sette velieri.
E tu sei la prua della mia commozione;
fanciullezza remota del pianto antico.
Ti assomiglio al mattino
quando il freddo s’innalza in venere.
Odoriamo di mare grottesco
le cui maree divorano querce impazzite.
Solitarie, in sordina, tra i rami caduti;
noi mai camminiamo, mai camminiamo.

Sono te in mille pezzi
sei me in un sospiro;
ogni mio scrigno
è recintato nel tuo.

Maria Grazia Nappa è nata a Caserta nel 1985. Ha pubblicato nel 2018 la sua prima raccolta poetica dal titolo “Le brutture dei cuori scalzi” (Aletheia Editore). Le poesie riportate in questo articolo sono invece tratte dal suo secondo libro, edito da Edizioni La Gru nel 2019, dal titolo “Nata intera”.

Un pensiero su “Maria Grazia Nappa: il disarmo e lo strappo

  1. Asciuttamente incisiva.
    La poesia della Nappa appare simile ad un pennello che incide la carta con parole che dicono pian piano – ma con forza.
    SOLO per fare un esempio…
    “Ho dovuto reinventarmi dal mio grembo,
    vegeta, non più vegetale,
    mi riconosco nella colla fissata
    delle maniglie di ottone”.
    Non c’è rabbia, non c’è odio, non c’è rancore: c’è l’essere – PIENAMENTE – cresciuta (nata) DAL dolore a nuova vita.
    L’idea (forse fallace) dell’anima che ci sta dietro è quella di una persona molto calma che dice tutte le cose che si devono dire.
    Senza alzare la voce.

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